“Qui in Libano sappiamo tutti quali sono le mire di coloro che governano Israele”
Marie Nassif-Debs, storica dirigente del Partito comunista libanese, è un’attivista dell’associazionismo femminista panarabo e internazionale che si è sempre battuta per un sentimento nazionale condiviso a discapito dei confessionalismi. Spiega i riflessi dell’assassinio di Hassan Nasrallah, la diffusione della resistenza nel Paese e quanto sia strumentale ridurre il confronto con Tel Aviv a una “questione sciita”.
di Alessandro Di Rienzo
Cinquecentomila libanesi hanno lasciato la propria casa in cerca di un riparo, una persona su undici. A fine settembre, in una settimana, in settecento hanno perso la vita sotto le bombe israeliane, e tra questi anche il segretario di Hezbollah, Hassan Nasrallah.
Nel Paese dei cedri le scuole sono divenuti ricoveri e gli ospedali sono sovraffollati. A essere bombardati i villaggi sciiti del Sud e della Valle della Beqa’a oltre i quartieri sciiti di Beirut e il popolare e affollato quartiere di Kola, ma anche minuscoli centri cristiani del Nord come Kahale, villaggi che non vantano un ruolo militare o politico. È presa di mira l’anima sciita del Libano e con questa tutto il Paese.
Marie Nassif-Debs, già docente universitaria e storica dirigente del Partito comunista libanese, è oggi un’attivista dell’associazionismo femminista panarabo e internazionale, ha sempre militato per l’elaborazione di un sentimento nazionale condiviso a discapito dei confessionalismi.
Nassif-Debs, come nel 1982 e nel 2006 piovono bombe israeliane sul Libano, come allora anche oggi è possibile una invasione via terra. Quanto il confronto con Israele è una questione sciita e quanto è una questione libanese? Quanto il destino dei libanesi è legato alla sorte di Nasrallah e quanto ai destini di Gaza e dei palestinesi?
MND L’assassinio del segretario generale di Hezbollah è una grave perdita per la resistenza patriottica libanese e palestinese. Questo omicidio non cambierà molto riguardo l’attuale aggressione sionista contro il Libano che mira a conquistare nuovi territori al confine Sud, la resistenza continuerà. Ricordo una storia accaduta alla fine degli anni 80. La militante Soha Béchara, comunista e figlia di comunisti di un villaggio di cristiani libanesi, tentò di eliminare il generale dissidente pro-israeliano Antoine Lahd che aveva stretto un patto con l’occupante nella fascia di confine del nostro Paese, quella che Netanyahu e il suo governo rivendicano oggi come appartenente a Israele; fu imprigionata nella prigione di Khiam e i giornali italiani dell’epoca, adottando esclusivamente la teoria israeliana, titolarono che fosse sciita. Perché? Evidentemente era più facile per gli occupanti affermare che si trattasse di una guerra di religione perpetrata dall’Iran piuttosto che ammettere l’esistenza di una resistenza patriottica libanese che comprendeva tutte le regioni e tutte le appartenenze confessionali. Sicuramente oggi Hezbollah è in prima linea nella resistenza ma ciò non significa che il popolo libanese non sia coinvolto in ciò che accade. Qui in Libano sappiamo tutti quali sono le mire di coloro che governano Israele: mettere le mani su tutto il territorio libanese a Sud del fiume Litani per avere accesso all’acqua e per conquistare, definitivamente, le fattorie di Chebaa e le alture di Kfarchouba, aree queste occupate dal 1968 e che gli israeliani rifiutano di lasciare. Dobbiamo anche ricordare che la mappa che i sionisti presentarono agli “Alleati” dopo la Prima guerra mondiale includeva la Palestina, gran parte del Libano, la Siria, l’Iraq e l’Hijaz in Arabia Saudita. Ciò può essere verificato leggendo gli archivi della conferenza di Parigi del 1919 e altri documenti dell’epoca.
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