"La Storia non è soltanto misura dell’uomo, dell’individuo, bensì di tutti gli uomini e delle realtà della loro vita collettiva". (Fernand Braudel)
C’è stato un momento in cui una parte dell’Italia ha fatto una ribellione silenziosa, in cui, volontariamente o involontariamente, si è imposto un modello culturale consumista che rappresentava una rottura con il passato. Se l’Italia del boom economico aveva ancora un retaggio contadino e operaio, quella degli anni '80 aveva deciso di emanciparsene completamente, rompendo i ponti con la “tradizione”. Un periodo di completa rottura, un decennio di trasformazioni che dietro una parvenza “sovrastrutturale”, in realtà, hanno cambiato radicalmente la “struttura” stessa della nostra società. Per certi aspetti gli anni '80 sono stati “avanguardistici” e hanno spostato la produzione e la fruizione del contenuto dai mezzi tradizionali, quali stampa e libri, alla Tv. Non è un caso che, in Italia, la tv di quegli anni inizi con l’evento di Vermicino.
Oggi, erroneamente, si imputa la decadenza culturale italiana all’
avvento delle tv private – che politicamente definiamo berlusconiane – mentre, con quella tremenda diretta, la Rai fece da battistrada alla “notizia gridata”, fu l’esempio “mediatico” di un “consumismo sociale”; un argine che una volta abbattuto ha avuto il suo “naturale sbocco”
nella sparizione/morte/ritrovamento di Sarah Scazzi. Berlusconi, nel suo essere imprenditore, ha visto un potenziale mercato (la vicenda di Vermicino fu seguita in diretta da ben 21 milioni di italiani) e vi si immise con prepotenza. Quando nel 1994 decide di “scendere in campo” aveva operato nel settore della produzione di contenuto – a livello strutturale quindi – per quasi quindici anni, allargando il sentiero che proprio la Rai aveva creato. Attorno ad una produzione di contenuto così vasta – quella di Mediaset -, egli ha saputo “attirare un pubblico” che poi è diventato un “pubblico votante”.
La grande capacità berlusconiana è stata quella di spostare la produzione di contenuto dagli ambienti “canonici”: scuole, università, redazione dei giornali, sedi di partito, parrocchie ai programmi televisivi. Anche ai tg fu imposta una “spettacolarizzazione”, ma, anche qui, il solco fu tracciato nella tv pubblica –
basti ricordare le imitazioni di Minoli fatte da Guzzanti -. Il pubblico italiano “
bruto e stupido automa adoratore di feticci” trovò in quella televisione il luogo della compensazione, del sogno, del consumismo.
A questo modello, culturalmente e politicamente si era opposta, fino a quel momento, una visione “di sinistra” del mondo che aveva
tra i suoi punti cardine la solidarietà e l’orgoglio di classe. Orgoglio di classe che rendeva “impensabile” la mercificazione del proprio corpo e di sé stessi, nonché un’imprescindibile moralità (
il discorso di Di Vittorio alla Camera è emblematico di questo sentimento).
Con gli anni '80 – e con la caduta del muro – è venuta di meno una
weltanschauung antitetica al "consumismo laicista" (per dirla alla Pasolini) e ha lasciato la sinistra senza un modello di riferimento. L’Italia è ritornata ad essere, così, “
nave senza nocchiere in gran tempesta” e ha intrapreso l’unico modello culturale esistente: il consumismo-berlusconiano.
Dall’altra parte: il vuoto. Strade alternative venivano e vengono percorse alla ricerca di una soluzione immanente, non tenendo minimamente in considerazione il fatto che una cultura (o controcultura) non la si costruisce in un anno o due e che il modello berlusconiano è radicato da ormai trent’anni.
Sono nati, così,
movimenti, manifestazioni, eventi che sono una risposta “sovrastrutturale” (utilizzo strutturale per intendere una produzione e sovrastrutturale un’attività che non produce ma è fine a sé stessa, un'accezione che non è né
marxista, né
popperiana) che non incidono minimamente sulla struttura.
La risposta che è adottata (petizioni su facebook, gruppi, flashmob) schiaccia il tutto sull’immanenza, perorando una causa dietro l’altra (attenzione, qui non si parla delle motivazioni o della “giustezza” della causa ma del suo impatto) nell’idea che la società vi risponda come un corpo colpito da un proiettile. Questa confusione nasce a causa della mancanza di percezione tra “spazio e tempo mediato” e “spazio e tempo reale”. Se nel web il sito del
Comune di Napoli è, per l’utente, alla stessa distanza del sito della
Mairie di Parigi, così non è nella realtà. Il tempo, che è funzione dello spazio, diventa, anch’esso tendente a 0 (oppure a infinito).
Si confonde, così, il mezzo di trasmissione con il fine. Il succedersi di petizioni, lettere, gruppi crea quello che in comunicazione è chiamato: “
rumore” ovvero un disturbo – anche la sovrabbondanza di stimoli è un rumore, immaginate una conversazione telefonica troppo veloce o con troppe voci insieme – che non consente la sedimentazione del processo e la possibilità che questo diventi strutturale. Paradossalmente queste iniziative sono quanto di più utile ci sia al modello consumistico-berlusconiano perché
2. Creano la percezione che ci sia un movimento compatto mentre non è così (quante persone firmano su Fb e quanti poi realmente si trovano nella realtà?)
3. Creano “rumore” e sovrabbondanza di stimoli
5. Rispondono ad un impero della comunicazione con i suoi stessi mezzi
6. Ci dà la parvenza di aver partecipato
Tutto questo porta due risultati:
-
Reazioni violente, dettate dall’esasperazione dell’impotenza. Reazioni che a sua volta sono riusate per il motivo cui al punto 1 – (perché Berlusconi non può dire che i magistrati sono disturbati mentali e Grillo può gridare Vaffanculo?)
-
Disinteresse
La colpa non è di trent’anni di consumismo mediatico se i giovani non si sentono rappresentati: la colpa non è di Berlusconi. Quantunque la parabola politica del Presidente del Consiglio dovesse finire non significa che finirà il suo modello culturale: poiché non siamo stati capaci di costruirne un altro. La colpa è di chi, svegliandosi un bel mattino senza più base né spazi di manovra, ha reagito con gli stessi strumenti che 30 anni di televisione gli avevano dato (qual è la differenza tra un I like su FB e un televoto?). Oppure crediamo davvero che un contromodello si possa costruire urlando più forte di un avversario che ha 5 canali televisivi e svariati giornali e riviste? Una battuta facile sarebbe: Mourinho ce l’ha insegnato il Barcellona non si batte con il palleggio ma con difesa e contropiede.
La rete ha ottimi modelli di online/offline che hanno impatto reale sul territorio (il sito
Fascio&Martello ne è un esempio, ma ce ne sono centinaia che potrei citare). Credo che la rete debba ritrovare il suo senso di mezzo di comunicazione e che non vada confuso con la "struttura". La tv è stato il mezzo della "
post-modernità" che ha contribuito alla disgregazione sociale mentre
il web è stato il mezzo che ha ricreato il senso di comunità trasferendolo, troppo spesso, su un piano virtuale,
facendo perdere il contatto tra reale e virtuale.
Per circa un decennio sono stato un volontario di un’associazione che ha come
mission la creazione della pace attraverso gli scambi tra i giovani di tutto il mondo. Ogni anno circa 30 mila studenti di 60 paesi vanno all’estero per un periodo della loro vita, ospiti di famiglie e scuole locali. In questi dieci anni ho visto cinesi imparare la parola “referendum” e americani guardare da un altro punto di vista il proprio paese; italiani diventare europei e Serbi abbracciarsi con i Bosniaci. Il vecchio “motto” dell’associazione era:
cambiamo il mondo, una persona alla volta. Un esempio applicato alla nostra quotidianità viene dai
fischi a Dell'Utri che l'hanno costretto ad andare via. Credo che un'azione "culturale" sarebbe stata quella di fare volantinaggio per le strade di Como nei precedenti al dibattito, avere piccolo
stand in cui si spiegava chi è questo
Senatore condannato in II grado per concorso esterno in associazione mafiosa, invitare le persone a disertare il dibattito spiegando le ragioni. Il web, in questo caso (attraverso FB o un sito locale creato appositamente) sarebbe stato uno spazio d'informazione di "rinforzo": un mezzo per dare più risalto... un mezzo. La soluzione non sarebbe stata quella che tutti i comaschi avrebbero aderito ma il "seme" sarebbe stato gettato.
O crediamo che un gruppo "Non vogliamo Dell'Utri a Como" sarebbe servito a qualcosa?
Credo che il mondo non si cambi con i flashmob o con i gruppi su FB credo che il mondo si cambi agendo nella struttura, sulle persone, una persona alla volta. Credo che le persone cambino se “partecipano” e l’I Like qui in basso non ha nulla ha che vedere con la partecipazione...