venerdì 26 agosto 2022 - Riccardo Noury - Amnesty International

“Quattro anni in carcere per aver difeso i diritti dei popoli nativi”

Per la Giornata internazionale dei popoli nativi, ospito una lunga e commovente riflessione di Bernardo Caal Xol, difensore dei diritti umani ed ex prigioniero di coscienza del Guatemala.

“I popoli nativi subiscono razzismo e discriminazione nella maggior parte degli stati. Veniamo privati delle nostre terre ed espulsi da esse.

I potenti implementano politiche che ci rendono poveri e ostacolano ogni nostra opportunità di sviluppo umano, sociale e professionale. Sono pochi i governi che investono nell’educazione, nella salute e nelle infrastrutture all’interno delle comunità in cui i popoli nativi sono la maggioranza. Si vede, invece, la totale assenza dello stato.

I governi e le potenze economiche continuano a ridurre a folklore i nostri costumi e il nostro modo di vivere, sfruttando, quando fa loro comodo, parti della cultura nativa per attrarre i turisti.

Gli stati e le imprese estrattive agiscono in modo razzista ed escludente quando sviluppano progetti o megaprogetti che colpiscono le nostre comunità, senza rispettare le leggi nazionali e gli standard internazionali sull’informazione e consultazione preventiva. La saggezza ancestrale e i principi e i valori che guidano le nostre comunità native non ci fanno autorizzare megaprogetti o piantagioni monoculturali che si vogliono realizzare nei nostri territori.

Da generazioni e generazioni, nelle nostre culture ci è stato insegnato che dobbiamo provare amore e rispetto per le colline, le valli, i fiumi, le montagne, le foreste, l’aria che respiriamo, la pioggia e gli altri elementi di madre Terra. Ogni danno che permettiamo venga fatto a loro è un danno che viene fatto a noi stessi.

Ecco perché siamo custodi e guardiani di madre Natura nei nostri territori. Consideriamo un’offesa e una mancanza di rispetto l’arrivo delle imprese che saccheggiano e trafugano le risorse naturali che cerchiamo in tutti i modi di proteggere.

Quando esprimiamo il nostro scontento per i danni che queste compagnie fanno a madre Natura o all’ambiente, lo stato reprime le nostre proteste, ci processa e manipola le procedure di legge per imprigionare i rappresentanti dei popoli nativi solo per aver difeso i diritti umani. Molte persone sono in carcere a causa di tattiche che ritardano i tempi del processo e in questo modo vengono punite attraverso la tortura psicologica.

Io, Bernardo Caal Xol, del popolo q’eqchi’ maya del Guatemala, sono un guardiano contro l’impresa elettrica Oxec S.A. che sta deviando il fiume Cahabón prendendosi le sue acque e lasciando migliaia di famiglie e di esseri viventi senza accesso a una risorsa di quel fiume sacro che hanno usato per secoli.

Insieme alle comunità di Cahabón e Alta Verapaz, ho denunciato le violazioni del diritto all’informazione e alla consultazione del popolo q’eqchi’ riguardo alla fornitura delle licenze ambientali e delle concessioni per i progetti Oxec e Oxec 2. Ho denunciato il crimine ambientale del disboscamento illegale di 15 ettari di foresta naturale e sappiamo bene quanto le foreste abbiano un ruolo fondamentale nel contrasto al cambiamento climatico.

Ho anche denunciato la costruzione delle centrali idroelettriche, l’appropriazione illegale dei terreni nazionali e la privazione dell’accesso all’acqua ai danni degli abitanti q’eqchi’ delle rive dei fiumi Oxec e Cahabón.

Sono stato indagato e trattato come un criminale per aver sporto queste denunce in nome della mia gente. Il 24 marzo, dopo aver terminato di scontare una pena basata su reati inventati dalle imprese e dallo stato, sono stato scarcerato. Sono stato, dunque, testimone diretto del modo in cui le grandi imprese cooptano le strutture dello stato del Guatemala.

Lo stato ha risposto alle nostre denunce e alle nostre richieste imprigionando e torturando i rappresentanti dei popoli nativi in modo che non potessimo pretendere i nostri diritti, soprattutto riguardo all’attuazione di megaprogetti da cui la maggioranza delle persone non trae alcun beneficio. L’elettricità prodotta dalle imprese che operano nella mia comunità non è per le famiglie q’eqchi’, bensì per uso commerciale in altri stati. Nel frattempo, le nostre comunità non hanno corrente elettrica. Usiamo ancora le lampade. Ecco come le imprese ci privano delle nostre risorse naturali.

Amnesty International ha condotto un’ampia indagine sulla mia vicenda e nel 2020 mi ha dichiarato prigioniero di coscienza, essendo giunta alla conclusione che stavo solo difendendo i diritti collettivi del mio territorio in modo pacifico. Ciò nonostante, sono stato erroneamente imprigionato per quattro anni e due mesi.

Questo 9 agosto, Giornata internazionale dei popoli nativi, chiedo ai governi del mondo di non continuare a criminalizzare le nostre sorelle native e i nostri fratelli nativi, di rispettare i territori in cui viviamo, di rispettare le risorse naturali che noi proteggiamo come ci hanno insegnato a fare i nostri antenati.

Il diritto all’autodeterminazione dei popoli e il diritto a una consultazione libera, preventiva e informata restano i pilastri fondamentali della nostra esistenza e dell’edificazione della democrazia in ogni stato del mondo. Per questo, chiedo che il lavoro di coloro che difendono i diritti umani sia rispettato e protetto.

Chiedo inoltre ai governi di applicare e rispettare le leggi e gli accordi internazionali, in modo che le imprese possano essere chiamate a rispondere dei danni causati a madre Terra, all’ambiente e alla biodiversità, soprattutto ora che il cambiamento climatico produce gravi effetti.

Come popoli nativi, ci troviamo in una situazione estremamente difficile: stiamo ancora lottando contro il Covid-19, siamo le persone più vulnerabili all’impatto del cambiamento climatico, continuiamo a difendere i nostri territori dal disboscamento e dal saccheggio delle risorse, proteggiamo ogni giorno l’acqua, i nostri fiumi e le nostre foreste. Continuiamo a subire il razzismo strutturale, il patriarcato e la colonizzazione imposti da ogni stato in cui viviamo.

Per tutte queste ragioni, ogni governo dell’America latina e dei Caraibi è chiamato ad approvare e firmare l’Accordo di Escazú, un trattato regionale senza precedenti, per garantire il diritto a un ambiente salubre e per proteggere il lavoro di chi, come noi, difende le nostre terre, i nostri territori e il nostro ambiente. È davvero una questione urgente.”




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