mercoledì 17 maggio 2023 - Enrico Campofreda

Presidenziali turche - Il peso del terzo uomo

Ha rotto coi ‘Lupi grigi’ otto anni addietro perché contestava al leader Bahçeli lo sposalizio, politico s’intende, con Erdoğan. Loro son tutti maschi alfa e di promiscuità non vogliono sentir parlare. Men che meno lui, Sinan Oğan, che si nega anche relazioni politiche, così da restare in splendida solitudine minoritaria ma lanciandosi nella corsa presidenziale. 

E in un confronto-scontro polarizzatissimo, il terzo uomo ha raccolto quasi tre milioni di voti, un 5,2% che vale oro per il ballottaggio del 28 maggio. Gli osservatori, non solo interni, si chiedono a chi finirà quel patrimonio elettorale, e proprio perché nella prima tornata i due contendenti per l’alta carica dello Stato sono risultati distanti di circa cinque lunghezze, quei voti risultano determinanti. Riversati su Kiliçdaroğlu pareggerebbero la cifra tanto da far contare anche l’ultima scheda per determinare il vincitore. Orientati su Erdoğan il vantaggio sarebbe schiacciante. Ma le varianti sono ovviamente maggiori. Iniziando dal possibile astensionismo degli elettori di Oğan, che sono ipernazionalisti ‘duri e puri’ e disdegnano il kemalismo del primo e l’islamismo del secondo.

La loro scorza è terribilmente xenofoba. Gli episodi d’intolleranza razziale che si registrano anche nelle affollate metropoli, con aggressioni di gruppo o isolate di rifugiati siriani e d’altra nazionalità, provengono in genere da elementi che la pensano come Oğan, per quanto lui appaia come un posato ed elegante signore di mezza età. Personalmente non s’è pronunciato sul ballottaggio di fine mese, ma da indiscrezioni si sa che il suo staff è in contatto con quelli dei contendenti. Potrebbero essere in gioco accordi e prebende dal momento che Oğan in politica ci resta al di là dell’elezione presidenziale. Chi conosce le dinamiche del partito nazionalista (Mhp), dalle cui fila il terzo uomo proviene, ritiene che la candidatura presidenziale non poteva avere presunzione di successo, serviva a rafforzarne l’immagine per dare l’abbrivio a una scalata quando Bahçeli non ci sarà più. Riferendosi non a una dipartita naturale, visto che il capo dei ‘Lupi grigi’ non è così vecchio, ma a un ricambio politico nel raggruppamento che rappresenta comunque la terza forza del Paese. Anche nelle elezioni di domenica Mhp ha superato il 10% dei consensi e Oğan, che in questi giorni ha riscontrato un buon ritorno di popolarità, conta a scalarne la presidenza. Sarebbe un riscatto per l’ostracismo ricevuto.

Comunque se si va all’origine di quell’espulsione ci si può orientare per il presente. Oğan contestava al Mhp l’alleanza con l’Akp, se la sua intransigenza resta tale difficilmente dirigerà i consensi ricevuti sul presidente uscente. Eppure c’è un fattore che conta più d’ogni altro per il terzo uomo: combattere il terrorismo. Che nel linguaggio nazionalista equivale a contrapporsi alla comunità kurda, ben oltre la sigla del suo partito armato, il Pkk. Poiché l’equazione che il nazionalismo turco globale - dell’ultradestra, kemalista o islamico che sia - mette in atto è chiunque appoggia la causa kurda può essere tacciato di sostegno al terrorismo, ecco che Oğan fa pagare pegno a Kiliçdaroğlu reo d’aver accettato i voti dell’Hdp, il partito kurdo considerato fiancheggiatore del Pkk. Il cerchio, dunque, si chiude. Del resto lo stesso Erdoğan aveva un accordo di cartello con un partito islamista kurdo, Huda–Par, minoritario ma kurdo, un peccato mortale per Oğan, l’uomo che può fare la differenza sulle presidenziali. Deve decidere chi punire.

Enrico Campofreda

 




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