lunedì 16 settembre 2019 - Enrico Campofreda

Presidenziali tunisine fra disillusione e benalismo

Chiusi i seggi delle presidenziali tunisine quel che balza immediatamente agli occhi e alla conta che non offre ancora dati ufficiali è la bassa affluenza alle urne, frutto di anni di disillusione seminata a piene mani dalla politica. 

Che pure veniva vissuta con passione almeno per un biennio dall’avvìo della protesta antiautoritaria che, nel dicembre 2010, diede il la alle primavere arabe e mantenne la Tunisia, pur fra i drammi di omicidi politici e gli spazi ricercati dal fondamentalismo jihadista, in una diversità dalla tragica fine di piazze come quelle egiziana, libiche, siriane. Però, i gruppi che si sono succeduti al potere, dall’islamista Ennahda al secolare Nadaa Tounes hanno solo prodotto una polarizzazione, lasciando insolute questioni vitali come quella economica in crisi perenne. Un’economia problematica già nei decenni del vecchio regime con una dipendenza atavica da capitali stranieri, un’economia che offriva manodopera a basso costo che proprio per i bassi salari non sollevava le sorti dei lavoratori, ma al contempo non vedeva strutturarsi un ceto imprenditoriale autoctono degno di questo nome. Produceva rapidi arricchimenti e fughe di capitali trasformati in rendite di squallidi furbetti protetti dalla politica. L’eredità è l’attuale disoccupazione incistata a un 15% della popolazione, con punte del 40% fra i giovani che oggi risultano oltre il 70% dell’elettorato. Ecco un buon motivo perché ragazzi e ragazze - che pure hanno visto fratelli e sorelle scendere per via nel periodo della ricerca d’una svolta - restano senza fiato di fronte al vecchiume che hanno davanti agli occhi. Un vecchiume che ormai non è il defunto Essebsi, ma chi si candida a sostituirlo, proponendo nient’altro che il passato. Erano partiti in 96, ne sono rimasti 24, coloro che si contenderanno un ballottaggio sono quattro elementi, uno peggiore dell’altro.

Dal probabile vincitore di questo primo turno l’imprenditore Nabil Karoui, magnate delle comunicazioni con Nessma TV, che unisce messaggi popolari a elemosine ai diseredati, mentre si dà da fare col ‘riciclaggio e frodi fiscali’ tanto da risultarne arrestato lo scorso 23 agosto. Non avrebbe dovuto correre per la prestigiosa carica presidenziale, invece eccolo lì addirittura con l’opportunità di giocarsi il ballottaggio. Secondo inguardabile un fedelissimo del defunto presidente e suo ministro della Difesa, Abdelkarim Zbidi, che ha alle spalle l’apparato di Nedaa Tounes. L’unica proposta concreta annunciata in campagna elettorale un ritorno al presidenzialismo, per avere come ai tempi di Ben Alì mano libera in politica estera e nel controllo dell’apparato della forza, poteri che il Capo dello Stato aveva perduto dal 2014 per l’introduzione d’un sistema semipresidenziale. Ma c’è di peggio. Il premier uscente Youssef Chahed, transfuga del partito Nedaa Tounes, ambisce alla più prestigiosa carica che fu di Ben Alì. Anzi durante la campagna elettorale, per ottenere consensi fra quei tunisini che l’ex presidente lo sognano ogni notte, paventa un rientro dell’ex dittatore nel Paese che ha contribuito a dissanguare, con ruberie ed esercito repressore. Fino a giungere a una figura femminile, che certa stampa locale ha presentato nella veste di ‘pasionaria’, Abir Mousi, talmente nostalgica del regime benalista da non nascondere la sperticata l’ammirazione per il raìs che si definiva progressista e venica accolto nell’Internazionale socialista. Ma era quell’Internazionale dove sedeva anche Bettino Craxi, e allora i conti (per i rispettivi clan) tornavano. Dire che al turno di voto hanno partecipato pure l’esponente di Ennahda, Abdelfattah Mourou, l’indipendente Moncef Marzouki, e, sempre divisi, alcuni esponenti della sinistra serve a poco. Il quadro resta desolante fino alla scelta definitiva di metà ottobre.

Enrico Campofreda

 

 




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