lunedì 20 febbraio 2012 - Aldo Funicelli

Presadiretta: la recessione. Come gli imprenditori usano la cassa integrazione

Ma gli imprenditori stanno facendo tutti il loro dovere, o c'è qualcuno che usa la cassa integrazione (ovvero i soldi pubblici) per scaricare sulla collettività le proprie incapacità?

Da questa domanda si è partiti nel viaggio dentro la crisi industriale italiana, con i 300000 posti di lavoro persi e dove anche quest'anno si prevede una decrescita del PIL dell'1,5%.

Per capire quanto è grave questa crisi basta andare di fronte al palazzo del ministero dello sviluppo a Roma, in via Molise 2, dove si ritrovano imprese e sindacati attorno al tavolo delle trattative.
 
Ci sono i lavoratori di Fincantieri, di Genova Palermo e Ancona.
Ci sono quelli dell'Alcoa, la multinazionale americana che chiude i battenti perchè il governo italiano non da più incentivi. E dunque in Sardegna finiranno per strada 1000 avoratori più altri 1000 dell'indotto.
Ci sono i lavoratori dell'Agile (ex Eutelia): 1884 persona lasciate per mesi senza stipendio quando i soldi dell'azienda finivano ad altre società o addirittuta a persone fisiche.
 
Oggi i proprietari di Agile sono stati rinviati a giudizio e quello di Eutelia è latitante.
 
Per molti casi, di fronte alla crisi, non c'è alternativa alla Cassa Integrazione. Ma le storie raccontate dai giornalisti di Presadiretta raccontano un'altra verità.
Sono i casi della Omsa e della Sigma Tau: situazioni dove la crisi non c'entra.
C'entra invece la logica del profitto a tutti i costi, il profitto al di sopra delle persone e dell'impresa stessa. La voglia di raggiungere il massimo guadagno a breve termine, senza preoccuparsi delle conseguenze industriali a lungo, e soprattutto di quelle sociali.
 
Se le imprese in Italia vengono chiuse come per la Omsa (perché in Serbia il lavoro costa meno, nonostante l'azienda italiana fosse in salute), che futuro industriale ha questo paese?
 
Se le imprese delocalizzano all'estero, come sembrerebbe essere nel caso della Sigma Tau (nonostante le smentite del management dell'impresa), chiudendo di fatto in Italia i centri di ricerca (la Prassis a Settimo Milanese e il centro di ricerca nel casertano della Tecnogen), mandando in cassa integrazione straordinaria (anticamera della mobilità) 569 persone nello stabilimento di Pomezia, come faremo ad uscire dalla crisi?
 
Su 1841 dipendenti, 569 hanno ricevuto la lettera di cassa integrazione dall'azienda: anche persone con handicap, anche persone con problemi familiari.
 
Ed è scattata subito la protesta: blocco della produzione, occupazione di fronte alla fabbrica, blocchi stradali.
 
Ma è una guerra che non può essere portata avanti a lungo, senza l'appoggio dietro di sindacati, dei media, della politica. Perché la cassa integrazione è qualcosa che ti colpisce dentro la vita quotidiana: le spese per i figli (specie se hanno problemi di salute, specie se disabili), per la scuola, per il mutuo.
 
 

 
 
Ma la Sigma Tau aveva veramente bisogno dei nostri soldi per la cassa integrazione? Al ministero hanno controllato se veramente questa azienda fosse in crisi?
 
E' quello che ha fatto Presadiretta, svelando una storia che racconta altro: la crisi sarebbe stata usata come pretesto per fare una preselezione del personale da eliminare, tramite la mobilità.
 
Questo il parere di Antonio Pileggi, docente della Luiss che sta impugnando le lettere di cassa integrazione per conto dei lavoratori.
 
Ed è anche quello che ha spiegato il professor Galimberti, analizzando i bilanci del gruppo, che ha sedi in tutto il mondo. I ricavi della Sigma Tau italiana sarebbero stati spostati su un'altra azienda con sede in un paradiso fiscale.
Meno ricavi, dunque meno guadagni, dunque crisi: ed ecco che arriva la richiesta di cassa integrazione allo stato.
 
Lo ha scritto ieri Salvatore Cannavò, nell'anticipazione della puntata di Presadiretta: "Svelata dal fisco la finta crisi della Sigma Tau".
Dure contestazioni dell'Agenzia delle Entrate. Per gli ispettori della tasse l'azienda farmaceutica avrebbe spostato i profitti nelle casse di una consociata nel paradiso fiscale di Madeira. E intanto 570 lavoratori sono a rischio licenziamento. La vicenda sarà raccontata stasera a Presadiretta su Rai3 Ricordate i dipendenti della Sigma Tau che hanno fermato il pullman della Roma calcio facendo scendere Francesco Totti? La ricerca di visibilità alla vertenza, dopo che l’azienda ha aperto la procedura di cassa integrazione per 569 dipendenti, era il frutto della rabbia e della disperazione di chi ha sempre contestato che i conti fossero in rosso e che l’azienda non potesse rilanciarsi seriamente. A confortare quella radiografia provvede ora il “Processo verbale di constatazione” che l’Agenzia delle Entrate ha redatto nella sede della società farmaceutica, la seconda per importanza in Italia, il 30 luglio 2010 e che sarà oggetto stasera dalla trasmissione Presadiretta di Riccardo Iacona in onda alle 21,30 su Rai 3 (l’inchiesta è stata curata da Rebecca Samonà e Elena Stramentinoli). Un documento poderoso, 117 pagine, e nel quale gli ispettori del fisco contestano alla Sigma Tau una procedura di evasione fiscale non solo particolarmente sofisticata, per quanto comunemente diffusa, ma tale da pregiudicare i bilanci del gruppo e giustificare, così, la cassa integrazione.
La procedura sospetta si chiama “Transfer pricing” e consiste in un trasferimento illecito di valore da una società del gruppo a una consorella estera che pagherà le tasse al posto della prima. Ma se la consorella estera è collocata in un paradiso fiscale il guadagno è notevole. Sigma Tau è il secondo operatore farmaceutico in Italia e ha consociate in Francia, Svizzera, Olanda, Portogallo, Spagna, Germania, Regno Unito, India, Stati Uniti e Sudan. Insomma è un colosso che oltre a produrre direttamente i farmaci li commercializza in Italia e all’estero. Ma è proprio sugli affari realizzati con le consociate che si sono concentrati i riflettori degli ispettori fiscali. La consociata portoghese, Defiante, ha infatti sede nell’isola di Madeira, territorio portoghese anche se situato 900 chilometri più a sud nell’Oceano Atlantico, noto paradiso fiscale. Si tratta di una società che si occupa prevalentemente di acquistare licenze e brevetti per poi rivenderli.
Per la Defiante, la Sigma Tau ha svolto anche l’attività di produzione e rivendita di prodotti (il Bentelan o il Betnesol per esempio) assumendosi costi e rischi che sarebbero dovuti essere adeguatamente compensati. Gli ispettori si sono chiesti se “le determinazioni dei prezzi di trasferimento siano conformi alla normativa in materia di transfer pricing” stabilite dalla legge. La risposta è stata negativa perché secondo i verbalizzanti “la Sigma Tau avrebbe erroneamente quantificato (…) i componenti di reddito derivante dalle transazioni intercorse con diverse società appartenenti al medesimo Gruppo”. Facendo un confronto con società comparabili si scopre, ad esempio, che mentre il livello medio di profittabilità dell’attività in questione è del 6,6 per cento, la Sigma Tau nel 2007 subisce una perdita del 16, 1 per cento. “I prezzi di vendita applicati alla Defiante non permetterebbero di far fronte ai rilevanti costi di produzione” in contro tendenza rispetto ai risultati ottenuti con le altre consociate.
Facendo i raffronti con società analoghe e comparabili gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che la Sigma Tau ha contabilizzato in Italia evadendoli al fisco. I minori ricavi del 2007 sono già la metà delle denunciate da Sigma Tau nel 2010 pari a 20 milioni di euro. Defiante, inoltre, come mostrano gli approfondimenti fatti da Presadiretta moltiplica tra il 2000 e il 2010 il suo patrimonio netto portandolo da 31 a 310 milioni di euro. Nello stesso periodo il patrimonio dell’azienda italiana, passa da 123 a 34 milioni di euro. Solo che a Madeira, sede della Defiante, praticamente non si pagano le tasse e solo recentemente sono state introdotte aliquote dell’ 1, 2 e 3 per cento. L’Iva, invece, è al 13 per cento, la più bassa d’Europa. In Italia, invece, Sigma Tau ha avviato una ristrutturazione pesante con la cassa integrazione e il ridimensionamento del centro di ricerca. “Che ne dice il governo e il ministro Passera?”, chiede Riccardo Iacona. Il caso vuole che Passera sia tirato in ballo in più aspetti.
Non solo perché come ministro è incaricato di gestire le crisi aziendali, ma anche per il suo passato da banchiere. È stata la “sua” Banca Intesa, infatti a finanziare, con 300 milioni di euro, l’acquisto delle attività statunitensi legate alle malattie rare della Enzon, acquisto che ai lavoratori è sembrato l’avvio di uno spostamento all’estero (negato decisamente dall’azienda). Banca Intesa possiede poi il 5 per cento di Sigma Tau Finanziaria Spa. Infine, il teatro di questa probabile “furbata” è il paradiso fiscale di Madeira lo stesso da cui (ne hanno scritto Mario Gerevini sul Corriere della Sera e Vittorio Malagutti sul Fatto Quotidiano) la famiglia Passera ha fatto rientrare una consistente liquidità, superiore a 10 milioni, parcheggiata in attesa di impieghi più redditizi.


2 réactions


  • (---.---.---.35) 23 febbraio 2012 15:36

    Bisogna da un lato chiarirCI bene cosa significa la "responsabilità sociale delle imprese", perchè se è solo una massa di parole scritta in linguaggio markettese in una pubblicazione che le ditte emettono una volta all’anno (quando lo fanno) allora non ci siamo proprio.

    Quando avremo fatto questo, possibilmente in tempi non biblici (ad esempio stimolando i nostri cari parlamentari ad applicarsi al problema), farne una legge che renda la cosa "senza sè e senza ma": l’Alcoa chiude "per motivi suoi" (analisi sue la portano ad investire altrove), d’accordo, perfettamente lecito... "purchè si faccia carico del personale", il SUO personale: non è che, perchè l’azienda è americana e noi siamo italiani, i lavoratori italiani dell’Alcoa non sono suoi dipendenti. E’ una multinazionale? ed allora il discorso deve valere "per tutto il gruppo" e non solo "per una delle aziende" (che sono invece facili da chiudere).

    Un’azienda delocalizza "perchè all’estero è più conveniente aprire sedi"? (traduz.: i dipendenti filippini o cinesi, per dire, costano 1/100 di quelli italiani), chiariamo bene che gli attuali dipendenti sono comunque responsabilità dell’azienda, responsabilità che si estingue solo nel momento in cui l’azienda chiude (v. il discorso dei gruppi e delle multinazionali).

    In seconda battuta, se vogliamo globalizzare il mercato del lavoro, globalizziamo anche i diritti: cerchiamo di evitare che altri Stati, che sfruttano il proprio proletariato permettendo stipendi da fame e trattamenti al limite dello schiavismo (ad es. Filippine, ma anche molti altri), entrino in "concorrenza sleale" nei nostri confronti: per le merci ci sono le barriere doganali, creiamo qualcosa di simile anche per gli impieghi, una sorta di "compensazione" sulle merci prodotte dalle ditte sfruttatrici, una "lista degli sfruttatori" dei quali proibire la circolazione delle merci. Lo stiamo facendo sul fronte ecologico, possibile che non si possa fare su quello lavorativo?

    Queste aziende, sfruttando la gente, producono a costi inferiori e poi vengono a vendere qui, dove ci sono (o c’erano) i soldi: ci sarà sicuramente un modo di tutelare le aziende che producono in un mercato del lavoro "meno da sfruttatori" (in passato avrei scritto "più sano"), e con esse i lavoratori stessi, rispetto alla concorrenza fatta con lo sfruttamento.

    Così a naso, la butto lì: siccome sono gli altri Stati ad avvantaggiarsi della cosa creando problemi al nostro, facciamolo diventare un loro problema: embargo all’importazione di prodotti presso di loro, in modo tale che, se non vogliono adottare politiche di protezione dei propri lavoratori, siano le ditte stesse a non trovar più così conveniente produrre là... visto che poi non possono più vendere qua.

    Oppure, senza embargo, un meccanismo più capillare, anche se più difficile, di compensazione sui prodotti: se il tal oggetto, prodotto qui, verrebbe a costare 1000, mentre prodotto "altrove" costa 500, tassa d’ingresso di 500. Per "costo" non intendo il ricavo, chiaramente, ma il guadagno: bisogna incidere su quello perchè ovviamente le ditte non vendono, sul nostro mercato, al 50% se i loro costi si dimezzano, ma rimarranno sui prezzi del mercato stesso, magari poco sotto "per esser competitivi" (e grazie al c..o che si è competitivi, abbattendo in questo modo i costi di produzione: son capaci tutti a fare i gay col c..o degli altri). Bisogna colpire sugli indebiti guadagni verificando che, nello Stato di provenienza, i lavoratori abbiano percepito uno stipendio che sia "comparabile" al nostro. E qui entriamo in dettagli complessi rispetto al "costo della vita". Complessi ma non irrisolvibili: alla fine è pur vero che un operaio del sud Italia prende mediamente meno di uno del nord proprio in quanto il costo della vita, al sud, è inferiore: son discorsi già visti, già fatti ed applicabili anche a Stati diversi.

    Dove distribuire i proventi della tassa d’ingresso? ma ovviamente ai nostri lavoratori, partendo dai disoccupati. La critica a questo sarebbe che, così facendo, se l’azienda continua a voler vendere qui, aiuteremmo l’impoverimento dei lavoratori del paese di provenienza delle merci. Ma questo si scontra con la (non) convenienza di un’azienda che, oltre a produrre all’estero, deve anche affrontare delle spese per portare le merci qui: più spese e meno guadagni.

    Sky


  • (---.---.---.99) 26 febbraio 2012 19:10

    Per la lotta alla delocalizzazione basta applicare la normativa tedesca o francese.Inoltre se una azienda si comporta male in questi paesi, chissa come mai viene subito controllata e sezionata dal FISCO.

    Il caso Marchionne , Alcoa o Omsa non si sono e non si verificano ne in Germania , ne in francia ne in Olanda,Spagna...

    Responsabilita’ imprese ,come sancito anche dalla nostra costituzione, non capisco perche in italia non ci sino norme come quelle sempre francesi e tedesche, del tipo:

    Lotta al lavoro nero e sfruttato, di sfruttamento e lavoro nero rispondono sial le societa appaltatrici che le appaltanti.
    esempio se mi servo di una ditta che usa autotrsportatori extracomunitari o lavoratori extracomunitari , ne rispondo anche io che ho appaltato il lavoro!!

    Poi ci sono norme DURE come in svizzera dove i sindacati stessi fanno da ispettori del lavoro (Marchionne stesso e’ incappato e e’ stato punito per averusato giardinieri italini sottopagati nella sua tenuta svizzera) o neggli stessi USA ove se uno viene licenzito con minima scorrettezza(e dico minima) risponde l’ azienda con risarcimenti milionari , ma anche i singoli responsabili del personale!!

    Nel nostro paese in questi ultimi 20 anni un giorno per volta si sono tolti TUTTI i diritti dei lavoratori... e ora sono TUTTI finiti!!


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