venerdì 5 gennaio 2018 - Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica

Porno ed educazione sessuale | Una possibile pornoeducazione

Il periodo in cui “esplorare il corpo umano” costituiva uno strumento efficace ed esaustivo per trasmettere informazioni e suggerimenti è ormai superato. La società è in continuo cambiamento, la tecnologia si diffonde in modo veloce ed inarrestabile, siamo circondati da stimoli spesso associati alla sessualità. 

Una continua inondazione di immagini altamente erotizzate propone modelli comportamentali il cui rischio è quello di suscitare e sviluppare nell’adolescente inesperto, e non solo, condizionamenti nell’approccio e nel vissuto delle esperienze sessuali. Spesso si instaura nei giovani una curiosità morbosa legata ad una sete di conoscenza tipica del periodo adolescenziale. Il concetto di educazione sessuale diventa in questo frangente essenzialmente legato al concetto di educazione nella sua globalità.

La pornografia rappresenta per molti giovani, la prima (se non unica nei casi peggiori) fonte di conoscenza della sessualità, così come di aspettative in merito ad essa. Questo porta con sé, inevitabilmente, un certo numero di vantaggi ma anche di rischi.

A prima vista può sembrar strano come la pornografia possa essere strumentalizzata in un’ottica di educazione al benessere psico-fisico. Tuttavia, tenendo conto dello scenario demoralizzante che si presenta soprattutto in Italia, per quanto riguarda l’inserimento dell’educazione sessuale nelle scuole, unita ad un assetto culturale tipico di un modello che preferisce “l’empasse” piuttosto che un coinvolgimento attivo nel dibattito di crescita educativa sessuale e relazionale – affettiva, bisogna riconoscere la pornografia come uno dei primi strumenti utilizzabili per finalità sessuali, ludiche e ricreative. L’obiettivo è ovviamente quello informativo, al fine di soddisfare le curiosità e sciogliere i dubbi, colmando conoscenze scarse, se non addirittura assenti.

Questo non vale solo per il genere maschile ma anche per quello femminile poiché, contrariamente alle aspettative, anche le donne sbirciano i siti porno. È vero che la pornografia non garantisce la trasmissione di situazioni e conoscenze veritiere, basti pensare all’esaltazione della grandezza dei genitali maschili o del seno, la promozione di una sessualità frenetica e spesso anche aggressiva, performance sessuali prive di errori e un’idea di orgasmo egoistica.

Il rischio che corre il giovane è quello di costruire un idea di sessualità priva di punti di riferimento, che non permette di discernere la realtà dalla finzione e che può innescare paure, fobie se non addirittura creare i presupposti per eventuali disfunzioni sessuali.

Perché allora non avvalersi di questo strumento, per migliorare quella che ormai viene definita da molti “la generazione youporn”? Va sottolineato che la pornografia non è tutta uguale, si può distinguere infatti una pornografia “cattiva” (ripetitiva, degradante, misogina e volgare) e una pornografia “buona”, funzionale utile e più accettabile socialmente.

Quest’ultima può rivelarsi un efficace metodo di insegnamento in quanto consente di diffondere informazioni funzionali su diversi aspetti:

– l’anatomia, la fisiologia maschile e femminile ed il comportamento sessuale;

– la percezione ed il rapporto col proprio corpo e l’immagine di sé;

– la differenza tra violenza e trasgressione attraverso il consenso tra ciò che è lecito e ciò che è illecito, educando alla comunicazione, al rispetto delle esigenze e delle diversità altrui.

– l’omofobia , il razzismo, la xenofobia e il sessismo.

Per quanto possa sembra un approccio anticonformista e disfunzionale, la realizzazione e l’efficacia della cosi detta pornoeducazione è documentata già da vari studiosi.

Albury (2009), Haste (2013) ed in particolare McNair (2009) si occuparono della promozione di una “pornoalfabetizzazione” indirizzata sia alle scuole statali secondarie che agli adulti, allo scopo di superare una visione stereotipata della sessualità e sconfiggere convinzioni errate, evitando così di cadere nella trappola di forme fobiche e disfunzioni sessuali.

Da marzo 2015 fa scalpore il caso del metodo Graugard (2010), insegnante di sessuologia all’università di Alborg in Danimarca, il quale, tramite attività di cineforum, ha consentito in classe la visione guidata di materiali pornografici, esperimento seguito anche in Grecia e Gran Bretagna, con l’intento di una ridefinizione di una sessualità reale ed una vita relazionale che promuova una sessualità responsabile e consapevole.

Indubbiamente può apparire paradossale ma spesso la verità, o ciò che differisce da essa, sembrerebbe essere un mezzo di discussione più efficace rispetto al silenzio imbarazzante di genitori ed insegnati, il più delle volte disinformati e e/o carichi di pregiudizi. Inoltre, impedire ad un giovane un comportamento, spesso equivale ad incentivarlo e motivarlo nel trasgredire la regola o il divieto impartito.

TIROCINANTE: Alessia Tino

TUTOR: Margherita Attanasio

Bibliografia:

Albury K. (2009) Reading porn reparatively. Sexualities 12.5, 647-653.

Graugaard C. (2010) VOKSEV Æ RKER-Et signalement af unge danskeres seksuelle liv. Psyke & Logos 31.1: 25.

Haste P. (2013), Sex education and masculinity: the “problem” of boy. Gender and Education, 23, 515-527

McNair B. (2009) Teaching porn. Sexualities, 12, 558-567

 

Foto: Orin Zebest/Flickr




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