martedì 4 ottobre 2011 - Enrico Campofreda

Pizzarotti S.p.A.. vizi e virtù del made in Italy

Fra gli appalti dell’ormai ex giunta Vignali di Parma, disarcionata dalla sollevazione popolare e indagata dalla Procura della Repubblica quello relativo alla riqualificazione dell’Ospedale Vecchio trascina davanti ai giudici Pizzarotti S.p.A., leader mondiale dell’edilizia e delle infrastrutture.

Il cavalier Paolo, prosecutore dell’azienda di nonno Gino, e l’attuale amministratore delegato Aldo Butini sono iscritti sul registro degli indagati perché il gruppo sarebbe stato favorito nell’assegnazione della commessa. Immediato è giunto il comunicato dell’impresa che ricorda come essa “ha agito nel pieno rispetto della normativa del settore” e si è “aggiudicata legittimamente la procedura di gara operando nel rispetto della normativa per la tutela degli immobili, storico-artistici”. Le indagini effettuate dalla Guardia di Finanza dicono altro. Parlano di violazione di quella norma perché l’edificio (l’Ospedale è davvero vecchio e data XIV secolo) può essere restaurato, non ristrutturato. Nell’inchiesta risulta che i lavori decisi dalla giunta comunale miravano alla trasformazione del corpo edilizio in area commerciale, albergo e spazi museali. E l’associazione cittadina Monumenta agita una sentenza del Consiglio di Stato che sottolineava come il bando comunale prevedesse nient’altro che ristrutturazione.

 La Pizzarotti, che sul web vanta un proprio “stile”, presenta virtù e vizi di molte imprese nostrane. Le indubbie qualità si basano su vasta esperienza e raffinato know-out nel settore. Merito delle grandi opere eseguite (dighe e centrali idroelettriche nelle Filippine) e in corso di realizzazione (la diga di Damous, il tramway a Constantine in Algeria solo per citarne un paio). La possibilità di realizzarle deriva da conoscenza e uso degli strumenti tecnici per realizzarle come accade nello scavo di gallerie con le ciclopiche Tunnel Boring Machine, le cosiddette talpe che praticano fori da uno a sedici metri di diametro ed estraggono indifferentemente terra o roccia. Le talpe marchiate Pizzarotti sono oggi al lavoro al San Gottardo, a Grenoble, a Busto Arsizio, se l’appalto non fosse finito nell’occhio della magistratura forse scaverebbero anche nelle viscere della città della lirica per una locale metropolitana prevista da Vignali & C. Sull’aggiornato sito www.pizzarotti.it non c’è invece traccia dei lavori di scavo che servono alle israeliane Yugan ed Eldad Spivak Engineering per la linea superveloce Tel Aviv-Gerusalemme. Anche quella è una delle commesse che Pizzarotti ha accettato: 500 milioni di dollari per realizzare la tratta C che porta i binari sul suolo e nel sottosuolo palestinese, sia quello occupato nel 1967 sia nell’attuale West Bank.

 L’iniziativa ha suscitato proteste fra la comunità locale e gli attivisti internazionali che la sostengono. Quelli del BDS-Italia le hanno girate alla ditta parmigiana cui contestano l’incoerenza nello sbandierare un Codice Etico per il quale In conformità alla dichiarazione Onu l’impresa sostiene e rispetta i diritti umani” e accettare un’opera come quella descritta in disprezzo alla Convenzione di Ginevra che vieta agli occupanti di creare infrastrutture in Paesi soggiogati militarmente. Anche in quell’occasione l’azienda lanciò comunicati che inciampavano in omissioni e bugie. Su questo sito trattammo nei mesi scorsi la questione (cfr. Pizzarotti S.p.A., diritti umani solo a parole). Eccoli dunque alcuni vizi del cavalier Paolo assieme a quello antico e penalmente più rilevante delle tangenti che macchiarono il suo stile ai tempi del Caf. All’epoca si vociferava che la società ungesse la Dc, nel caso di Malpensa 2000 l’appalto assegnatogli fruttò allo Scudo Crociato un miliardo e trecento milioni. L’iter giudiziario produsse una condanna. Nel 1994 ci fu un patteggiamento di pena, Pizzarotti alloggiò per un mese e mezzo in galera, pagò un risarcimento di 560 milioni e tornò all’impresa. Gli andò meglio per un’altra tangente da business stile Prima Repubblica: la vicenda Enel dove vanta un’assoluzione.

 Un altro affaire su appalti stradali che lo coinvolgeva con l’onorevole della Dc lucana Sansa finì bene per il gruppo assolto in Cassazione. Dalla Prima alla Seconda Repubblica le amicizie giuste, anche se pericolose, per l’imprenditore non sono venute meno. Successivamente si sono chiamate Callisto Tanzi, e qui l’humus locale rendeva la vicinanza praticamente inevitabile. Occupandosi d’infrastrutture un rapporto imprescindibile nel Terzo millennio è stato quello col ministro Lunardi pluricoinvolto in inchieste su favori negli appalti. In fondo per la gran quantità di commesse ricevute in Italia gli inciampi giudiziari del cavalier Paolo non sono stati così numerosi, seppure significativi come i casi menzionati. Ora uno scivolone simile a quello dell’Ospedale vecchio più che il “sogno delle realizzazioni da conseguire con sforzi congiunti e una dose di pazienza” come ama scrivere, lo porterebbe a rivivere gli incubi del passato .





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