mercoledì 12 giugno - clemente sparaco

Per chi suona la campanella?

Un anno scolastico, segnato da numerose aggressioni a insegnanti e non solo, si avvia alla conclusione.

Professoresse accoltellate, genitori che si azzuffano, presidi picchiati, bullismo imperversante in età sempre più precoce denotano un crescendo di violenza nelle scuole. Poi ci sono le autogestioni e le occupazioni ricorrenti secondo un rituale canonico, le quali hanno abituato intere generazioni a pensare che interrompere illegalmente le lezioni e occupare con relativi danneggiamenti ad aule e suppellettili sia un metodo giusto per farsi sentire. E per quanto ogni episodio vada collocato nel suo contesto, tutti evidenziano difficoltà dei giovani ad esprimere con le parole le ragioni, per cui il ricorso alla violenza si accredita come canale per dare sfogo a emozioni e intemperanze.

Si intuisce senz’altro una difficoltà di dialogo tra le generazioni, ma c’è di più.

C’è la perdita di autorevolezza dell’istituzione scolastica. La scuola ha perso molto del prestigio sociale che aveva. C’è poco rispetto, scarsa considerazione e valorizzazione. Il docente è vissuto come mero erogatore di prestazioni: se non adempie, come l’utenza ritiene di aver diritto, va contestato e colpito. Non è riconosciuto ed apprezzato nel suo ruolo. E questo inevitabilmente incide sulla motivazione.

Pertanto, egli, che si trova a presidiare una sorta di testa di ponte nel dialogo intergenerazionale, è solo, screditato, quantomeno esposto e fatto bersaglio di aggressione ideologica.

“La scomparsa dell'idea di autorità” costituisce il “carattere precipuo della crisi presente” ‒ scriveva Del Noce mezzo secolo fa. E tanto più lo si riscontra oggi nelle scuole, ma anche negli ospedali, dove quotidianamente va in scena l’aggressione agli operatori sanitari e ai medici. I numeri sono sempre più ingombranti. É una sorta di assalto alla diligenza in cui tutti sparano sul conducente. Eppure egli svolge un servizio, si occupa di noi, ha funzione, competenza e responsabilità.

C’è, quindi, qualcosa che si è inceppato nelle relazioni fra generazioni e, più in profondità, nelle relazioni interpersonali. È innanzitutto il venir meno del dialogo e poi del rispetto: una reazione rancorosa, non mediata e scomposta, come quella che si avrebbe di fronte ad un torto subito. Domina l’individualismo. Ma esso è la cartina di tornasole di una società sfrangiata e disorientata, non più capace di collanti valoriali.

In tale frangente storico si avrebbe bisogno non tanto di autorità, quanto di autorevolezza, ma alla fine c’è quello che Crepet ha definito il “condono educativo”. Perché il comandamento fondamentale della scuola, ma più estesamente della società, è di “non punire”, stabilendo una complicità quasi omertosa con il bullo di turno, essere acquiescenti anche di fronte a comportamenti arroganti e irrispettosi. E questo, ancor prima, lo fanno i genitori che si fanno amici e compagni di merenda dei figli, in deroga alla loro funzione educativa primaria.

Pertanto, come si premiano gli evasori fiscali, così si è tolleranti verso chi contravviene alle regole e alla buona educazione. Dalla certezza dell’impunità matura, poi, il diritto all’impunibilità che è forse la stortura maggiore del buonismo educativo. Contestualmente, si sdoganano le promozioni facili e si abbassano i livelli minimi di apprendimento.

Per ovviare a tutto questo il 17 aprile il Senato ha approvato il Ddl 905, che introduce misure volte a prevenire la violenza contro il personale scolastico e a migliorare la sicurezza nelle scuole, proponendo un inasprimento delle pene detentive: dai cinque attuali per aggressione, a sette anni e mezzo, e dai tre ai quattro anni e mezzo per oltraggio. Prevede inoltre l’istituzione di un Osservatorio Nazionale e l’avvio della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico da celebrarsi il 15 dicembre.




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