lunedì 16 aprile 2018 - Aldo Giannuli

Pensioni in Italia: "Il tema è stato strumentalizzato, per fini politici e economici"

Da diverso tempo ormai il tema delle pensioni è in primo piano sulla scena politica nostrana: è stato tema di campagna elettorale di uno dei principali vincitori (Lega), è una riforma che torna a chiederci nuovamente il FMI nella persona di Christine Lagarde; ma soprattutto è un tema di fondamentale importanza visto la transizione demografica che stiamo attraversando. Opinionisti, politici, tecnici e presunti tali si sono sbizzarriti a dare versioni, fornire dati e a presentare punti di vista “inoppugnabili” a mezzi stampa, radiofonico e televisivo. Ma cosa c’è di vero in tutto questo? La realtà è che il tema è stato grandemente strumentalizzato, per fini politici e decisamente economici.

di Ivan Giovi

Partiamo dall’inizio di questa storia allora, ricordiamo tutti la scena della povera Elsa Fornero che in lacrime annuncia in conferenza stampa il varo della cosiddetta “riforma Fornero”, la riforma delle pensioni che trasformerà il sistema in modo completamente contributivo anche per coloro che erano esentati dalla riforma Dini del 1991, aggiunge nuovi parametri e l’aggiustamento attraverso la speranza di vita. Da quel momento in poi, o comunque con il governo Monti, inizia l’approccio tecnicistico alla politica, che non riesce più a guardare con una visione del futuro, ma puramente l’aspetto finanziario, facendo il passo di incrinare quel patto intragenerazionale che notoriamente le pensioni hanno per loro struttura, essendo le persone che lavorano (giovani) a pagare le pensioni di chi non lavora (anziani).

La legge Fornero fu giustificata dalla presunta necessità di “riforme strutturali” che “ci chiedevano i mercati” e in seguito difesa strenuamente da chi sosteneva che senza questa riforma il bilancio dell’INPS sarebbe gravato troppo sulle finanze pubbliche. I dati però mostrano un’altra cosa. Se andiamo a vedere i report della commissione europea, in particolare il Fiscal Sustainability Report del 2012 basato su dati fino al 2011, vediamo che l’Italia è l’unico paese insieme alla Lettonia a non avere problemi di Sustainability Gap (S2<0), che è l’indice di sostenibilità sul lungo termine del debito pubblico che comprende anche i costi derivanti del sistema previdenziale e assistenziale. Ma non solo, Felice Roberto Pizzuti, professore della Sapienza di Roma già nel consiglio di amministrazione dell’INPS e esperto di pensioni, su sbilanciamoci.info scrive testualmente: “l’analisi storica dei bilanci del sistema pensionistico mostra che le riforme della prima metà degli anni ’90 furono più che sufficienti a recuperare gli squilibri finanziari che si erano accumulati negli anni precedenti” e continua dicendo “già dal 1996, il saldo annuale tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali è tornato ininterrottamente in attivo”.

Appare evidente perciò che la riforma sia stata prodotta sulla base di un assunto sbagliato: la non sostenibilità delle finanze dell’INPS, e l’errore è ben spiegato nell’articolo di Pizzuti: “si fanno confusioni contabili tra le voci previdenziali e quelle assistenziali e non si tiene conto delle trattenute fiscali (che incidono diversamente nei vari paesi). Inoltre, nei confronti internazionali, l’Eurostat inserisce nella spesa previdenziale IVS anche i trattamenti di fine rapporto (TFR e TFS), sopravalutando la nostra spesa di circa l’1,5% del Pil”. Dovendo immaginare però di trovare davvero nel bilancio dell’INPS un problema, anche se non è così, le soluzioni che sono state messe in campo sono del tutto inadeguate e senza una visione di lungo periodo. In un paese come il nostro che ha un tasso di disoccupazione all’11%, di cui quella giovanile al 31,5%, la prima cosa da fare sarebbe pensare a politiche di sostegno all’occupazione e sostegno alla domanda per aggiungere entrate all’INPS e non posticipare e ridurre le uscite, che è esattamente l’intento della riforma Fornero.

Va detto che qualche anno dopo la riforma del mercato del lavoro con annessi sgravi fiscali per le assunzioni ai giovani sotto i 25 anni è stata fatta (Jobs Act), con risultati decisamente pessimi, ma che hanno rispettato in pieno le aspettative di una riforma che ha ridotto le tutele esistenti dei contratti indeterminati, ha favorito i licenziamenti e detassato il lavoro occasionale. Difatti, l’unico aumento considerevole che si registra è quello di contratti a termine e precari, mai così alti nella storia della Repubblica . Perciò le due pezze sono risultate decisamente peggiori del buco. Se da un lato la Fornero ha peggiorato l’importo delle future pensioni, il Jobs Act ha agito nella stessa identica direzione, favorendo la diminuzione salariale e quei contratti a più bassa contribuzione che faranno abbassare ulteriormente l’importo delle future pensioni. Si calcola infatti che dall’attuale 58% del salario medio le pensioni medie scenderanno nel 2035 a circa il 45%. Creando i presupposti per i giovani precari di oggi e gli anziani poveri di domani. E l’unica risposta che è stata data del Presidente dell’INPS Tito Boeri in diretta a #cartabianca è stata: “è importante per i giovani non farsi assumere con questo tipo di contratti”, come se con il 32 % di disoccupazione, a dettare le condizioni sarebbero i giovani.

A questo allarmante quadro vanno poi aggiunti i contorni della crisi demografica più importante dalla prima guerra mondiale, che andrà a diminuire sempre di più il numero delle persone in età lavorativa. Dal 1980 al 2008 i dati dei nuovi nati e quelli dei decessi sono altalenanti, alternando anni in cui vi erano maggiori nati e maggiori decessi, ma dal 2008 in poi la situazione peggiora costantemente , e il perché è soltanto uno, la crisi economica. Questa ha peggiorato una congiuntura pregressa già incrinata e questo è ben dimostrato dal fatto che da quando è entrata in vigore la legge 194 del 1978 la maggior parte delle interruzioni volontarie di gravidanza sono state causate dall’impossibilità economica di mantenere il giovane nascituro . In tale contesto l’unica soluzione che è stata prospettata dai nostri “decisori di politica economica” è stata quella di favorire l’immigrazione per sostituire i nostri nati. Nessuna misura di incentivi alle nascite come sono presenti in Francia, politiche attive per il sostegno della famiglia, ma anche – e di fondamentale importanza – tutele alla maternità delle lavoratrici dipendenti, costruzione di nuovi asili, ecc. per poter permettere al trend negativo tra nascite e decessi di invertirsi. Quello che si prospetta è un inevitabile aumento degli anziani (poveri) rispetto ai giovani (precari) e un costante aumento di nuova manodopera proveniente dall’estero disposta a lavorare ad un prezzo inferiore rendendo il mercato del lavoro altamente competitivo al ribasso, facendo così esplodere gli squilibri sociali.

Dobbiamo poi considerare il notevole controsenso, nelle misure prima esposte, di aumentare l’età pensionistica con una disoccupazione giovanile al 35%, che come sottolinea Pizzuti: “rappresenta un contro senso sociale ed economico; esso è il risultato dell’applicazione di una visione puramente finanziaria e niente affatto neutrale che mette a rischio la coesione sociale attuale e futura tra la popolazione attiva e quella a riposo”, bloccando il ricambio generazionale e l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Tale è ben confermato osservando i dati OCSE dove l’Italia rappresenta il paese con il minor numero di giovani sotto i 35 anni nella PA, il 2%, contro il 18% della media OCSE e il paese con il più alto numero di persone oltre i 55 anni, il 45% contro il 22% della media OCSE (e poi ci chiediamo perché la digitalizzazione della pubblica amministrazione tarda ad arrivare…). Creando così una barriera generazionale nel ricambio all’interno della PA, complice in questo anche il blocco del turnover disposto dal Governo Amato del 1992.

Tirando le fila del discorso possiamo notare la consistente inadeguatezza – e volontà faziosa – delle ultime riforme economiche, caratterizzate da una visione oltremodo liberistica del mercato del lavoro e da una visione puramente finanziaria nella gestione dell’INPS. Ma quello che maggiormente si evidenzia è la totale inettitudine di una classe politica, quella della Seconda Repubblica, che ha fatto il suo tempo. Per evitare che non facciano più danni sarebbe un bene che siano loro, ad andarsene in pensione.

Ivan Giovi



1 réactions


  • Stefano (---.---.---.205) 16 aprile 2018 12:24

    Dopo che la sinistra, ed io mi ritengo di sinistra, ha lottato insieme ai sindacati per dare pensioni dopo appena 15 anni di lavoro, persino 14 anni, 6 mesi e un giorno, agli agricoltori dopo 51 gg di lavoro in un anno, anche a chi la terra non la ha mai vista, a 38 anni di età ai graduati, dopo una settimana in Parlamento, mi spiace, ma è più credibile Boeri della sinistra e dei sindacati.


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