venerdì 26 aprile 2013 - Riccardo Noury - Amnesty International

Pena di morte in Cina, il coraggio di essere contro

 

Anche nel 2012 in Cina sono state eseguite presumibilmente migliaia di condanne a morte. Usiamo quell’avverbio di modo e una quantità indeterminata perché Pechino continua a non rivelare informazioni sulle condanne alla pena capitale e sulle esecuzioni.

Dichiararsi contrario alla pena di morte in Cina può essere un affare pericoloso in quanto è visto come una sfida all’autorità dello stato.

Teng Biao, avvocato e accademico 39enne di Pechino, è tra le poche persone ad aver esplicitato la propria opposizione a questa pena crudele.

Ha dedicato gli ultimi 10 anni della sua vita alla lotta per i diritti umani in Cina. Le sue richieste di riforme politiche e legali lo hanno portato ad essere arrestato, torturato e privato della licenza di avvocato. Ma nonostante ciò rimane determinato a portare avanti la sua battaglia.

Qualche anno fa ha fondato, insieme ad altri avvocati coraggiosi, l’associazione Cina contro la pena di morte, che segue in particolare i casi dei condannati alla pena capitale sottoposti a torture o affetti da malattia mentale o, fatto non raro, vittime di errori giudiziari.

“Abbiamo un gruppo di avvocati che può essere contattato dalla famiglia del condannato. In alcuni casi noi stessi leggiamo gli atti giudiziari e contattiamo le famiglie. A volte difendiamo direttamente gli imputati, in altre possiamo affiancarci agli avvocati e seguire gli sviluppi del processo”.

Cosa pensa Teng Biao della pena di morte?

“La strada da percorrere per mettere fine alla pena di morte è lunga, ma dobbiamo continuare nei nostri sforzi. La questione più importante è ridurre il numero di errori commessi dalla giustizia. Non abbiamo una giustizia indipendente. I giudici sono influenzati, o addirittura controllati, dalla polizia locale o dal Partito Comunista.

“In molti casi la polizia tortura i sospettati e i giudici usano le prove estorte in questo modo anche se sanno che sono state ottenute illegalmente. Un giudice deve escludere le prove ottenute tramite tortura, ma le corti non sono indipendenti e seguono ciò che dicono la polizia e il Partito Comunista”.

Negli ultimi due anni, stando alle fonti ufficiali, ci sono state alcune limitate riforme nel campo della pena di morte, tra cui la riduzione del numero dei crimini punibili con la pena di morte e il conferimento alla Corte suprema del popolo, il più alto tribunale in Cina, del potere di revocare le sentenze capitali.

Teng Biao resta però scettico sull’importanza di queste riforme:

“Ci sono progressi nelle nuove leggi ma la teoria è diversa dalla prassi. È molto difficile che una decisione presa da un tribunale di rango inferiore possa essere revocata in appello. Revocare una decisione avrebbe un effetto negativo sui giudici dei tribunali locali, cosa che molti tribunali di livello superiore non vogliono. I cambiamenti potrebbero far calare il numero di esecuzioni, ma resta difficile ottenere una riforma significativa”.

Recentemente Cina contro la pena di morte, così come Amnesty International, si è mobilitata in favore di Li Yan, una donna condannata a morte per aver ucciso il marito, nonostante le prove di continue violenze domestiche.

“Il suo caso spiega bene perché è necessario abolire la pena di morte in Cina. Oltretutto la maggior parte dei nostri casi non sono neanche di rei confessi, molti imputati sono innocenti.

Per Teng Biao l’abolizione della pena di morte in Cina sarà conseguita solo dopo l’instaurazione di uno stato democratico.

Senza democrazia non c’è modo di abolire la pena di morte in Cina. Molti attivisti per i diritti umani sono ottimisti per la democrazia. Quanto a me, non posso darmi per vinto. Ho una responsabilità. Ciò che faccio è giusto. Posso contribuire a rendere la Cina un paese migliore”.




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