sabato 9 aprile 2022 - Enrico Campofreda

Pakistan verso il voto anticipato

Per l’ennesima volta richiamando l’illustre passato sportivo, è intenzionato a gettarsi nella mischia - almeno così sostiene - l’ex campione che domani diventerà ex premier pakistano. Contro l’improvvido gesto di sciogliere un Parlamento che lo stava sfiduciando Imran Khan ha ricevuto lo schiaffo della Corte Suprema. 

Uno schiaffo ponderato per cinque giorni, e forse per questo ancora più sonoro. Lo speaker dell’Assemblea Nazionale, sodale del Primo Ministro e aderente al suo stesso partito (Tehreek-e Insaf), aveva lanciato il cuore oltre l’ostacolo considerando “un’ingerenza straniera” la delibera presentata dall’opposizione contro un esecutivo azzoppato dal ritiro di ex alleati. La contromossa governativa, che ha impedito il voto e sciolto il Parlamento (violando la Costituzione), è considerata illegale dai giudici. Perciò domani i deputati saranno al loro posto a sfiduciare Khan. Per evitare quel voto lui potrebbe dimettersi, non eviterebbe l’onta che ne azzera un quinquennio incapace di giunge al traguardo naturale del prossimo anno. In realtà il campione di cricket lanciatosi in politica non è il primo premier a cadere anzitempo. Il decennio che l’ha preceduto, e le epoche passate, hanno conosciuto turbolenze e colpi bassi, golpe compresi, verso capi di governo incapaci di offrire stabilità a una nazione di per sé turbata da conflitti ideali, religiosi, amministrativi. Erano state proprio la questione morale, la corruzione, le ruberie di cui sono stati accusati esponenti dei maggiori gruppi politici (Partito Popolare Pakistano e Lega Musulmana del Pakistan - Nawaz) a lanciare l’esperimento di Khan. Una ribellione dal basso sebbene messa in mano a un riccone, un moto di cittadinanza contro i professionisti della politica e i clan familiari, padroni del sistema da oltre un cinquantennio.

Eppure sono gli epigoni delle “tribù” Bhutto e Sharif a vendicarsi del sedicente uomo nuovo, presto rivelatosi demagogo e incapace quanto i predecessori. Hanno avuto vita facile in virtù di quel che è accaduto nell’ultimo biennio, quando pandemia e inflazione picchiavano duro su una società che stentava a stare al passo con le sfide geopolitiche regionali, cui il leader del Paese non voleva rinunciare, e le difficoltà di approvvigionamenti energetici indispensabili alle industrie. Se il settore tessile continua a rappresentare i 2/3 dell’esportazione pakistana, lo sfruttamento minerario (per produzioni tradizionali e per talune branche hi-teach) viene usato da aziende straniere, cui vari governi hanno garantito incentivi e sgravi fiscali. Questi s’uniscono a un’assoluta mancanza di diritti e tutele per i lavoratori che, nonostante i richiami alla giustizia d’ogni sponda politica, semplicemente non esistono. Nonostante questi fattori favorevoli a padroncini e multinazionali la perdita del valore della rupia è cresciuta a dismisura, passando da un cambio di 90-92 per un dollaro del 2012, alle 188 rupie attuali. E la salita verticale coincide proprio con l’arrivo di Khan nel 2018, nel cambio c’è stata solo una breve flessione a 150 rupie per un dollaro di metà 2021. Ovviamente l’inflazione è alle stelle con una ricaduta sui prezzi alimentari, anche basilari come il riso, e aumenti che se nel periodo più duro del 2020 oscillavano attorno al 23-25%, per tutto l’anno in corso non sono scesi sotto il 15%. Al di là di cercare contratti energetici favorevoli per cui è volato a Mosca nel giorno in cui Putin avvìava l’invasione dell’Ucraina, il premier pakistano aveva cincischiato iniziative interne rivolte a questioni ideologiche (gli accordi coi fondamentalisti del movimento Tehreek Labbaik, l’incontro coi jiahadisti del gruppo Tehreek-e Taliban conclusosi con un nulla di fatto) più che al travagliato quadro sociale. Sull’onda della popolarità acquisita Khan tirava dritto sentendosi un Politico con la maiuscola, proiettato al cospetto dei grandi del mondo. E’ giunto il tonfo. E le elezioni anticipate se l’Esercito, la lobby più potente degli stessi clan politici, le permetterà, difficilmente offriranno un futuro all’uomo venuto dal campo ovale.

Enrico Campofreda

 




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