lunedì 22 agosto 2022 - Enrico Campofreda

Pakistan, passerella di generali

Venti giorni di fuoco o poco più, per il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif che deve designare il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e l’organico dei collaboratori, nel Quartier Generale delle Forze Armate e nel Comitato congiunto delle stesse. 

Accanto ai 650.000 soldati di terra, si contano i 70.000 piloti e i 35.000 marinai, oltre ai 400.000 paramilitari divisi fra guardia nazionale, ranger, militi di frontiera e polizia di frontiera (quest’ultimi in numero di 110.000 davanti ai confini fra i più porosi del mondo geopolitico, se si pensa al via-vai talebano e jihadista nelle aree delle Fata e del Waziristan). Ora che anche i militari di Islamabad s’uniscono al fronte asiatico nella muscolare esercitazione Vostok-2022 la collocazione dei generali nei posti chiave del comando costituisce un busillis per la politica e nelle sfere di chi determina cosa nel Paese. Un Paese atomico per le centosessantacinque testate nucleari di cui è dotato e la crescita demografica esponenziale che oggi fa registrare 220 milioni di abitanti, ma già fra un anno la cifra crescerà com’è accaduto per decenni. La lobby delle stellette rappresenta, come e più di altre nazioni, un potere che in diversi casi ha influenzato la politica, quando non l’ha completamente sostituita. Due nomi su tutti: il generale-dittatore Zia ul-Haq, dominatore del decennio 1978-88 e il presidente in odore di dittatura Pervez Musharraf, in carica dal 2001 al 2008. Quest’ultimo venne indicato come il mandante dell’attentato a Benazir Bhutto, un’esponente dell’altro volto che caratterizza la giovane nazione islamica: i clan familiari. Sull’influenza, i compromessi, la dura contrapposizione, che travalica le sigle di partito, dei due pilastri del sistema pakistano - generali e familismo politico - s’innescano i due incomodi: l’Intelligence e il fondamentalismo jihadista. Sistemi che s’intersecano e interagiscono contro nemici interni ed esterni.

Perciò le nomine di queste settimane diventano importantissime, dopo il pensionamento del dominus, il generale Javed Bajwa, la cui ombra ha percorso il Paese ben oltre un mandato avviato nel 2016. Da Capo di Stato Maggiore dopo un triennio Bajwa avrebbe dovuto lasciare, invece il nuovo premier Khan gli prolungò il servizio di tre mesi, per poi rinnovarglielo per tre anni. Diversi analisti hanno avallato l’ipotesi della ricompensa per il lavoro occulto e palese con cui lui aveva isolato l’allora partito di governo, Lega Musulmana, favorendo il Movimento per la Giustizia di Khan trionfatore alle urne nel 2018. Insomma così potente è l’impatto di queste cariche? Pare proprio di sì. Ufficialmente la scelta sarà operata dal governo, ma scorrendo i curricula dei sei candidati alla direzione dello Stato Maggiore quasi sempre ricorre l’ombra del generale Bajwa, assai probabile suggeritore del suo successore. Il sestetto degli alti ufficiali papabili s’apre con Asim Munir, che del generalone è stato collaboratore. Nel suo passato anche un ruolo di vertice nei Servizi segreti, durato però misteriosamente pochissimo. In ottima posizione è Shamshad Mirza, che vanta una ragguardevole carriera. Negli ultimi anni sua la direzione generale di operazioni d’importanza strategica accanto al generale Raheel Sharif, il grande persecutore dei Tehreek-i Taliban nel Warizistan settentrionale. Alle qualità guerresche Mirza aggiunge doti diplomatiche, mostrate in occasione dei colloqui inter-afghani che hanno accompagnato il ritiro delle truppe statunitensi. A quel tavolo partecipavano le delegazioni americana e cinese, maestre di trattative, e vista la disilvoltura di Mirza il ministro degli esteri pakistano Qureshi ne ha richiesto la presenza in successivi incontri con l’omologo cinese Wang Yi.

Azhar Abbas ha curato con avvedutezza e fermezza i rapporti con la focosa India di Modi. La preparazione a certe difficoltà è passata attraverso la direzione del X Corpo, unità d’eccellenza di stanza a Rawalpindi, utilizzata nelle aree calde come il Kashmir. Anche lui ha consolidato la carriera accanto al ferreo Raheel Sharif di cui era responsabile per la formazione del personale. Nauman Mehmood, dopo una profonda esperienza quale istruttore capo del Comando del College militare di Quetta, è stato cooptato come direttore generale nella sezione analisi dell’Inter-Services-Intelligence. La posizione gli ha offerto un’ampia gamma di esperienze e confronti coi Servizi stranieri. Chiudono il gruppo Faiz Hamid e Mohammad Amir. Hamid si pone prima fila nel possibile incarico di Capo di Stato Maggiore per una speciale vicinanza al generale Bajwa. Anche lui è passato per il citato X Corpo, l’ha fatto proprio sotto la guida di Bajwa di cui era ammiratore e fedelissimo collaboratore. Nella spedita carriera di Hamid è giunta poi la responsabilità per la sicurezza interna e gli affari politici dell’Isi. Ma proprio la posizione nell’Agenzia gli ha creato una controversia con l’ex premier Khan che, spingendo sugli alti comandi militari, trasferiva il generale al Corpo di Peshawar, nonostante lui non gradisse. Sebbene Hamid sia entrato in contrasto col maggior avversario politico dell’attuale leadership governativa, gli informati sostengono che ormai il ceto politico non si fida di lui. Anche Amir è cresciuto sotto l’ombra protettrice del generale Bajwa, di cui era confidente. Ha comandato la divisione di fanteria nella turbolenta Lahore, è stato pure segretario militare del presidente Zardari dal 2011 al 2013. Ma quella che sembra una medaglia non è detto che diventi un trampolino di lancio. 

Enrico Campofreda




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