martedì 21 agosto 2012 - Riccardo Noury - Amnesty International

Pakistan, le leggi contro la blasfemia colpiscono gli ahmadi

 

In questo blog abbiamo più volte raccontato la vicenda di Asia Bibi, la cristiana condannata a morte in Pakistan con l’accusa di aver violato le leggi contro la blasfemia e per salvare la quale proseguono gli appelli Abbiamo anche denunciato l’uccisione di chi lottava per abrogarle.

Questa legislazione colpisce a tutto campo le espressioni di fede non islamiche.

Ne sa qualcosa un appartenente alla comunità ahmadiyyaMuhammad Ashraf, un gioielliere del bazar di Sillanwali, una città della provincia del Punjab, che rischia la condanna per “essersi atteggiato a musulmano” e per aver esposto nel suo negozio la traduzione di un versetto del Corano: “O voi che credete, dite sempre la verità” (Corano XXXIII. Al-Ahzâb, 70-71).

Il 22 luglio uno zelante cliente, tale Hafiz Imran, è entrato nella gioielleria di Ashraf e, vista la scritta, gli ha chiesto di toglierla, dicendogli: “Sono belle parole, ma stanno nel posto sbagliato”. Stavano nel posto sbagliato da ben sette anni, ricorda Ashraf, che ha ignorato la richiesta. Piccato, Hafiz Imran è andato a denunciare il fatto alla polizia. La polizia è arrivata al negozio e ha preso atto che la “prova del reato” stava lì.

Ashraf è stato arrestato il giorno dopo, posto in una cella con assassini condannati a morte e rilasciato il 31 luglio su cauzione, in attesa del processo.

Davanti al giudice del tribunale distrettuale di Sargodha, Ashraf dovrà rispondere della violazione della sezione 298-C dell’Ordinanza del 1984, che punisce con unmassimo di tre anni di carcere “un ahmadi che definisce la sua fede come Islam, o prega o propaga la sua fede o invita altri a condividere la sua fede con la parola, scritta o orale o con rappresentazioni visibili o in qualsiasi altro modo che oltraggi il sentimento religioso dei musulmani”. Una norma espressamente scritta per gli ahmadi (e per altre due minoranze religiose nominate nel testo), i fedeli della comunità ahmadiyya, considerata non islamica dalle autorità religiose e perseguitata sul piano penale da quelle giudiziarie. Nel caso di Asia Bibi si è invece applicata la sezione 295-C della medesima Ordinanza.

Ashraf è recidivo. Nel 2009, insieme ad altri due commercianti ahmadi che hanno il negozio nello stesso bazar, era stato arrestato per “essersi atteggiato a musulmano” e aver pregato in un angolo del mercato. Era finita col semplice pagamento di una multa.

Il portavoce della comunità ahmadi ha commentato amaramente:

“La polizia del Punjab non ha niente di meglio da fare che ricevere denunce contro pacifici cittadini? Non farebbe meglio a occuparsi di terroristi e criminali?”

I procedimenti giudiziari in corso per violazione della sezione 298-C sono numerosi in tutto il Punjab. È sotto inchiesta addirittura un’intera città, Rabwah, la cui è popolazione appartiene quasi interamente alla comunità ahmadiyya.

Ha preso la parola anche Asma Jahangir, ex presidente della Commissione per i diritti umani del Pakistan e dell’Associazione degli avvocati della Corte suprema:

“Gli ahmadi in Pakistan sono trattati come se fossero lebbrosi. Non sostengo la loro fede ma mi batto perché non siano perseguitati. Per questo hanno minacciato di uccidermi”.

Altri casi di persecuzione contro la comunità ahmadiyya sono raccontati in questa cronologia.




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