martedì 5 ottobre 2021 - Enrico Campofreda

Pakistan, i ministri-faccendieri del Palazzo

Imran Khan, da un triennio premier pakistano, nella lista definita ‘Pandora Papers’ - rivelatrice di fatti e misfatti di politici, imprenditori, manager e vip mondiali allergici al fisco - non compare affatto.

 Immacolato, come il salwar kamice che ama sfoggiare in consessi globali per marchiare appartenenza e tradizione, s’è già impegnato a fare luce sulle responsabilità di nativi pakistani. Non ha aggiunto che ruotano attorno al suo potere. Dalle rivelazioni del ‘Consorzio internazionale di giornalisti investigativi’ curatore dell’inchiesta, costoro sono meno d’un migliaio – settecento per la precisione – che rispetto ai duecentoventi milioni di cittadini rappresentano un’inezia. Ma quell’inezia muove un’enorme quantità di denaro, anche pubblico, finito sui conti offshore di due ministri (delle Finanze, Shaukat Tarin, e Risorse idriche, Moonis Elahi). E di manager, ufficiali d’alto rango delle Forze Armate, loro familiari, faccendieri e prestanome, invischiatissimi. Molto occidentalmente il Primo Ministro s’è tenuto fuori da dirette responsabilità, evitando di sporcarsi la reputazione, ma il suo entourage è impantanato fino al collo e il celebrato campione di cricket prestato alla politica potrebbe finire a ramengo, come accadde a Sharif quattro anni or sono. Il responsabile del dicastero delle Finanze e i suoi parenti posseggono quattro società offshore. Tarin lo giustifica come parte d’un processo di raccolta fondi per la sua banca (sic).

Il ministro Elahi, tramite la società di servizi Asiatici Trust, ha cercato d’investire 5,6 milioni di dollari provenienti da un presunto scandalo di prestito a una fiduciaria. L’Asiatici lo accettò come cliente malgrado i fattori di rischio evidenziati da accertamenti: il coinvolgimento in un progetto di sviluppo in odore di corruzione nella popolosa provincia del Punjab. Gli Elahi sono un potente clan. Il padre dell’attuale ministro era un alleato di ferro di Musharraf, la famiglia è stata coinvolta in scandali corruttivi multimilionari. Il più noto, tramite la Banca del Punjab, superava il mezzo miliardo di dollari di prestiti non garantiti offerti a ignari clienti. I prestiti irrecuperabili vennero coperti con cauzioni pagate dal governo locale, cioè con proventi pubblici. Secondo lo scavo compiuto dall’International Consortium Investigative Journalist, anche la transazione proposta dal ministro Elahi ad Asiaciti Trust avveniva coi prestiti della Banca del Punjab. Quest’ultima propone a Elahi un investimento con un agente che avrebbe due proprietà nel Regno Unito e individua un potenziale investimento in uno zuccherificio. Il ministro ha fatto marcia indietro solo quando Asiatici Trust ha dichiarato di voler informare l’autorità delle tasse in merito alla mediazione, mostrando una registrazione. Già anni addietro la moglie di Elahi usò una società di comodo per una transazione su un appartamento londinese, valutato 8,2 milioni di dollari. Il ministro nega gli addebiti considerandosi vittima di complotti.

Dallo scrigno di Pandora fuoriescono riferimenti ad altri sostenitori di peso del premier pakistano. Ne scaturisce una parentopoli: il figlio dell’ex ministro delle Finanze Masood Khan (quest’ultimo era iper fedelissimo dell’omonimo leader e suo segretario particolare), il fratello del ministro dell’Industria Bakhtyar, il precedente responsabile del dicastero delle Risorse Idriche, Vawda, usano tutti trasferire denaro su conti coperti, lontani da controlli fiscali. Anche Bakhtyar muove un milione di dollari attorno ad appartamenti londinesi. Nella lista dei faccendieri-bancarottieri compaiono il non proprio onorevole banchiere Naqvi, molto solvente in appoggio alla campagna elettorale 2013 di Khan e accusato da un procuratore statunitense d’una frode di 400 milioni di dollari. E un altro finanziatore: Tariq Shafi, beneficiario di 215 milioni di dollari grazie a compagnìe offshore. Accanto ai borghesi della politica tracimano dal vaso i volti di uomini in divisa: un alto generale alleatissimo di Musharraf che grazie alle triangolazioni offshore ha acquistato case per 1,2 milioni di dollari. Un intoccabile dell’Inter-Service Intelligence – il generale Nusrat Naeem – che registrava una Società di petrolio e gas e tentava l’acquisto di un’acciaieria senza avere l’importo richiesto (1,7 milioni di dollari), per poi vedere archiviata ogni cosa. Fra i pakistani possessori di società offshore non mancano gli editori (Media Dawn, Express Media Group, Gourmet) che possono spendere capitali e servizi a favore del premier. La boa di salvataggio di Imran Khan è che in quel Palazzo lui ci sta di passaggio.

Enrico Campofreda 




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