mercoledì 2 ottobre 2019 - Riccardo Noury - Amnesty International

Pakistan, “blasfemo” assolto dopo 18 anni nel braccio della morte

Wajih-ul-Hassan, un cittadino pachistano di religione musulmana, è uscito dal braccio della morte il 25 settembre.

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C’era entrato 18 anni prima, accusato di aver scritto una lettera “offensiva” a un avvocato, da questi resa poi pubblica, e dunque passibile della più estrema delle sanzioni ai sensi delle leggi sulla blasfemia.

La Corte suprema ha stabilito che non vi sono prove certe che Wajih sia l’autore della lettera, cosa che l’ormai ex condannato a morte aveva sostenuto per quasi 20 anni.

In questo blog, seguendo in particolare la vera e propria “via crucis” giudiziaria della cristiana Asia Bibiora in esilio, abbiamo più volte denunciato come le leggi sulla blasfemia, introdotte negli anni Ottanta per punire coloro che dissacrano il Corano e offendono il profeta Maometto – si prestino all’abuso e all’arbitrio più assoluti.

Dal 1987 al 2014, secondo la Commissione nazionale per la giustizia e la pace, 1300 persone sono state accusate di “blasfemia”. Se è vero che la maggior parte degli accusati è di religione musulmana, va sottolineato come il 14 per cento dei processi abbia riguardato non-musulmani, che costituiscono il tre per cento della popolazione del Pakistan.

Almeno 40 persone sono in carcere, condannate all’ergastolo o alla pena di morte. Fortunatamente, dall’entrata in vigore delle leggi non ha avuto luogo alcuna esecuzione capitale.

Ma folle di facinorosi si sono fatte giustizia da sé: secondo il Centro di ricerca e studi sulla sicurezza, dal 1990 sono stati assassinati per via extra-giudiziale almeno 65 sospetti “blasfemi”.

Foto: Pixabay




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