giovedì 21 giugno 2018 - Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica

Onryō: i fantasmi del rancore femminile nella cultura del Giappone

Sarà capitato a tutti negli ultimi anni di imbattersi in qualche film horror orientale o in qualche remake di film orientali in cui il fantasma di una donna morta perseguita senza sosta le persone che vi si imbattono o infesta dei luoghi specifici con apparizioni terrificanti. Il fenomeno in realtà è più complesso di quello che sembra e affonda le sue radici nella cultura orientale stessa.

Gli Onryō (spiriti vendicativi) e Yūrei (fantasmi) tempestano le storie di terrore e di fantasmi in Giappone dalla notte dei tempi. I primi esempi di storie di fantasmi di questo tipo risalgono al VII-VIII secolo D.C. ed esse si arricchirono e moltiplicarono a tal punto che nel periodo Edo (1603-1868) entrarono a far parte di una sorta di macabro gioco chiamato Hyakumonogatari Kaidankai (letteralmente “raccolta di 100 racconti misteriosi”), tuttora praticato in Giappone, ma che risale all’epoca dei Samurai: “In una stanza venivano accese 100 candele, attorno alle quali sedevano altrettanti partecipanti. A turno, ognuno doveva raccontare una storia di fantasmi, un racconto folkloristico, un evento soprannaturale; al termine doveva spegnere una delle candele. Con una candela spenta dopo ogni racconto, l’ambiente diventava sempre più scuro e, alla fine, con lo spegnimento dell’ultima candela, il buio era assoluto: quello era il momento in cui si sarebbe manifestato qualche evento soprannaturale, in cui gli spiriti evocati si sarebbero rivelati.” (Cristiano Suriani, http://www.tuttogiappone.eu/lo-hyak...).

Alla base di tutte queste credenze si può evidenziare una comune visione del mondo estremo orientale. La tradizione affonda le sue radici in due culti fondamentali giapponesi: il culto dei kami – forze energetiche che permeano ogni cosa e che vengono anche concepiti come spiriti – e il culto dei morti e degli antenati. In Giappone molti dei riti che vengono effettuati nei templi e nelle case sono finalizzati proprio a ingraziarsi questi spiriti e per rimanere in “buoni rapporti” con i kami della natura, degli antenati (le cui anime, solitamente protettive, vengono chiamate reikon), e potenzialmente di ogni cosa.

Allo stesso tempo nella cultura buddhista, entrata in Giappone intorno al VI secolo D.C., si narra di demoni famelici e terrificanti in cerca di requie, spiriti affamati in tutti i sensi, non a caso in molti templi buddhisti vengono messi alcuni resti di cibo sull’uscio della porta proprio per placare la fame atavica di questi spiriti, ovviamente simbolica. Sicuramente queste figure hanno influenzato e permesso la nascita delle storie di fantasmi giapponesi, che a volte ne riproducono alcuni tratti, anche esteriori.

Morti particolarmente violente, crimini efferati, violenze, avvenimenti dolorosi e penosi subiti in vita sono gli ingredienti per cui lo spirito di un morto può rimanere a metà tra il mondo dei vivi e quello dei morti – anche in oriente esiste una sorta di purgatorio – al fine di mettere in atto la propria vendetta o trovare la giustizia che non ha ottenuto in vita.

La cosa più evidente di questi fantasmi vendicativi è che per la quasi maggior parte essi sono fantasmi femminili. Data la cultura maschilista e patriarcale tipica del Giappone e data la particolare cruenza che ha contraddistinto molta della storia di questo paese – unita e contrapposta ad una eccezionale eleganza e raffinatezza – è opinione unanime di studiosi e antropologi che in realtà queste storie nascano proprio dalla “cattiva coscienza” di questo popolo che ha relegato le donne sempre in condizioni di inferiorità, spesso forzata, e comunque di totale e prono servilismo nei confronti del maschio. Non a caso molte delle storie di questi fantasmi derivano da morti atroci inflitte a donne oneste indifese e innamorate, amanti, mogli il cui spirito continua ad infestare luoghi e persone. Solitamente sono vestite di bianco, senza arti inferiori (esse fluttuano nel mondo dei vivi abolendo le leggi dello spazio-tempo) e una folta capigliatura nera ne nasconde volti spesso emaciati, terrificanti, la cui vista può spesso risultare mortale. Il potere maligno deriva proprio da tutto il dolore sopportato in vita e da tutto il rancore accumulato durante l’esistenza terrena che si perpetra anche dopo la morte, rendendo lo spirito malefico insaziabile. Più la persona ha sofferto da viva più la sua malignità sarà implacabile, quasi a ricordare il potere del karma per la cultura buddhista: non c’è perdono che tenga, chi sbaglia, chi fa del male deve pagare fino all’ultimo centesimo, proprio questa è la giustizia e proprio questo fa più paura. Spesso queste donne amavano gli uomini che le hanno uccise e questo ne esacerba l’odio e la disperazione. Per rendere ancora più ferale la loro vendetta esse cercano di devastare la vita dei soggetti del loro rancore infliggendo le peggiori pene ai loro cari, non colpendoli direttamente. Questa caratteristica si può ritrovare generalmente nell’agito femminile in genere, a causa della minore forza fisica e sociale, per cui spesso se una donna vuole fare del male volontariamente agirà in modo, più che fisico, indiretto.

Volendo tracciare un parallelismo con la nostra cultura sarà bene accennare alla credenza già presente in epoca romana e medievale sull’esistenza della “succuba” (anche succubo o succube): un tipico demone femminile che di notte succhia via l’energia vitale agli uomini. Con la stessa credenza si spiegava anche il fenomeni della polluzione notturna. Questi demoni al femminile (esiste anche la versione maschile i così detti “incubi”) sono molto avvenenti e irresistibili ed hanno delle capacità erotiche molto potenti dovute alla loro connessione con il demoniaco. Anche in questo caso si assiste dunque ad una sorta di rivalsa del sesso femminile nei confronti di un maschile soverchiante, attaccato proprio nei momenti di maggiore debolezza, come appunto durante il sonno.

Paradigmatica in Giappone e famosa al punto da trarne anche un’opera teatrale in 5 atti e da divenire il soggetto di molti dipinti, tra cui alcuni dello stesso Hokusai, la storia di Oiwa è esemplificativa di quanto detto finora. Qui di seguito un riassunto della storia come riportata dal sito Japanitaly: “Questa è una delle storie di fantasmi più famose in Giappone, dove è anche conosciuta come Yotsuya Kaidan. Oiwa era una bellissima ragazza che viveva in una cittadina. Aveva un ragazzo, Iemon, povero, ma che amava molto. Si sposarono e lei rimase incinta, ma anche se per Oiwa il fatto che Iemon fosse povero non era mai stato importante, con la nascita prossima del figlio le cose cambiarono e divenne depressa e nervosa. Il marito cominciò presto una relazione con una donna ricca, tale Oume, che si innamorò perdutamente di lui, anche se era povero e sposato. Ma un giorno il padre di lei volle incontrare Iemon e gli disse che sarebbe stato uno scandalo per loro se sua figlia avesse avuto una relazione ufficiale con un uomo già sposato. E per questo lui si convinse che era meglio sbarazzarsi della moglie e del figlio in arrivo usando del veleno. Una sera Oiwa notò il marito nervoso e nonostante lo invitasse a farlo non toccò cibo. Lo mangiò invece Oiwa che subito cominciò a sentirsi male. Oiwa però non morì e il marito non ebbe il coraggio di finirla. La adagiò sul letto con il volto che era diventato sfigurato a causa del veleno e con il bambino che era andato perso. Infine si decise a prese la moglie e la portò in una collina e da lì la gettò in un dirupo. Venne ritrovato il corpo e venne celebrato il funerale. Il marito spese moltissimo per il funerale, sapendo che di lì a poco sarebbe diventato ricco, sposando Oume. Lemon era sicuro che le cose ora sarebbero andate per il meglio, ma un giorno vide il volto sfigurato della moglie nella penombra della stanza, che diventava sempre più grande e gli gridava “traditore!”. Quando spense la lampada l’immagine scomparve e credette ad una suggestione. Il giorno del matrimonio con Oume, prima del fatidico sì, alzando il velo vide il volto sfigurato di Oiwa e preso dalla paura le tagliò la testa. Quando rivide la faccia della sposa questi era Oume e non Oiwa. Scappò via tornando a casa, cercando un nascondiglio, ma il padre della sposa decapitata lo inseguì. A casa trovo Oiwa innanzi a lui che gli gridava “traditore!”. Lui tirò di nuovo fuori la spada e decapitò il fantasma, ma quando vide di nuovo si rese conto che aveva decapitato non il fantasma di Oiwa ma il padre di Oume. Corse via, andando in direzione della collina dove uccise la moglie. La risata di Oiwa lo seguiva ovunque, finchè dei passanti riportarono di aver visto una donna spingere Iemon in un dirupo e gettarsi poi con lui, continuando a ridere. (https://www.japanitaly.it/products/oiwa/).

I film horror come The Ring o The Grudge sono la normale prosecuzione di queste storie di fantasmi che tanto impressionano il popolo del Sol Levante, i cui remake americani, provenendo da un background culturale totalmente diverso, risultano alquanto discutibili.

 

Tirocinante: Giorgio Carducci

Tutor: Fabiana Salucci

 

BIBLIOGRAFIA

Bush L. C. (2001), Asian Horror Encyclopedia, Writers Club Press.

Galbraith,S. (1994), Japanese Fantasy, Science Fiction and Horror Films. McFarland and Co., Inc.

Iwasaka, Michiko,(1994), Ghosts and the Japanese: Cultural Experience in Japanese Death Legends, USA, Utah State University Press 1994.

McCullough W. H. (1973), Ōta, Saburo (太田三郎); Fukuda, Rikutaro (福田陸太郎), eds., “Spirit Possession in the Heian Period”Studies on Japanese Culture (日本文化研究論集), The Japan P.E.N. Club, 1: 97.

Plutschow, H. E. (1990), Chaos and Cosmos: Ritual in Early and Medieval Japanese Literature, BRILL




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