venerdì 1 gennaio 2016 - Riccardo Noury - Amnesty International

Nel 2015 67 giornalisti uccisi per il loro lavoro, quasi 200 quelli imprigionati

Sono 67, secondo Reporter senza frontierei giornalisti uccisi nel mondo nel 2015 a causa del loro lavoro o mentre stavano svolgendo il loro lavoro: in media, uno ogni cinque giorni. Altri 43 sono morti in circostanze sconosciute o non chiarite. A questo tragico bilancio vanno aggiunti 26 media-attivisti e sette assistenti.

Sale così a 787 il numero dei giornalisti uccisi negli ultimi 10 anni per ragioni direttamente connesse al loro lavoro.

Il maggior numero di giornalisti uccisi nel 2015 è stato registrato in Siria e Iraq. Ma il dato su cui occorre riflettere è che, in controtendenza rispetto al 2014, due terzi degli omicidi sono avvenuti in paesi in cui non erano in corso conflitti.

A rovesciare il rapporto tra “zone di guerra” e “zone di pace” non è stata solo la strage di Parigi alla redazione di Charlie Hebdo. La percentuale dev’essere interpretata come il segnale che il giornalismo d’inchiesta (quello che si occupa di criminalità, di corruzione nelle istituzioni e dei rapporti tra la prima e la seconda) fa sempre più paura. E dev’essere messo a tacere.

Una situazione drammatica, dunque, cui dobbiamo aggiungere i dati relativi ai giornalisti imprigionati nel corso dell’anno: 199 secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, con Cina, Turchia ed Egitto ai primi tre posti.

Stante l’ormai acclarata incapacità dei governi di proteggere chi fa informazione, Reporter senza frontiere ha sollecitato la nomina di un rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite incaricato di ricordare ai governi i loro obblighi internazionali in materia di tutela dei giornalisti e pretenderne il rispetto.




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