lunedì 27 novembre 2017 - Carmelo Musumeci

Morte di Riina: trattato peggio delle aragoste | È ora di riformare l’ergastolo?

Nell’interessante libro dell’avvocato Nicodemo Gentile dal titolo “Laggiù tra il ferro” (Editore: Imprimatur) ho appena letto questo brano:

 

Qualche mese fa mi trovavo in Cassazione per discutere un ricorso e, prima che chiamassero il mio procedimento, ho assistito alla accorata discussione di una collega, che rappresentava gli interessi di un'associazione animalista costituitasi parte civile nei confronti di un ristoratore, reo di aver tenuto astici ed aragoste in acqua e ghiaccio con le chele legate. Appresi dalla stampa, qualche giorno dopo, che la Collega aveva colto nel segno: i Giudici (sentenza 30177 del 17.01.2017) confermarono la condanna dell'uomo, perché – spiegarono – passi che vengano cucinati quando sono ancora vivi, come vuole la consuetudine sociale, ma non possono essere conservati in modo tale da arrecare loro, "esseri senzienti", inutili sofferenze. Tanto basta per integrare il reato di maltrattamento di animali. È senz'altro apprezzabile la sensibilità che questi Giudici hanno mostrato di fronte alle sofferenze di astici e aragoste, ma sarebbe auspicabile, con i dovuti distinguo, una apertura maggiore nei confronti di altri "esseri senzienti", gli uomini e le donne che popolano le nostre carceri, la cui detenzione spesso si sostanzia in un trattamento addirittura deteriore rispetto a quello riservato agli animali.

Qualcuno potrebbe replicare che le aragoste non fanno reati, e questo è vero. Molti però non sanno che quando muore un ergastolano c’è una sorta di quasi invidia fra gli altri ergastolani, perché molti di loro hanno più paura della vita che della morte. In punta di piedi, sperando di non offendere le vittime che ha fatto la mafia, a cui va tutta la mia solidarietà, desidero dire qualcosa sulla morte di Salvatore Riina. Sulla sua scomparsa si è scritto di tutto, ma quasi nessuno ha detto che adesso la mafia politica e finanziaria sarà più forte di prima, dopo la scomparsa dell’ultimo boss dalla mafia militare e stragista.

Molte persone sono convinte che il terrorismo religioso o politico e la criminalità organizzata si combattano e si vincano con la pena di morte o con la pena dell’ergastolo, e con il regime di tortura del 41 bis. In realtà non sanno quanto si sbagliano, perché la storia ci insegna il contrario e il male, da solo, anche se dato in nome della legge o del Dio di turno, moltiplica altro male. A mio parere, lo Stato inizialmente deve difendersi, anche con fermezza, ma nello stesso tempo deve pensare a sconfiggere questi fenomeni criminali culturalmente, affinché non si ripetano. Quasi nessun politico, invece, si rende conto che in Italia il carcere non funziona, se l’ottanta per cento delle persone che entrano in galera una volta fuori poi ci rientrano. Penso che solo l’amore sociale può fare uscire il senso di colpa per il male fatto, non certo una pena che fa solo male. L’ho detto tante volte che in carcere quello che manca più di tutto è proprio l’amore sociale. Solo questo può sconfiggere la mafia e creare sicurezza nella società. I padri della nostra Costituzione lo sapevano bene, forse perché alcuni di loro in carcere hanno trascorso tanti anni, se hanno stabilito che la pena deve avere solo la funzione rieducativa. In poche parole per loro la pena avrebbe dovuto fare solo bene e non male, come invece accade oggi nelle nostre Patrie Galere, nella stragrande maggioranza dei casi.

Penso che il carcere dovrebbe solo contenere il corpo del prigioniero, però dovrebbe liberargli il cuore e la mente dalla cultura che lo ha portato in galera, ma questo, purtroppo, non avviene mai. Qualcuno si è lamentato che Riina non ha dimostrato mai nessun pentimento, ma io sfido chiunque a cambiare e a migliorare vivendo nelle sue condizioni per quasi un quarto di secolo, murato e sepolto vivo. Ed è incredibile che neppure da moribondo gli sia stato concesso di abbracciare i propri familiari. Probabilmente adesso qualche professionista dell’antimafia dirà che non era il caso di seppellire il suo cadavere nel cimitero di Corleone perché potrebbe lanciare ancora messaggi dall’aldilà ai suoi picciotti. Non voglio fare dell’ironia, ma il regime di tortura del 41 bis ti squarcia dentro e ti fa sentire una vittima, anche se sei il peggiore criminale del mondo.

Adesso spero che dopo la morte di Provenzano e Riina lo Stato faccia qualcosa per liberare culturalmente e fisicamente quegli ergastolani che sono entrati in carcere appena maggiorenni e che hanno passati più anni della loro vita dentro che fuori. Ecco la storia di uno di loro:

Cosimo è stato arrestato nel 1991, all’età di diciannove anni. Quando è stato condannato alla pena dell’ergastolo pensava che non era ancora morto e che avrebbe potuto uscire dopo 20, 30, 40, 50, addirittura dopo 100 anni di carcere, in permesso, semilibertà e in condizionale. Cosimo col suo quarantaseiesimo compleanno ha passato più di 27 anni in carcere, molti di più di quelli che ha vissuto fuori. Eppure lui ha sempre creduto a quello che sentiva alla televisione e a quello che leggeva sui giornali. Cosimo ha sempre creduto a quello che dicevano i politici: -La pena dell’ergastolo in realtà non esiste perché si può uscire in permesso premio, in semilibertà e in condizionale. Cosimo è stato un ingenuo: per tanti anni ha creduto che un giorno sarebbe uscito, che un giorno si sarebbe sposato e che avrebbe avuto dei figli. Ora Cosimo, dopo ventisette anni di carcere, alla richiesta di un permesso premio, ha ricevuto la risposta del magistrato di sorveglianza e ha capito che non potrà mai uscire, né ora né mai: -Considerando che i delitti sono stati commessi al fine i agevolare l’associazione criminosa di appartenenza e pertanto ostativi alla concessione dei benefici, dichiara inammissibile la richiesta di permesso. Cosimo ora sa che sarà sempre, e per sempre, colpevole. Chiedere questo tipo di giustizia è orribile: è più comprensibile chiedere la vendetta con una pena di morte. Penso che Cosimo sia meno pericoloso di un politico corrotto o di un banchiere che fa i prestiti da strozzino, o di molti imprenditori colpevoli di tanti omicidi bianchi. Io credo che Cosimo sia meno pericoloso dell’ex presidente della Parmalat, che ha fatto un buco da tre miliardi di euro e se l’è cavata con qualche mese di carcere. Io penso che anche a Cosimo vada data una possibilità, una sola, ma gli vada data. Lui non ha più sogni, li ha finiti tutti. Non ha più dubbi, dopo la risposta del magistrato di sorveglianza, ha la certezza che morirà in carcere. Nessuno merita una pena che non finisce mai, perché tutte le cose hanno diritto di iniziare e di finire. Cosimo sa che alla fine la morte sarà più giusta degli uomini e pur di farlo uscire dal carcere se lo porterà via.

 

Carmelo Musumeci

Novembre 2017



3 réactions


  • Persio Flacco (---.---.---.102) 28 novembre 2017 19:20

    Se fossi a favore della pena di morte e prendessi sul serio la sua opinione sugli ergastolani, che a quanto pare preferirebbero morire piuttosto che vivere in prigione, direi: accontentiamoli. Però non mi sembra che ci siano richieste in tal senso, né vedo suicidi di massa da parte di questa categoria di reclusi. E non sono a favore della pena capitale.
    Riguardo al 41 bis, che lei definisce "tortura", ricordo che si rese necessario in considerazione del fatto che i capi mafia continuavano tranquillamente a dirigere le loro organizzazioni criminali dal carcere. Potevano farlo grazie alla possibilità di comunicare i loro ordini all’esterno, per cui potevano ordinare l’omicidio di magistrati e agenti, oppure ottenere la corruzione delle guardie carcerarie o la loro intimidazione con la minaccia alle loro famiglie. Grazie al precedente, a suo avviso più "umano", regime detentivo, la permanenza in carcere era per loro una specie di vacanza che manteneva integra la struttura del potere criminale. Il 41 bis ha risolto una situazione oggettivamente insostenibile, con magistrati e poliziotti che rischiavano la vita per assicurare i criminali alla giustizia ottenendo un nulla di fatto.
    Riguardo alla morte in carcere di Totò Riina, colui che ordinò la morte del bambino Giuseppe di Matteo come ritorsione verso il padre, diventato collaboratore di giustizia, penso che per quel delitto nemmeno Gesù in persona l’avrebbe perdonato. 
    Gli avrebbe ordinato di legarsi una macina di pietra al collo e di gettarsi nel fiume.
    Ridotto a 30 chili di peso dopo due anni di prigionia Giuseppe venne strangolato e sciolto nell’acido.
    Uno dei carnefici raccontò poi che " il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro."
    Chi impetra pietà per questo genere di animali dovrebbe spiegare in base a quali valori morali si ispira. Così, tanto per sapere.


    • Carmelo Musumeci (---.---.---.34) 28 novembre 2017 20:08

      Rispetto la sua opinione ma io penso che il carcere debba servire a fermare il male, ma subito dopo deve fare il bene della persona per farle uscire il senso di colpa dei crimini commessi, perché questo è il dolore più grande ed è quello che fa più paura , anche ai mostri. Penso pure che le vittime innocenti prodotti da Riina saranno molto arrabbiate con la società per averlo lasciato andare all’inferno senza avere fatto nulla per tentare di farlo pentire interiormente. Sono fortemente convinto che l’ergastolo e il carcere duro alla lunga non sono dei deterrenti, anzi producano e aggiungano altro male e non spaventano neppure i terroristi, perché costoro la morte se la danno da soli. Certi fenomeni criminali non si sconfiggono solo militarmente, ma bisogna farlo soprattutto culturalmente. Il tasso dei suicidi degli ergastolani è il più alto di tutti gli altri prigionieri. Una speranza, o una morte dignitosa, andrebbe data a tutti, anche ai mostri, almeno perché questi non creino culturalmente altri mostri. Buona vita. Carmelo Musumeci



  • paolo (---.---.---.49) 29 novembre 2017 10:08

    Egregio Carmelo, premesso che mai Riina ha mostrato un barlume di pentimento, anzi tutt’altro visto che dal carcere continuava a progettare delitti, le faccio notare che deterrenza e riabilitazione sono soltanto due aspetti della detenzione. Il primo e fondamentale principio che sottende all’uso del carcere (o limitazione della libertà ) è quello di far pagare la colpa. Che capisco che è un concetto molto difficile da somatizzare in questo paese, abituato al facile perdonismo per ragioni che hanno molto a che fare con la cultura, la situazione sociale e politica di questo paese .
    In paesi non affetti da falso pietismo e cattolicissima provvidenza come il nostro, non solo si scontano integralmente le pene ma viene perfino contemplata la pena di morte (USA), sulla quale si può anche essere discordi in linea di principio ma che può anche, in taluni casi di particolare efferatezza e pericolosità del soggetto, essere del tutto giustificata.
    Nel caso specifico, considerando gli infami delitti posti in essere da Riina, cosi’ ben stigmatizzati da Persio, sinceramente propendo per l’aragosta che, almeno fino a prova contraria, ha l’unica colpa di essere squisita soprattutto se cucinata alla catalana.


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