martedì 18 luglio 2023 - Enrico Campofreda

Memorandum Ue-Tunisia, il quadrilatero delle promesse senza sbocchi

Duecentocinquantacinque milioni di euro (150 per il bilancio statale, 105 per il controllo delle frontiere, compito arduo e non gradito) è l’anticipo con cui il terzetto europeista Von der Layen-Rutte-Meloni ha barattato col presidente tunisino Saïed quanto non era riuscito a ottenere a giugno. 

La solenne firma nel Palazzo di Cartagine viene definita ‘Memorandum Ue-Tunisia’. E’ l’anticipo dell’aiutino del vecchio continente al dirimpettaio dolente, che se non rappresenta proprio uno Stato fallito come la Libia, è quel fantasma che nel primo semestre dell’anno ha prodotto il doppio di migranti clandestini di Tripoli: settantacinquemila. E rappresenta un grosso problema per la Fortezza Europa che non vuole africani, sub-sahariani o maghrebini che siano. Altri settecento milioni di euro arriveranno se davvero Saïed, che migranti e poveri li odia quanto i premier olandese e italiano, non li metterà in mare. Lui a giugno faceva orecchi da mercante: si trovava in sintonìa con gli interlocutori in fatto d’invasione etnica (quella tunisina sarebbe minacciata dai centroafricani), ma non accettava il ruolo di guardiano delle coste. Ora le due tranches monetarie europee dovrebbero convincerlo del contrario. Sebbene il grosso della cifra Ue è legata alla promessa d’introduzione di riforme economiche e sociali, quelle che chiede a mister ‘RoboCop’ anche il Fondo Monetario Internazionale che di denari ne darebbe il doppio (1,9 milioni di dollari) finora bloccati dalla ritrosia del presidente-padrone capace di condizionare il suo governo classista. Fra le due, anzi tre Tunisie esistenti, il ceto politico ora cortigiano di Saïed - come lo fu di Essebsi e di Ben Ali - sta con la lobby degli affari, che i capitali stranieri (in realtà sempre più ridotti) lancia sul fronte turistico di Hammamet e dintorni. L’impresa produttiva manifatturiera è ridotta al lumicino, quella estrattiva sopravvive a solo vantaggio delle multinazionali che pagano dazio ai faccendieri interni in un cortocircuito di vantaggi personali. Resiste l’agricoltura soprattutto dell’ulivo, ma non per redistribuire ricchezza a chi mette scarponi sulla terra e mani sulle fronde. Gli imprenditori agricoli, anche italiani che investono oltre il Canale di Sicilia, lo fanno per risparmiare sulla manodopera.

L’affermano loro stessi senza remore: si sta qui perché conviene tantissimo: braccianti super sfruttati, controlli zero su orario di lavoro, paghe e sulla stessa filiera produttiva che, ad esempio per l’olio tunisino, vuol dire attaccare l’eccellenza italiana dell’extra vergine che si potrebbe definire stellato. Comunque non è il solo e questo lo decide il Parlamento di Bruxelles, non il Palazzo di Cartagine. Allora si potrebbe domandare alla madrina del “made in Italy” Giorgia Meloni se simili pensierini gli frullano per la testa quando aderisce ai partenariati con un governo-pirata. Probabilmente risponderà d’essere in ballo per altro. Che è il lucchetto con cui si vogliono chiudere le rotte da Sfax e dintorni verso Lampedusa, la Von der Layen è lì per onor di firma e Rutte per solidarietà respingente con l’omologa romana. Il Memorandum di lor signori pensa ben poco alla seconda Tunisia, quella che rischierà la fame se non si rinnova l’accordo sulla distribuzione del grano ucraino e russo scaduto oggi. Proprio come un anno fa e la faccenda s’estende a tutto il Nord-africa e Medioriente. Un gran numero di tunisini, impoveriti già da tempo, temono la totale disoccupazione, e arrangiarsi coi turisti, in ogni modo anche fuori dai circuiti legali e morali, non potrà essere una soluzione generalizzata. Come non lo è sfruttare la disperazione dei migranti o organizzarne la tratta. La terza Tunisia poi sta nell’inferno. Negli stazionamenti, ora all’aria aperto, negli angiporti, fra fronde e sterpi, in attesa del salto di quello che non è più “il gioco” bensì il “il giogo” e il cappio con cui si ritrovano stritolati e affogati. Questa terza Tunisia, impropria perché fatta da fratelli non tunisini, neri e perciò disconosciuti come uomini dal razzismo del locale presidente, non riceverà nulla dei milioni o miliardi promessi. Il triangolo Bruxelles-L’Aja-Roma, divenuto un quadrilatero con Tunisi, mira a condividere sulle due sponde del Mediterraneo, quello ricco e quello povero fino al profondo nord dell’Europa, solo il desiderio di potere, per lanciare sulla pelle dei cittadini un sistema classista e di esclusione dei più deboli. Le maschere possono essere varie: dall’immancabile business delle rinnovabili, alle promesse di piani Erasmus per gli studenti locali. Basta crederci.

Enrico Campofreda

 




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