venerdì 16 dicembre 2022 - Enrico Campofreda

Marocco e Qatargate

Nella particolare partita fra spie che intreccia l’ultima fase dei Mondiali in Qatar, quella sportivamente e agonisticamente più avvincente, l’Intelligence belga riesce a rifilare ai colleghi marocchini alcuni colpi che potrebbero far male più della doppietta calcistica patita dalla nazionale di Regragui coi Blues.

 Il Direttore Generale per Studi e Documentazione, uno degli apparati dei Servizi segreti di Rabat, è sospettato dalla magistratura di Bruxelles d’aver indirizzato mazzette milionarie a politici Ue. Com’è noto la vicepresidente della Camera europea (Kaili) è stata arrestata assieme a un ex parlamentare italiano (Panzeri) e al suo assistente (Giorgi). Il super 007 marocchino Yassine Mansouri avrebbe agito come sponda dell’emirato qatarino e del suo ministro del Lavoro bin Samikh Al Marri, nell’occhio del ciclone per la nota mancanza di sicurezza nei cantieri Mondiali (6.700 gli operai morti) e per il super sfruttamento della manodopera straniera. Alcune Ong italiane (Fight Impunity e No peace without justice) e deputati europei (per ora Socialisti&Democratici e forse del Partito Popolare Europeo) dichiaravano, sotto compenso tangentizio, che tutto invece era a norma, e la vetrina qatarina non aveva tralasciato alcuna attenzione per il politicamente corretto. Le posizioni contro il sostegno al movimento LGBTQ erano tutto sommato frizioni locali e note di colore… Ma quale colore assumeranno i vertici statali marocchini, che nel bene hanno sempre marchio, immagine e magnanimità del sovrano “modernista” Mohammed VI, se venissero confermate le manovre corruttive di Mansouri, che col re ha studiato e rientra nel suo cerchio magico occupando il posto che occupa. Figlio d’un professore e predicatore, Yassine ha conseguito le lauree in legge e diritto pubblico, uscendo dal prestigioso College di Rabat frequentato anche da Mohammed VI. La vicinanza e la fiducia dell’attuale sovrano l’hanno portato prima al ministero dell’Informazione, poi a quello dell’Interno, fino all’incarico che ricopre: uno dei due apparati speciali dell’Intelligence di Rabat che interagiscono col trono.

L’altro è il Direttorato Generale della Sicurezza Nazionale dov’è di casa dal 2005 Abdellatif Hammouchi. Tempi lunghissimi d’incarico per questi uomini stimati dal sovrano. Anni addietro Hammouchi è incappato in un intoppo giudiziario: la denuncia di torture subite da un detenuto che venne presa in esame da un giudice francese e bloccò il super agente a Parigi, dove partecipava a un vertice tecnico. Abdellatif ne uscì senza conseguenze, com’era già accaduto per altre accuse di tortura e decesso di detenuti su cui mancavano prove dirette. Per Amnesty International e Human Rights Watch si trattò d’un bell’aiuto all’impunità degli 007 di Rabat sospettati di violenza e violazione di diritti umani. Nonostante polemiche anche a mezzo stampa Hammouchi fu insignito dal re con la decorazione Alaouite Wissam, riconoscimento per gli sforzi nel preservare la “sicurezza nazionale”. La stessa Intelligence parigina gli fu favorevole per la collaborazione ricevuta in occasione della ricerca dei jihadisti franco-marocchini responsabili degli assalti sanguinari del 2015. Eppure Hammouchi non è solo lo spietato cacciatore di fondamentalisti armati, cinque anni fa è stato l’acerrimo repressore di proteste sociali nella provincia di al-Hoseyma. Il super poliziotto del re non perdeva il vizio nell’ordinare arresti e brutalità fisiche sui dimostranti, senza dover render conto dei modi. L’intimità con la monarchia da parte dei due uomini dei Servizi è talmente profonda che quest’estate è venuta a galla un’intercettazione della Sorveglianza del Territorio ai telefoni reali. Imbarazzata la stampa interna sminuiva lo scandaglio, evidenziando come sotto osservazione ci fosse anche il numero dell’ex consorte, Salma Bennani, altezza reale separata dal sovrano. Si faceva intuire che non fidandosi della donna, si vigilava sulla corona e sul Paese. Ma sul Qatargate sarebbe utile sapere quanto marocchini non certo comuni come mister Mansouri e l’ambasciatore in Polonia Abdelrahim Atmoun, agissero in proprio o di concerto con la dinastia alawide che tanto sa e decide. Visto che fare oggi un favore ai Mondiali degli Al-Thani, alla lunga diventa più conveniente che vincerli sul campo.

Enrico Campofreda




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