lunedì 29 agosto 2011 - Enrico Campofreda

Libia: il vero nemico di Gheddafi

Ora che la caduta di Muammar Gheddafi, rivoluzionario finito tiranno, ha iniziato l’ultimissimo conto alla rovescia; ora che le notizie s’inseguono a predirne fuga o caduta e la Cia, tanto per non demordere in demonizzazione, prevede l’ultima resistenza e una fine alla maniera del Fürher; ora accanto alle incertezze sul futuro libico si può meditare sul nemico peggiore dello statista-dittatore. 

Non con i ribelli, spontanei o diretti e finanziati dai nuovi colonialisti come Sarkozy e Cameron, né con l’intero Occidente voglioso di petrolio a prezzi stracciati per "le Sorelle dell’estrazione". Non con i Warfalla e le tribù un tempo alleate divenute nemiche. Non con i capi di etnie rimasti a lungo in surplace per vedere se stare con l’esercito lealista o coi raffazzonati gruppi di volontari che nessun “consigliere” Nato é riuscito ad organizzare militarmente. Né con l’apostata dell’ultim’ora, ospite degli interventisti Frattini e La Russa, quel Salem Jallud, ex numero del Raìs, da lui stesso accantonato un ventennio or sono e rimasto comunque a vivere in Libia

Nei sei mesi di scontri armati - una guerra civile tutto sommato piccola perché di minoranza, ma in ogni caso quotidiana - la maggioranza dei libici è sembrata non essere né pro né contro Gheddafi. Restava a guardare gli eventi, mentre coloro che lavorano nella sfera economica e tecnica fiutavano l’aria per compiere quei passi che solo in queste ore stanno palesando.

La maledizione è il vero nemico che Gheddafi s’è trovato contro, incarnato da giovani uomini che della sua megalomania, del narcisismo, del sistema di potere incentrato sul suo clan familiare non volevano più saperne. Sono stati i quarantadue anni di potere.

Quarantadue anni sono un’enormità. Raccolgono due generazioni - lì dove si filia presto anche tre - e pensare di governare padri e figli, ritenersi un insostituibile faro di una nazione, autoproclamandosi tale decennio dopo decennio, è tutt’uno con quel patologico distacco dalla realtà tipico delle dittature d’ogni epoca.

Non si vuole generalizzare e non è bene estrapolare uomini e fatti da luoghi e contesti, eppure l’ufficiale che portava il Corano e la Rivoluzione Verde che si ricollegava al Terzomondismo, che incarnava lo schiaffo anticoloniale e antimperialista all’Occidente di parte del Maghreb era tramontato da tempo assieme allo pseudo socialismo della sua Jamāhīriyya. Tant’è che dopo averlo odiato, messo all’indice e all’embargo, bombardato (le bombe di Ronald Reagan); dopo averne cercato la morte fisica e politica, lo si è riavvicinato, dimenticando di averlo accusato di essere la mente del terrorismo mondiale. I leader d’Europa l’osannavano e carezzavano. Gli baciavano le mani come a un padrino. Oltreoceano si valutavano rassicuranti le svolte pro domo sua (non di tutti i cittadini) del leader libico.

Piacevano la sua metamorfosi e quel contorno di sodali che, millantando interessi comuni attraverso “Comitati popolari”, in realtà curavano quelli della casta. Piaceva il Circo Barnum di tende e amazzoni body-gard. E’ lì che Gheddafi s’è auto-imprigionato, scrivendo il suo epicedio politico ben prima che nel bunker di Bab al-Aziziyah.




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