martedì 29 novembre 2011 - clemente sparaco

Liberi non sarem se non siam uni. La ricerca dell’unità perduta

Lo scriveva Alessandro Manzoni nel 1815, all'indomani del lancio da parte di Gioacchino Murat, re di Napoli, del Proclama di Rimini con il quale invitava gli Italiani ad unirsi per realizzare l’unità e l’indipendenza della Nazione.

Il soggetto è plurale: l'Italia è una patria plurale. Non si parla di unità, ma, più precisamente di essere uni. L'unità è qualcosa di astratto e, nel contempo, di indistinto. L'essere uni, invece, indica l'addivinire nella diversità ad una forma di condivisione che non affoga nell'uniformità. Siamo uni avendo superato le conflittualità, le lacerazioni e gli egoismi individualistici e localistici, ma restando noi stessi. Siamo uni non per finire in una massa senza volto, in una folla allineata ed inquadrata, ma restando noi stessi, quel che siamo con le nostre storie, le nostre tradizioni e anche i nostri localismi, purché non siano di ostacolo al confronto e all'incontro.

Liberi non sarem se non siam uni.

Il verbo al futuro non indica soltanto la proiezione verso una meta ideale che era ancora da venire, ma anche la linfa vitale della speranza che muove e smuove la storia, per cui il nuovo si rende possibile, realizzabile. Manzoni riponeva in quel futuro le proprie speranze di una patria finalmente libera e, a livello spirituale, già la presentiva.

Liberi non sarem se non siam uni.

L'essere liberi presuppone l'essere uni. La libertà non è intesa come conquista individuale e fruizione egoistica, ma come obbiettivo accomunante. E' libertà che implica solidarietà, confronto, incontro, non libertà in senso liberistico ed individualistico. L'essere uni che ne permette la fioritura si oppone all'essere frammentati, alla sterile conflittualità che non porta da nessuna parte, che non prospetta nulla di nuovo. La libertà nasce dall'essere una comunità che sa condividere, superando ciò che divide, ciò che si frappone al dialogo e allo scambio di idee.

Liberi non sarem se non siam uni.

Lo possiamo senz'altro ripetere oggi. Certo, sono cambiati gli scenari. L'unità sembra appartenere al passato, ad una storia che non ha la freschezza della novità, ma pare qualcosa di stantio e raffermo da apprendere o ripercorrere noiosamente sui manuali scolastici. Sarà forse anche per questo che essa non costituisce più il minimo comune denominatore della politica. Sarà forse anche per questo che la si pone in discussione. Si avanzano proposte improntate alla scissione, alla separazione, alla divisione. Interessi di parte vengono anteposti agli interessi nazionali, fino a prestare il fianco alla derisione e all'irrisione nei consessi internazionali. Non si comprende che anche oggi il non essere uni mette in discussione il nostro essere liberi. La nostra libertà comune, quella che in altri termini si definisce sovranità, è messa in mora in nome dei conti pubblici, pressata dall'esterno, ora dai diktat di autoelettisi tutori internazionali, ora dalla speculazione di poteri finanziari occulti agenti alle spalle del nostro risparmio, del sacrificio di generazioni che nella fatica quotidiana hanno costruito un dignitoso benessere. La divisione è debolezza politica e a questa debolezza si appiccica la speculazione, incuneandosi nelle contraddizioni di un sistema partitico malato, logoro, privo di slancio.

Viviamo la stagione della crisi delle ideologie. Ormai, al fondo raschiato dell'ideologia si deposita qualcosa di impermeabile a qualsiasi discorso, un nulla corrosivo che non permette di istituire alcun confronto. La critica nichilistica e fine a se stessa ingenera, alla fine, incomunicabilità e smembra alla base ogni senso comunitario. La polemica politica capotica e frontale distrugge il presupposto di ogni dialogo, e cioè il rispetto, insinuando il sospetto e la diffidenza e tramutando l'avversario in nemico.

Togliamoci, quindi, le maschere rigide dell'ideologia e ricominciamo ad istituire un confronto sul minimo. Deponiamo il piglio vecchio e cinico del nichilismo disincantato che fa da sfondo a tutte le nostre opzioni e prese di posizione e apprendiamo da chi l'Italia l'ha desiderata unita a capire l'importanza dell'essere uni, se possibile, prima ed oltre le nostre visioni di parte. Ciò forse aiuterà anche a riabilitare quel sentimento di appartenenza, che viviamo in modo conflittuale fra sensi di colpa e di frustrazione più o meno profonda.

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