martedì 11 ottobre 2022 - UAAR - A ragion veduta

Lettera a Charles Darwin: Cosa direbbe uno scienziato contemporaneo al padre della teoria dell’evoluzione?

Cosa direbbe uno scienziato contemporaneo al padre della teoria dell’evoluzione? Ci ha provato il biologo Jerry Coyne con una ironica lettera scritta in occasione dei 200 anni dalla nascita di Darwin e dei 150 anni dalla pubblicazione de L’origine delle specie. L’abbiamo pubblicata sul numero 2/21 di Nessun Dogma.

 

Caro signor Darwin,

buon duecentesimo compleanno! Mi auguro, con la presente, di trovarla nelle migliori condizioni possibili, per uno che è morto da quasi 130 anni. Immagino che il suo ultimo libro, quello sui lombrichi, ultimamente abbia assunto una particolare rilevanza per lei: trova che i vermi dell’abbazia di Westminster siano superiori a quelli che ha studiato così assiduamente nel giardino di casa sua a Downe, nel Kent? In fin dei conti, da anni fanno una dieta a base di personaggi illustri!

Ma basta con le domande personali: mi permetta di presentarmi. Sono uno delle migliaia – forse decine di migliaia – di biologi professionisti che lavorano a tempo pieno sulla sua eredità scientifica. Le farà piacere, a proposito, sapere che la Gran Bretagna è tuttora all’avanguardia in quella che oggi chiamiamo biologia evolutiva, e che le sue idee sono ormai ampiamente accettate in tutto il pianeta. Io lavoro a Chicago, negli Stati Uniti d’America. Ma persino i francesi, seppur a malincuore, hanno infine rinunciato al loro amato Jean-Baptiste Lamarck, la cui errata concezione dell’evoluzione lei ha fatto tanto per screditare.

Il suo L’origine delle specie compie 150 anni. L’ho appena riletto in suo onore e devo dire che, anche se non sempre la sua prosa eccelle in scorrevolezza, rimane un’opera straordinariamente completa e approfondita. È davvero notevole, se si considera quello che non sapeva quando l’ha scritto, quanto il suo libro si sia dimostrato solido nel corso degli anni. Le scoperte della biologia moderna, molte delle quali inconcepibili per lei, all’epoca in cui se ne stava rintanato nel suo studio di Down House, hanno fornito ulteriori prove a sostegno della sua teoria, e nessuna di esse la contraddice. Abbiamo imparato moltissimo, negli ultimi 150 anni, ma quasi tutto ciò che sappiamo si adatta ancora perfettamente allo schema che ha tracciato ne L’origine.

Prendiamo il Dna, per esempio. Già, scusi, lei non sa che cosa sia: abbiamo dato questo nome al materiale ereditario che viene tramandato di generazione in generazione. Ricorda quanto avrebbe voluto saperne di più sul meccanismo alla base dell’ereditarietà? Bene, ora conosciamo le sequenze complete del Dna di dozzine di specie. Ciascuna serie è costituita da miliardi di combinazioni delle quattro lettere del Dna – A, T, G e C – dove ogni lettera corrisponde a un diverso composto chimico. E cosa succede quando mettiamo a confronto le sequenze di diverse specie, diciamo di un topo e di un essere umano?

Succede che troviamo nel Dna l’equivalente delle somiglianze anatomiche che, in quanto mammiferi, lei ha notato esistere tra topi e umani, discendenti da un antenato comune, un primo mammifero. Le stringhe di A, G, C e T raccontano esattamente la stessa storia di tratti evolutivi come l’allattamento e il sangue caldo, ed è assolutamente meraviglioso che la sua teoria sulla discendenza comune, a distanza di 150 anni, rimanga imprescindibile nell’interpretare le ultimissime scoperte della nuova disciplina che chiamiamo biologia molecolare.

Ne L’origine, ha parlato pochissimo dei fossili come prove dell’evoluzione, scoraggiato dall’incompletezza della documentazione geologica. Da allora, però, i cacciatori di fossili di tutto il mondo hanno portato alla luce moltissime prove del cambiamento evolutivo, e sono state ritrovate incredibili forme “transizionali” che collegano i principali gruppi di animali, dimostrando la sua idea di ascendenza comune. Lei aveva previsto l’esistenza di queste forme intermedie; noi le abbiamo trovate. Abbiamo fossili che dimostrano transizioni tra mammiferi e rettili, pesci e anfibi, e persino dinosauri con le piume, ossia gli antenati degli uccelli!

Negli ultimi anni, i paleontologi hanno rinvenuto uno stupefacente fossile, chiamato Tiktaalik, l’anello di congiunzione tra pesci e anfibi. Questo animale ha la testa piatta e il collo di un anfibio, ma la coda e il corpo da pesce, con delle pinne robuste, facilmente in grado, con una leggera mutazione, di fungere da zampe una volta uscito dall’acqua. I resti fossili ci offrono uno sguardo diretto su un evento di enorme importanza nella storia del pianeta: la colonizzazione della terra da parte dei vertebrati. E abbiamo prove altrettanto convincenti riguardo alla ricolonizzazione del mare da parte dei mammiferi: il gruppo che ha dato origine alle balene.

Ne L’origine, ha correttamente ipotizzato che le balene si siano evolute da animali terrestri, sbagliando però su un punto: lei pensava che fossero discese da carnivori come gli orsi, ma ora sappiamo che non è così. Al contrario, la balena ancestrale proveniva da un piccolo animale ungulato, simile al cervo. E negli ultimi trent’anni abbiamo scoperto tutta una serie di fossili intermedi che fanno da ponte tra quegli antichi cervi e le moderne balene, mostrando come essi perdono a mano a mano le zampe posteriori, sviluppano le pinne e cominciano a respirare da uno sfiatatoio sopra alla testa. L’esistenza del Tiktaalik e di queste balene ancestrali è la risposta all’obiezione, a lei stesso rivolta, che non sarebbe potuta esistere alcuna forma transitoria tra animali di terra e di acqua.

In ogni modo, il più notevole gruppo di fossili intermedi proviene da una transizione evolutiva più vicina a noi. Nel 1871 lei predisse che, poiché gli esseri umani sembrano più legati alle grandi scimmie africane, ai gorilla e agli scimpanzé, avremmo dovuto trovare fossili umani in quel continente. Ora li abbiamo. E in abbondanza! Si è scoperto che il nostro ceppo si è separato da quello degli scimpanzé, i nostri parenti viventi più stretti, quasi sette milioni di anni fa, e abbiamo una superba serie di fossili che documentano la nostra transizione da antiche creature simili a scimmie a forme umane più moderne. La nostra specie è diventata un perfetto esempio di evoluzione. E sappiamo anche di più: dal nostro materiale genetico si evince che tutti gli esseri umani moderni risalgono a un evento migratorio relativamente recente, di circa 100.000 anni fa, quando i nostri antenati lasciarono l’Africa e si diffusero in tutto il mondo.

L’idea di cui andava più orgoglioso era la selezione naturale. Anche questa teoria, dopo ben 150 anni, regge bene come principale causa dell’evoluzione, nonché unica causa nota dell’adattamento. L’esempio moderno più eclatante sono forse i batteri, che ora sappiamo provocare molte malattie, fra cui la scarlattina che tanto ha tormentato la sua famiglia. I chimici hanno sviluppato dei medicinali per curare questo tipo di malattie, ma come lei può prevedere, in accordo con le leggi della selezione naturale i microbi stanno diventando immuni ai farmaci, dato che i più resistenti sono quelli che sopravvivono e si riproducono. Si potrebbero citare centinaia di altri casi.

Uno che le piacerà particolarmente è l’osservazione della selezione naturale nei fringuelli delle Galapagos che ha studiato anche lei nel viaggio del Beagle, ora chiamati “fringuelli di Darwin” in suo onore. Alcuni decenni fa, gli zoologi hanno osservato, sulle isole colpite da una grande siccità, una riduzione dei piccoli semi di cui si nutrono gli uccelli. Come previsto, la selezione naturale li ha portati, nel giro di pochi anni, a evolvere un becco più grande. Esempi come questi troverebbero sicuramente ampio spazio ne L’origine, se dovesse riscriverlo oggi.

Nel complesso, la resilienza delle sue idee è notevole. Ciò non significa che lei abbia avuto ragione su tutto. L’origine delle specie era – lo ammetta – un titolo improprio. Lei ha descritto correttamente come una singola specie cambia nel tempo, ma ha fallito nel tentativo di spiegare come una specie si divide in due. La speciazione è un problema significativo, perché è alla base del processo di ramificazione che ha prodotto l’albero della vita, la straordinaria concezione del mondo naturale come un’unica, vasta genealogia, che lei ci ha lasciato in eredità. La speciazione è la chiave per capire come, a partire dalla primissima specie sulla terra, l’evoluzione abbia prodotto i cinquanta milioni di specie che si pensa popolino oggi il nostro pianeta.

In un’occasione, ha definito la speciazione come il “mistero dei misteri”. Oggigiorno è un fenomeno molto meno misterioso: sappiamo infatti che le specie sono separate l’una dall’altra da barriere riproduttive. Definiamo cioè le diverse specie, come gli esseri umani e gli scimpanzé, sulla base del fatto che non possono incrociarsi. Per i moderni biologi evoluzionisti, studiare “l’origine delle specie” significa quindi studiare come si formano queste barriere riproduttive. Ora che abbiamo un fenomeno concreto su cui concentrarci, stiamo facendo notevoli progressi nel comprendere in dettaglio i processi genetici che portano una specie a scindersi in due. In effetti, è il problema cui ho dedicato la mia intera carriera.

Mi piacerebbe concludere questa lettera dicendole che la sua teoria dell’evoluzione ha ormai trovato consenso universale. Come ben sa, fin dall’inizio l’idea si è rivelata una pillola amara da mandar giù per molti credenti. Tuttora, una grossa fetta della popolazione americana, nonostante abbia accesso all’istruzione, continua a credere alla lettera al testo della Genesi. Le sembrerà impossibile, ma ci sono più americani che credono nell’esistenza di angeli celesti di quanti accettino il fatto dell’evoluzione.

Purtroppo, mi ritrovo spesso a dover sospendere le ricerche per dedicarmi a combattere i creazionisti che vogliono imporre l’insegnamento delle loro credenze bibliche nelle scuole pubbliche. Gli esseri umani hanno sviluppato straordinarie capacità intellettuali, ma tristemente non sempre si concedono la libertà di sfruttarle al massimo. Immagino che la cosa non la sorprenderà più di tanto: ricorda quando il vescovo di Oxford tentò di mettere a tacere il suo amico Thomas H. Huxley?

Nell’introduzione al suo L’origine delle specie lei scrive:

«Nessuno può essere più sensibile di me alla necessità di pubblicare in dettaglio tutti i fatti, con i relativi riferimenti, su cui le mie conclusioni sono basate e spero in un lavoro futuro per farlo».

A quante pare, forse distratto da altri progetti, non ha più avuto modo di occuparsene, ma una cosa del genere ho provato a farla io per lei, in un libro intitolato Perché l’evoluzione è vera, dove ho descritto le prove a supporto dell’evoluzione in modo molto più dettagliato di quanto sia possibile in una lettera come questa. Il mio rimane, comunque, soltanto un libro, in un momento particolare nella storia della biologia. Quando anch’io, come lei, me ne sarò andato da tanto tempo, qualcun altro si occuperà senz’altro di scrivere un aggiornamento, perché le prove a sostegno delle sue teorie continuano, e sicuramente continueranno, ad accumularsi.

Quindi riposi in pace, signor Darwin, e auguriamoci che i prossimi cento anni vedano una costante evoluzione della razionalità in questo mondo tormentato.

Umilmente suo,

Jerry Coyne

Traduzione a cura di Paolo Ferrarini

Originale in inglese pubblicato su OUPblog.

 

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1 réactions


  • Truman Burbank Truman Burbank (---.---.---.104) 12 ottobre 2022 16:56

    Non pensavo che ci fosse ancora gente che dà retta a Darwin. Le sue teorie hanno dato origine a quello che solitamente è chiamato "dogma dentrale della biologia molecolare". Esso afferma in sostanza che tutti i nostri caratteri discendono dal nostro DNA. Esso è semplicemente falso, perchè da decenni si è visto che ci sono aspetti non codificati nel DNA.

    Molti hanno studiato le caratteristiche del RNA messaggero e hanno visto che esso può impattare lo sviluppo dell’organismo. Da questi studi è nata una nuova disciplina, l’epigenetica, che si occupa di ciò che non è nel DNA e in un certo senso conferma Lamarck contro Darwin. Ma del resto, già negli anni ’80 del secolo scorso, il grande biologo Gregory Bateson prendeva a riferimento Lamarck. Non ricordo che Bateson abbia mai citato Darwin. Forse era un ignorante.

    Nello stesso periodo i cileni Humberto Maturana e Francisco Varela cercavano (tra l’altro) di capire come si evolvessero le specie. Essi affermano esplicitamente che Darwin dice almeno una parola di troppo: non è "il più adatto" (all’ambiente) che sopravvive, ma semplicemente "l’adatto". Eppure nel loro approccio si può intuire ciò che si verifica in pratica nelle specie: è la specie che sopravvive, non l’individuo, da qualche parte si applica una regola per cui gli individui sono disposti a perdere la proria vita per garantire la sopravvivenza della specie. Dove gli individui erano troppo (diciamo darwinianamente) egoisti, la specie si è estinta. Ma qualunque genitori con figli questo lo capisce. Quelli che si autoidentificano come "scienziati" queste cose non le capiscono.

    E ci sarebbe da ricordare anche Lynn Alexander (che preferiva il cognome Margulis del secondo marito), secondo la quale gli organismi multicellulari, gli antenati di tutti i funghi, le piante e gli animali, si sono evoluti non attraverso la mutazione e la selezione, ma attraverso la cooperazione e la simbiosi. 


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