giovedì 10 gennaio 2013 - ///

Le sanzioni contro l’Iran non colpiscono il regime, ma la popolazione

 

Ogni tanto si torna a parlare delle sanzioni contro il programma nucleare iraniano.

Finora le pressioni dei Paesi occidentali per indurre Teheran a rinunciare ai propri piani di arricchimento dell'uranio non ha sortito gli effetti sperati. Non è difficile comprenderne il perché: come ho spiegato quasi un paio d'anni fa, eludere le sanzioni non è poi così difficile.

Nonostante il nuovo regime sanzionatorio promosso all'inizio del 2012 (in vigore dal luglio dello stesso anno), la situazione non è cambiata. Riporto integralmente quanto scritto su Osservatorio Iraq:

Quattro paesi asiatici starebbero acquistando attualmente la quasi totalità delle esportazioni iraniane di petrolio: si tratta di Cina, Corea del Sud, Giappone e India, secondo un recente rapporto della Economist’s Intelligence Unit.
Il petrolio offre l’80% dei proventi da esportazione dell’Iran e più del 50% delle entrate del governo.Il bilancio di previsione del governo iraniano per l’anno fiscale che finirà il prossimo marzo prevedeva l’esportazione di 2,2 milioni di barili al giorno.

Tuttavia, la statunitense International Energy Administration ha recentemente stimato come - a seguito delle sanzioni economiche imposte al paese a partire dal 2010 da Stati Uniti e Unione Europea - le vendite effettive nel 2012 ammontino a circa 1 milione di barili al giorno: la metà di quanto previsto.

In questa situazione, è evidente come la dipendenza di Teheran dai quattro paesi asiatici sia cresciuta sensibilmente. Tuttavia, nel corso del 2012 si nota un leggero declino nella quantità di petrolio che ognuno di questi ha importato. La Cina, che attualmente acquista circa il 50% delle esportazioni iraniane di petrolio, nel 2012 avrebbe ridotto del 23% le importazioni da Teheran. Flussi di importazione rallentati anche per India, Corea del Sud e Giappone, per una percentuale pari a circa il 40%.

Le ragioni di questa scelta risiedono dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti.

Il 31 dicembre 2011 il presidente Barak Obama firmò una legge secondo cui sarebbe stato tagliato l’accesso al sistema finanziario statunitense a tutte le entità che avessero fatto affari con la Banca centrale iraniana. La legge prevede proroghe di tre mesi, rinnovabili, per quei paesi che riducano in modo costante i propri acquisti di greggio dall’Iran. Cina, India, Corea del Sud e Giappone hanno ottenuto due proroghe da quando queste sanzioni sono entrate in vigore, nel luglio del 2012.

L’Iran tuttavia non sembra prossimo alla resa.

Il Middle East Economic Digest riporta come Teheran riesca a vendere il proprio petrolio tramite espedienti sempre più complessi: tra questi, il carico dei barili presso porti remoti, da cui il petrolio iraniano è trasportato in Asia a bordo di navi battenti bandiere di altri paesi; così come il contrabbando via terra nel vicino Iraq, dove il petrolio iraniano - molto simile nelle sue specifiche a quello iracheno - è venduto nei porti del Golfo Persico sul mercato internazionale.

Secondo la United Press International, questi stratagemmi avrebbero favorito un aumento delle vendite di petrolio iraniano nella seconda metà del 2012 pari a circa 10.000 tonnellate rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno. Un risultato che avrebbe portato nelle casse di Teheran circa 410 milioni di dollari in più al mese.

Esempi che dimostrano come l’Iran non sembri disposto a cedere alle pressioni internazionali e come, in fin dei conti, il meccanismo delle sanzioni si stia rivelando più rischioso per la popolazione che per il governo.

E se fosse proprio quello l'obiettivo? In metà ottobre Justin Logan, direttore del Cato Institute (Centro Studi sulla Politica Estera), aveva dichiarato che lo scopo delle sanzioni è provocare sofferenza nella popolazione, affinché una successiva rivolta possa determinare il collasso o il rovesciamento del regime.

Tutto ciò nonostante sia stato osservato che l'Iran, per dare il via ad una "Primavera persiana" tanto auspicata nei salotti occidentali, avrebbe bisogno di uno sviluppo economico tale da permettere l'ascesa di una classe media.



2 réactions


  • Giacomo Nigro Giacomo Nigro (---.---.---.200) 10 gennaio 2013 14:49

    Il problema dell’Iran va inserito nel più ambio ambito mediorientale. Inoltre allargando l’orizzonte al resto del mondo, dopo le recenti prese di posizione sulla Palestina all’ONU: il baricentro geopolitico si sta spostando dall’Occidente verso il resto del mondo, come spiega il politologo professor Kupchan nel suo libro “Il mondo del XXI secolo non sarà degli Usa o della Cina, ma di nessuno”. Pubblicato lo scorso marzo dalla Oxford University Press e che uscirà in italiano nei primi mesi del 2013 con Il Saggiatore.

    Egli spiega quale é lo scenario politico internazionale che va delineandosi. Dopo che gli ultimi due secoli hanno visto l’egemonia materiale e ideologica dell’Occidente nella politica internazionale, il mondo del futuro prossimo non sarà dominato da un singolo paese, da una particolare area regionale o da un solo modello politico. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea riusciranno sicuramente a superare l’attuale recessione economica, ma si ritroveranno in un mondo di profondi cambiamenti. Intanto, nessuna fra le attuali nazioni emergenti avrà la forza necessaria per esercitare un’egemonia globale. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno formato il nuovo gruppo: i BRICS per coordinare le loro iniziative politiche, ma essi non condividono una visione coerente del nuovo ordine internazionale; al momento sanno sicuramente quello che non vogliono più: la continuazione di un mondo dominato dall’Occidente. Nei prossimi dieci anni ci si può aspettare dalla Cina passi avanti significativi nelle riforme economiche, ma soltanto dei passi piccoli e lenti nelle riforme e nelle liberalizzazioni in politica, in ogni caso, per cui la crescita del suo Pil globale sarà in parte trasferito nel settore militare e nell’ambizione geopolitica.


Lasciare un commento