giovedì 19 marzo 2020 - UAAR - A ragion veduta

Le lezioni del virus

Si suole spesso dire che la storia non insegna nulla e almeno in parte questo è vero. Gli errori compiuti non si ripeteranno magari nel breve termine, ma più passano il tempo e le generazioni e meno l’esperienza acquisita risulta efficace per impedirci di ripetere gli errori del passato.

 Tuttavia bisogna cercare di farne tesoro, di capire dove e come intervenire per evitare di ritrovarsi a fronteggiare la stessa avversità nelle medesime condizioni. Come nel caso dell’attuale pandemia da Sars-Cov2.

Di nuovi virus ne arrivano in continuazione. La stessa influenza è causata da agenti patogeni della stessa categoria ma sempre differenti tra loro, e che proprio per questo ci colpiscono. Cambiano però la velocità e le modalità di trasmissione, i loro effetti, il tasso di mortalità. Il predecessore dell’attuale coronavirus, il Sars-Cov, aveva un tasso di letalità quasi doppio ma rimase limitato a un’area dell’estremo oriente. Anche gli Ebola sono in genere geograficamente circoscritti perché la loro propagazione è limitata, non essendo trasmissibili per via aerea, ma la mortalità dei contagiati raggiunge tassi terrificanti: in media un contagiato su due non ce la fa. Varie influenze hanno avuto ampia diffusione come l’aviaria e la suina, quest’ultima pandemica, ma hanno ucciso pochissime persone. Che dire poi del famigerato Hiv se non che non è mai stato sconfitto; quasi 40 milioni di persone nel mondo ne sono infettate, ogni anno si aggiungono più di un milione e mezzo di nuovi positivi e 700 mila decessi.

La prima lezione che si dovrebbe trarre è che bisogna attrezzarsi adeguatamente. Adesso lo si può capire meglio. Ora che il nemico non è lontano da noi, in Africa o Asia, ma ce l’abbiamo accanto. Un nemico che ci assale con estrema facilità, basta respirare la stessa aria che respira un positivo. Questo è il momento di capire che dobbiamo essere pronti in qualunque momento per il prossimo virus pandemico e che la via principale è rappresentata dall’investimento di risorse nella ricerca. Probabilmente passato questo momento le mascherine, quelle adeguate, saranno presenti in tutte le case come il termometro per la febbre, il che sarà un bene ma non basta. Bisogna investire soprattutto in ricerca per il futuro. Un profetico Bill Gates ammoniva in tal senso già cinque anni fa, ovviamente senza che nessuno tra chi di dovere ne fosse anche solo stimolato. Il concetto di prevenzione è pressoché sconosciuto a livello politico.

Secondo l’agenzia Moody’s il danno economico causato dai doverosi provvedimenti di contenimento della Covid-19 nella sola Italia sarà di circa un punto secco di Pil. Un danno enorme che quantificato in euro si traduce in 20 miliardi, miliardo più miliardo meno. L’investimento annuale in ricerca e sviluppo di tutta l’Italia – quindi non parliamo solo di investimenti pubblici ma anche e principalmente del tessuto produttivo – secondo l’ultimo rapporto del Ced è superiore solo di poco: 1,3% del Pil. Di questi appena un misero 1% è rappresentato, secondo il Cnr, da stanziamenti pubblici. In sostanza lo 0,013% del Pil, una miseria di neanche 300 milioni di euro. Per l’università invece l’Italia mette sul piatto ogni anno 5,5 miliardi di euro, cioè lo 0,3% del Pil. In compenso si continua a investire molto di più in religione visti i quasi 7 miliardi di costi ecclesiastici, tutti rigorosamente di spesa pubblica che non contribuirà certo a far crescere l’Italia e nemmeno a fronteggiare le epidemie. Più verosimile il contrario.

Altra lezione, stavolta non solo per le istituzioni ma anche per i cittadini, è quella di smettere di dare credito a teorie fantasiose che girano e si diffondono attraverso i social network con una viralità perfino superiore a quella del coronavirus, e affidarsi solo a comunicazioni ufficiali o autorevoli. Questo non vale solo per l’emergenza di questo momento, ma proprio adesso dovrebbe essere chiaro a tutti che le fandonie non lasciano il tempo che trovano; ne lasciano uno peggiore.

Purtroppo il problema è ancora più grave se a non dare credito a quanto sostenuto dalla comunità scientifica sono le istituzioni, come dimostrano le clamorose marce indietro di personalità politiche a tutti i livelli che fino a pochi giorni prima minimizzavano i rischi, giudicando esagerate le preoccupazioni, salvo poi essere in prima fila a chiedere interventi più drastici. Tardi, certo. Averlo fatto prima avrebbe potuto portare a molte meno infezioni e a qualche decesso in meno, ma è sempre meglio tardi che mai. Inutile citarli tutti per nome, italiani e non, chi ha seguito le notizie anche rapidamente li conosce già. È però importante evidenziare il diverso approccio tra nazioni a noi vicine, che seppur in ritardo stanno finalmente realizzando il rischio che si corre e provvedono a mettere in campo provvedimenti drastici, e la Gran Bretagna che invece ha deciso di scommettere sull’immunità di gregge, e quindi sulla vita dei cittadini britannici, contro le raccomandazioni dell’Oms e le richieste degli stessi cittadini. Chissà che ne pensano i bookmaker inglesi.

Non bisogna mai tenere bassa la guardia; questa potrebbe essere una terza lezione seppur parente stretta della seconda. La sottovalutazione del rischio lo si paga caro. Lo si paga in vite umane. In particolare il premier britannico Johnson dovrebbe realizzare che le sperimentazioni non si fanno sulla pelle dei cittadini, si fanno in laboratorio e in modo controllato, ma anche tutti gli altri dovrebbero prendere atto dei loro errori di valutazione. Dovrebbero farlo le persone comuni, stigmatizzando chi si ostina ad assumere comportamenti rischiosi il cui danno sarebbe arrecato a tutti, e dovrebbe farlo chi amministra. Invece ci ritroviamo con divieti di apertura di qualunque attività commerciale non essenziale e al tempo stesso incomprensibili permessi di apertura dei luoghi di culto per la preghiera. E ci si chiede inevitabilmente: ma gli importa veramente della nostra salute?

Forse non molto. Quantomeno non abbastanza. Forse le lezioni del virus rimarranno lettera morta come tutte le altre lezioni della storia, vera Cassandra. Ci sarebbero tante domande da farsi, tante risposte da cercare. Ad esempio perché la Corea del Sud riesce a contenere le infezioni, pur essendo vicinissima al focolaio iniziale e pur essendo stata presa più a freddo, e in Italia invece queste dilagano? Ci sarebbe da indagare a vari livelli: scientifico, statistico, logistico. Ci sarebbe in altre parole da prepararsi per la prossima pandemia, magari per il Cov3. Non è il momento di pregare nelle chiese. Non foss’altro per prendere atto che la presenza sul suolo italiano del vicario di Cristo in Terra non è stata di tutela. Anzi, se non fossimo razionalisti saremmo portati a pensare che potrebbe perfino avere delle responsabilità. Fortunatamente noi lo siamo, razionalisti, e chi non lo è costruisce fantocci di paglia di tipo opposto.

Massimo Maiurana

 



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