Le elezioni e l’incognita del primo partito: gli indecisi
L'ultimo sondaggio Coesis Research indica come primo partito gli indecisi, dati al 40%; sono davvero tanti, che gli passa nella testa?
L'Italia affonda nella crisi lentamente, tenuta a galla per il momento dalla sola, ancestrale, propensione al risparmio delle famiglie. Nell'attesa che i conti si prosciughino, due dicotomie affollano i pensieri degli elettori: partecipazione o disinteresse? Rivoluzione o continuità ?
La casalinga di Voghera in questi anni si è limitata a lanciare improperi contro il governo di turno, senza mai fare "propria" la "questione politica": pigrizia? Scarso senso civico? O un'accettazione più o meno consapevole di un modus operandi che, tutto sommato, sembrava non ostacolare un tenore di vita ormai dato per acquisito?
Una visione votata al pragmatismo avallerebbe quest'ultima ipotesi. Spiegherebbe, tra l'altro, il ventennio berlusconiano come frutto di un bieco calcolo privatistico dell'elettore medio: dato per assodato e accettato il malcostume nelle istituzioni, mi affido al "male minore", cioè a chi, nell'immediato, non aumenta le tasse dirette. Questo ragionamento (sarebbe forse meglio definirla intuizione), improntato a vedute assai ristrette temporalmente, guarda caso è del tutto speculare alla politica italiana, sempre impegnata nel "problema del momento", e del tutto incapace di progettualità a medio e lungo termine. Inutile sottolineare che questo modo di discernere, abbia provocato danni talmente ingenti, da non poter essere probabilmente mai estinti, vedere sotto la voce debito pubblico.
Si pone quindi una necessità divenuta indifferibile, e cioè che l'elettore identifichi il proprio interesse come appartenente ad una categoria nuova, partecipativa, lontana dalle logiche di bottega e dalle appartenenze ideologiche. Stabilito questo, come orientare la propria scelta resta faccenda complessa, come dimostrano gli ultimi sondaggi che indicano nel 40% dell'intero corpo elettorale quelli che una scelta ancora, non l'hanno fatta.
Un apporto di chiarezza, in questo senso, l'ha fornito, forse involontariamente, in questi giorni D'Alema a margine della festa democratica di Reggio Emilia: "Solo noi siamo in grado di offrire le stesse garanzie di serietà e di rigore che Monti ha offerto all’Europa"- e poi- "Se gli Italiani si affideranno a Grillo, non so cosa potrà accadere“. Chi ha orecchie per intendere, credo abbia inteso. Il futuro governo del Pd ricalcherà quello attuale, e poco importa se il sistema delle alleanze non sarà costruito sul "progetto comune", ma sul "tenere fuori", l'importante sarà garantire lo status quo e gli organismi sovranazionali.
Io ammiro cotanta sincerità, perché ci vuole coraggio a proporre un disegno che esclude, a priori, reali riforme strutturali su informazione e giustizia, su di una diversa modalità di assegnazione delle concessioni pubbliche, su tagli drastici agli infiniti rivoli in cui la casta prolifera indisturbata.
Questi punti, coerentemente, non sono sicuramente al centro del dibattito, ma quanto interessano a quel 40%? Questo, è il problema.
L'aggiramento della regola, al pari dell'evasione fiscale, è sport nazionale acclarato; può, da sola, la crisi motivare e suscitare quel moto di indignazione popolare, intrinseco ad ogni cambiamento epocale?
L'alternativa reale questa volta c'è, ed infatti D'Alema non sa' prevederne i possibili effetti. Certo, lo afferma come minaccia, ma ne conferma, involontariamente, il carattere rivoluzionario: se votate M5S , tutto può accadere. Quali saranno le priorità?
Le ultime voci dicono che, calcoli alla mano, si voterà a marzo, perché così conviene ai parlamentari per questioni di indennità e di pensione; loro, bisognerà ammetterlo, sulle priorità non hanno mai avuto dubbi.