Lavoro | Morire da schiavi: a Prato e non solo
Si è tenuto a Modena, nell’ambito della fiera Ambiente/Lavoro un importante seminario – purtroppo poco partecipato – sul tema della prevenzione delle malattie e degli infortuni nel comparto cino-toscano delle confezioni.
di Vito Totire (*)
Anni fa venne coniato il termine “modello cino-pratese”, In realtà il coinvolgimento della Toscana va oltre Prato. Che questo comparto fosse fonte di gravi rischi era noto da tempo ma, come quasi sempre accade, prima che le istituzioni si muovano occorre che si verifichino stragi. Così è stato anche per il comparto cinese. Intendiamoci: sia in Toscana che a Bologna “qualcosa” è stato fatto anche prima, timidi tentativi di porsi in maniera dialettica con gli interlocutori. Ma non ci si era minimamente avvicinati al nocciolo del problema. Dunque nel dicembre 2013 giunge una “inevitabile” strage: unico evento in grado, al momento, in Italia e nel mondo, d’indurre l’adozione di misure concrete di vigilanza e prevenzione.
Come è noto il 1 dicembre 2013 un rogo notturno distrugge il capannone della ditta “Confezione Teresa Moda” uccidendo per asfissia 7 persone a Prato. La Procura della Repubblica di questa città – nel seminario di Modena – ha ricostruito la vicenda materiale e giudiziaria affidando due relazioni al dottor Giuseppe Nicolosi e al dottor Lorenzo Gestri. Il primo ha parlato in particolare del piano di vigilanza organizzato dopo la tragedia; il secondo ha fatto una disamina dettagliata del tragico evento.
Cosa è stato focalizzato nel secondo intervento:
- i processi penali scaturiti dalla strage del “Teresa Moda” sono stati due: uno con imputato il “datore di lavoro cinese”, il secondo contro il soggetto che ha affittato il capannone. L’intreccio fra i due processi ha focalizzato un dato importante: le attività produttive cinesi sono molto bev inserite nel contesto sociale e produttivo pratese e nel “mercato”;
- le morti sono attribuibili ad asfissia e non a ustioni; ma l’asfissia non è addebitabile solo a CO (ossido di carbonio) bensì anche a cianuri. La Procura ha sottolineato l’importanza di questo riscontro; decessi per intossicazione da CO avrebbero (a parte il problema dell’alto numero delle vittime) “avvicinato” l’evento a un infortunio di tipo domestico quale spesso si verifica e, per la verità, quasi sempre (non sempre) a danno di immigrati e/o comunque di cittadini poveri che vivono in abitazioni insicure con impianti di riscaldamento difettosi o addirittura utilizzando bracieri per difendersi dal freddo in assenza di un vero e proprio impianto. In realtà dunque il rogo ha avuto le caratteristiche del disastro “industriale” nel senso che la causa dell’asfissia è stata individuata anche o soprattutto nei cianuri derivanti dalla combustione dei tessuti accumulati in quantità abnormi e senza alcuna attenzione a garantire sistemi adeguati antincendio. LE VIE DI FUGA ERANO POI DI FATTO INESISTENTI;
- la valutazione dei rischi è risultata assolutamente inadeguata se non ALEATORIA;
- il datore di lavoro effettivo non era quello ufficiale (un semplice prestanome) ma un altro che la Procura ha dovuto (ed è riuscita) individuare non attraverso i documenti ma attraverso constatazioni fattuali e testimonianze;
- molto delicata la questione della responsabilità di chi ha affittato l’immobile. Per ricostruire la dinamica della strage la Procura si è affidata a valutazioni peritali e rapporti del servizio di vigilanza che hanno evidenziato elementi difficili da appurare a prima vista: a) da un attento esame dei materiali recuperati dopo i crolli si è riusciti a ricostruire le date dei lavori che hanno consentito di approntare un dormitorio interno: questione fondamentale in quanto se il capannone non fosse stato usato anche come dormitorio, data l’ora dell’incendio, probabilmente NON VI SAREBBERO STATI MORTI. E la Procura ha fatto tesoro dell’osservazione di un ispettore della medicina del lavoro che ha individuato le date di fabbricazione dei pannelli di cartongesso utilizzati per fare i divisori del dormitorio! Infatti risulta che in una parte del pannello il fabbricante stampa la data di realizzazione del prodotto; ciò ha consentito di dimostrare che chi ha affittato non poteva non essere al corrente che l’immobile non sarebbe stato utilizzato solo per le attività produttive ma anche come dormitorio; b) dalla presenza di frammenti di cartongesso (sopra alle salme o anche sotto) si è riusciti a comprendere la posizione del singolo operaio deceduto nell’ambito del dormitorio; c) un ulteriore elemento importante è stato il rinvenimento di un cellulare con il quale uno degli operai (anche lui morto asfissiato) è riuscito ad mettersi in contatto con i familiari, purtroppo, inutilmente; ovviamente qui non serve addentrarsi in ulteriori particolari da “polizia scientifica”; era solo per evidenziare la complessità della situazione e il tentativo che qualcuno ha fatto per attenuare la gravità delle condizioni di lavoro e le proprie responsabilità;
- la relazione del dottor Gestri a nome della Procura ha evidenziato come il procedimento contro il datore di lavoro cinese (che ha scelto il rito abbreviato) si sia concluso in primo e secondo grado con sentenze di condanna. Il procedimento contro chi ha affittato il capannone ha seguito il rito ordinario: si è concluso, anche esso, con una condanna e sarà celebrato l’appello;
- ulteriore importante questione che la Procura ha opportunamente sottolineato riguarda il capo di imputazione: la Procura ha optato per “omicidio per colpa grave” e non per “omicidio volontario”. Una differenza dunque rispetto all’impostazione (comunque purtroppo non validata dalla Cassazione) del processo Eternit. La Procura di Prato ha precisato le motivazioni di questa opzione: nel capannone lavorava anche la sorella del “datore di lavoro di fatto”. Come abbiamo detto, altro dal datore di lavoro – prestanome- ufficiale e dunque non sarebbe stata sostenibile la ipotesi dell’omicidio volontario avente come vittima potenziale anche una congiunta; il primo intervento del seminario, quello del procuratore Nicolosi, ha descritto il piano di monitoraggio definito tra Procura e Asl e ha fatto alcune valutazioni sui “risultati”.
- anzitutto va detto che la Regione Toscana , per gestire questo piano di monitoraggio/prevenzione ha messo in campo 76 operatori assunti con contratto a termine; ma su questo torneremo;
- ad una prima serie di controlli solo il 29,6 % delle aziende è risultato regolare. In una seconda tornata di controlli le inottemperanze sono cresciute ma per infrazioni meno gravi (che forse non erano state prese in esame nella prima tornata) mentre sono calate le infrazioni per le questioni più gravi che vengono individuate dal gruppo di lavoro e vigilanza in: condizioni accettabili dei dormitori, impianti elettrici, condizioni generali di igiene;
- un allarme e una preoccupazione sono stati sottolineati dalla Procura: si correlano all’evento di Vaiano (Prato) dove il 28.8.2107 vi sono stati due morti per un incendio, anche questo notturno, scoppiato in un sito che ufficialmente era una abitazione ma che, al sopralluogo ispettivo dopo il rogo, si è rivelato essere anche un laboratorio di produzione. Di conseguenza il quesito che tutti si sono posti è se la vigilanza, pur impegnativa e proficua, non abbia semplicemente trasferito il rischio da fabbriche almeno individuabili e riconoscibili a domicili che occultano fabbrichette più difficili da individuare. Sono anche intervenuti gli operatori della Asl (Berti, Cascarano, Margheri, Polcri, Martella e Lizzeri). Ecco cosa hanno detto sostanzialmente:
- anzitutto che i 76 operatori assunti a tempo saranno stabilizzati; i controlli del gruppo di lavoro sono stati 7.000 ! Risulta che la copertura economica di questa stabilizzazione è agevole e garantita dagli introiti delle sanzioni comminate per le inadempienze. Peraltro la Procura ha riferito che la stima della evasione fiscale a partenza al comparto, solo per Prato, ammonta a 1 miliardo di euro l’anno;
- sono stati illustrati alcuni dati relativi all’immigrazione cinese: 330.000 “regolari” in Italia; età media 30 anni; ½ maschi e metà femmine. Il 45% dei cinesi con qualifica di imprenditore è di sesso femminile; 1/5 degli immigrati ha qualifica di imprenditore. Note dolenti per la scolarità dell’obbligo che risulta più bassa (50%) di quella della popolazione immigrata in senso lato (65%). Un riferimento è stato fatto anche alla complessa questione della mediazione culturale. Ovviamente la campagna di monitoraggio è stata centrata sia sulla individuazione delle inadempienze e irregolarità sia sulla diffusione delle informazioni redatte in lingua cinese; iniziative per la verità già prese da lungo tempo sia in Toscana che a Bologna ma che, di per sé, non potevano (e si è dimostrato) essere “sufficienti” a indurre cambiamenti significativi.
Cosa dire a conclusione?
L’iniziativa della regione Toscana è importante e consente di fare alcune riflessioni:
- la prima, è ovvio, che bisogna agire prima della strage, per evitarla, e non il “giorno dopo”;
- poi per agire ci vogliono fatti concreti: questi fatti concreti sono appunto, per esempio, la assunzione di 76 operatori della vigilanza in Toscana. Il presidente della Repubblica Mattarella ha ripreso a fare quello che faceva il presidente Napolitano cioè a dire “mai più” ad ogni notizia di eventi luttuosi nei luoghi di lavoro, almeno da quando è ricominciato l’incremento degli infortuni mortali (cioè dal primo semestre 2017). Meglio parlare che tacere ma istituzioni che reiterano l’auspicio senza prendere provvedimenti concreti perdono di credibilità;
- i prodotti della Confezione Teresa Moda entravano tranquillamente nel mercato, impossibili da “tracciare”, il che dimostra la grande facilità con cui il mercato è condizionato da forme di lavoro simil-schiavistiche;
- venire a capo della pulsione schiavistica indotta dal “mercato” non è facile perché si tratta di una “organizzazione del lavoro” che, come dimostra l’evento di Vaiano, tende a rimodellarsi per sfuggire ai controlli;
- occorre bandire qualunque pulsione “razzistica” nell’approccio al problema anche perché, come si è visto, l’intreccio di interessi , che poi va sempre a sintesi nelle logiche di mercato, travalica assolutamente i confini “etnici”. Al di là delle apparenze superficiali abbiamo di fronte NON una contraddizione di tipo etnico ma una divisione capitalistica del lavoro che delocalizza nel sud del mondo quando conveniente e delocalizza invece in isole (del Nord) più a portata di mano in altre circostanze;
- è necessario, come ha fatto la Toscana, organizzare ulteriori piani regionali di vigilanza/monitoraggio assumendo per ognuno di questi piani un congruo numero di operatori come nel programma che ha riguardato il tessile “cinese”. I piani devono o diciamo potrebbero (visto che chi scrive non ha alcuna forza contrattuale nei confronti del governo e delle Regioni) riguardare anche: 1) lavoro bracciantile in Puglia (un’altra lavoratrice morta pochi giorni fa) in Calabria, Campania e in Sicilia con particolare riferimento a Ragusa dove si sono manifestate odiose condizioni schiavistiche e inaudite violenze sessuali , ma in generale estensibile a tutto il Mezzogiorno; 2) attività di produzione e commercializzazione di fuochi artificiali: pensiamo alla strage di Modugno che ha fatto più morti di Prato (non si vuol fare “graduatorie” in base al numero dei morti) ciononostante è sempre stata avvolta da un inquietante silenzio; 3) alcuni settori del comparto turistico in cui le istituzioni “non vogliono vedere” il bestiale sfruttamento della forza-lavoro attraverso straordinari non riconosciuti e riposi negati ecc. OGNUNO PUO’ FARE ULTERIORI IPOTESI DI LAVORO…
Chi vuole e chi può faccia circolare questa proposta, se la condivide, nel tentativo, che dobbiamo certamente fare, di contrastare il neo-schiavismo, le morti e le malattie dei lavoratori sfruttati anche con programmi come quello della Regione Toscana che come già detto) devono essere adottati “il giorno prima”. Alla fine non “costano” e vengono finanziai dalle inevitabili sanzioni comminate sul campo.
(*) Vito Totire è portavoce di AEA -associazione esposti amianto e rischi per la salute.