venerdì 2 novembre 2012 - Sergio Giacalone

La storia insegna: Il Movimento a 5 Stelle e il suo sfortunato predecessore

Grillo e Giannini, due "reazionari" a confronto.

Vorrei ricordare a me e a Beppe Grillo la storia di un uomo e di un partito che nessuno ricorda quasi più. Eppure furono protagonisti attivi di un periodo fra i più difficili e ricchi di fermento della nostra storia recente, quel breve e drammatico periodo che va dalla caduta del fascismo alla repubblica. Li voglio ricordare a me stesso per rafforzare la mia convinzione che nulla si crea dal nulla e che la storia costituisce una fonte immensa di insegnamenti e spunti di riflessione. Lo voglio ricordare a Beppe Grillo perché si possa rispecchiare in quella vecchia avventura che per tanti versi ricorda la sua di oggi, prendendo piena consapevolezza della straordinaria occasione che il destino gli sta offrendo ed evitando, se può, di commettere quegli stessi errori che tanti anni fa portarono Guglielmo Giannini e il suo Partito dell’Uomo Qualunque a trasformarsi da speranza in meteora, tanto luminosa quanto fugace.

Guglielmo Giannini era un valido attore di teatro (vedi un po’ il caso!) e un commediografo senza infamia né lode che in un momento difficilissimo della storia italiana decise con coraggio quasi incosciente di farsi portavoce di una protesta che pochi avevano il coraggio di esternare. Erano i mesi successivi alla Liberazione e in Italia avevano fatto prepotente ritorno sulla scena i partiti politici, con il loro carico di odi e di voglia di rivalsa nei confronti del defunto fascismo e di tutto quello che lo ricordava, con la loro deliberata volontà iconoclasta senza frontiere, con la loro voglia di riscrivere la storia di cui non erano stati protagonisti assumendosi ruoli che non avevano mai avuto. Scendevano dal nord, i partiti, spinti dal vento della Resistenza, gonfiata a sproposito perché divenisse l’unica storia degna di essere raccontata. In tutto questo però non facevano i conti con la metà del nostro paese, quella centro-meridionale, che non aveva conosciuto l’occupazione nazista e la resistenza, che non aveva vissuto i drammi del fascismo di Salò e che viveva questa voglia di protagonismo dei partiti del CLN come una vera e prepotente aggressione. La furia dirompente con la quale i leader politici lanciavano i loro strali contro la Casa Reale e i fondamenti dello stato unitario suonava come una bestemmia; la febbre epurativa, senza se e senza ma, come segno di schizofrenia compulsiva. C’era un disagio vero, profondo; e Giannini decise di farsene interprete. Napoletano, colto, Montanelli, che lo conobbe, lo descrive come un uomo di una certa eleganza, raffinato in privato, ma capace di usare un linguaggio diretto e chiaro con il quale sapeva raggiungere la gente: in ciò sicuramente agevolato dal suo mestiere e dalla conseguente propensione a rivolgersi alle platee. Profondamente avverso alla retorica con la quale i politici infarcivano i loro discorsi, ai più incomprensibili, Giannini faceva spesso uso del turpiloquio, cosa rarissima a quei tempi, riuscendo a raggiungere in modo diretto ed efficace il suo scopo: insinuare il sospetto sulla malafede e sui pericoli della nuova politica nell’animo dell’uomo della strada a cui voleva parlare e che era, appunto, “L’Uomo Qualunque”. Così volle chiamare il giornale di cui fu fondatore e che raggiunse in pochissimo tempo il milione e mezzo di copie vendute: un successo. Al punto che, sulla scia di quel successo, qualcuno convinse Giannini a fondare un partito, che però a lui piaceva chiamare “Movimento” (incredibile similitudine…!).

Il Movimento dell’Uomo Qualunque sembrava la vera novità dirompente in quel tormentato dopo guerra, ma il suo fondatore cominciò ad avere remore già all’indomani della sua fondazione: Giannini sapeva che un movimento fondato sulla pura protesta, senza un supporto ideologico, senza un programma definito, senza una linea politica netta, non avrebbe potuto avere vita lunga; che i partiti veri, quelli radicati nella società e tornati alle leve del potere avrebbero in breve fagocitato quel suo coraggioso tentativo di denuncia del torbido e della mistificazione istituzionalizzata. Per questo cercò aiuto in un vecchio saggio della politica prefascista, Antonio Saverio Nitti, a cui chiese, con il suo fare caratteristico, se si voleva “accollare 'sto pupazzo”! Nitti rifiutò, non solo per le ragioni di cui sopra, ma anche perché i partiti politici avevano iniziato una durissima campagna denigratoria nei confronti dell’Uomo qualunque, fatto passare come un riedizione del fascismo. Ma così non poteva essere: Giannini aveva perso il suo unico figlio nella guerra voluta da Mussolini e provava per lui lo stesso odio che aveva pervaso l’animo di tutti gli italiani che pure lo avevano osannato. Era monarchico, quello sì, come più della metà degli italiani che in lui si rispecchiavano; credeva che in quello sfacelo generale la monarchia potesse rappresentare l’unica ancora di salvezza, l’unico valore da salvaguardare e su cui gettare le basi per ricostruire un paese nuovo, unito e democratico. Questa opzione però non era nei programmi dei partiti tradizionali, il cui scopo precipuo era quello di liquidare anche e soprattutto la monarchia, così da potersi spartire senza alcun ostacolo la preda Italia, una volta conquistatone anche il vertice.

Malgrado questa vergognosa erta di scudi, alle elezioni per la Costituente L’Uomo Qualunque catalizzò i voti monarchici e riuscì ad ottenere 30 deputati. Era una grande occasione per agire dall’interno del Palazzo e scardinare quel sistema partitocratico fin dalla sua formazione. Ma non fu così. Da un lato l’isolamento operato dalle altre forze politiche dall’altro il contemporaneo arroccamento del movimento in una posizione difensiva e intransigente, senza alcun supporto ideologico, senza una proposta dirompente per i disegni della politica tradizionale, portarono l’Uomo Qualunque a chiudere la sua esperienza sul nascere.

Credo di non sbagliare scorgendo molti punti di contatto fra l’esperienza di Giannini e quella di Grillo, fatte le debite differenze ideologiche e di contesto. Il Movimento a 5 Stelle ha la stessa follia, lo stesso coraggio, le stesse potenzialità e sta avviandosi sullo stesso iniziale percorso politico che fu dell’Uomo Qualunque. Nel totale sfacelo in cui siamo costretti a vivere rimpiango l’occasione mancata dall’esperienza di Giannini e in qualche modo mi piace pensare a Grillo come al riscatto che la storia ha voluto offrire, a tanti anni di distanza, allo sfortunato attore napoletano, che morì povero e dimenticato. Oggi il M5S è nella condizione di giocarsi un’opportunità unica, favorito, rispetto all’illustre predecessore, dalla totale perdita di credibilità dei partiti tradizionali, oggi non più in grado di raggirarci come in passato. Ma si tratta pur sempre di un movimento di reazione, di protesta spontanea, come tale destinato ad apparire superfluo, una volta esaurita la sua funzione. da quel punto di vista l’Uomo Qualunque sta lì ad indicare gli errori che chiunque voglia ripercorrerne la strada non deve assolutamente commettere; il movimento di Grillo deve trovare una sua identità specifica e un’ancoraggio ideologico a sé congeniale, utili e necessari a catalizzare una fedeltà nutrita e duratura; ove fallisse il rischio sarebbe quello di ritrovarsi fra sessant’anni a parlare di un uomo e di un movimento che hanno brillato per un tempo troppo breve per poterne conservare il ricordo.




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