giovedì 12 marzo 2015 - Phastidio

La rupe ateniese

Da qualche giorno (o forse sono solo ore), il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, è diventato silente. Forse ciò è dovuto al fatto che la Grecia e le “Istituzioni” (cioè la ex Troika) stanno finalmente negoziando nel silenzio metodi e contenuti di quella che sarebbe la conclusione del bailout in essere, e che è stato prorogato di quattro mesi. Pareva positivo che Varoufakis stesse tacendo, dopo quello che siamo riusciti a leggere nei giorni scorsi sui “guardoni fiscali” non professionali, muniti di telecamera e microfono. Il problema è che ora parla il resto del governo greco, con in testa il premier, e già sentiamo la mancanza dell’economista blogger.

L’intervista di Varoufakis uscita domenica scorsa sul Corriere viene ricordata soprattutto per la nota di sdegnata rettifica di Atene, che accusa l’intervistatore italiano per quel ndr in cui il “referendum”, a cui Varoufakis accenna, viene interpretato come quello di uscita dalla moneta unica. Non per prendere le parti del Corriere ma secondo voi, in questo momento, cosa potrebbe essere oggetto di un referendum, in Grecia? E’ così difficile? Forse che il governo Tsipras allestirebbe una baracconata con quesito del tipo “volete voi che questo governo prosegua nella trattativa con le istituzioni internazionali e l’Unione europea, per giungere ad un mondo libero dal bisogno e dal debito, fatto di pace ed armonia?” Oppure avete in mente altre formulazioni del quesito referendario? Quindi no, non lapidiamo il povero giornalista che ha compiuto un’inferenza assai meno spericolata di molte altre di cui leggiamo quotidianamente sulla nostra stampa.

Ma detto ciò, voi come vedete le esternazioni “negoziali” di ministri greci di prima fila, come quello della Difesa nonché leader del partito che permette a Tsipras di “governare”, sulla fornitura di passaporti agli immigrati irregolari, terroristi inclusi? E’ solo folklore o anche una forma di regressione che porterà la Grecia a collassare a breve? Detto in altri termini, abbiamo di fronte qualcuno che pensa di avere leve negoziali effettive o che semplicemente si è drammaticamente scollato dalla realtà? Né aiuta la ricorrente canzoncina sulle riparazioni di guerra chieste alla Germania, e a questo giro è Tsipras in persona a battere sul tema. Queste riparazioni vengono quantificate dal governo greco in un importo, che rappresenterebbe l’indennizzo per la distruzione di economia ed infrastrutture del paese ellenico, pari a circa 160 miliardi di euro.

Ma la Grecia ed il suo governo pro tempore hanno compreso che non stanno negoziando con la sola Germania ma con tutta l’Ue? Pensano realmente che queste rivendicazioni siano un reale contrappeso negoziale? Quanto sarebbero enforceable, comunque? Noi un’idea ce la saremmo fatta. Il governo greco sinora ha preso tempo, per arrivare a ridosso delle maggiori scadenze finanziarie, pensando che qualcuno, tra Bruxelles, Berlino, Francoforte (ma anche Parigi e Roma) si alzi e dica: si, va bene, chiudiamola qui per sfinimento, tenete questi soldi e andate felici. Ma le cose non stanno così. Davvero qualcuno ad Atene pensa di poter uscire come la parte meno lesionata da uno scontro frontale con la Ue ed il Fmi? O forse pensano che, ad un certo punto, “arrivano i cinesi”, incredibilmente assurti al ruolo di nuova onlus planetaria degli altermondialisti fulminati, di cui il nostro paese (e non solo) sovrabbonda?

Se è bastato levare il sopracciglio europeo per indurre la popolazione greca a prelevare furiosamente i propri risparmi dalle banche, che accadrebbe se la situazione precipitasse? Non è che stiamo drammaticamente sopravvalutando la competenza ma anche la preparazione negoziale di questo bizzarro governo rosso-nero che opera in Grecia, e che in realtà ci troviamo di fronte delle aspiranti bombe umane? Perché, davvero, a noi di questa vicenda sfugge praticamente tutto. La Grecia vuole la “solidarietà europea”? Ottimo, ma in che termini? In questo momento, nessun paese dell’Eurozona si trova ad avere interessi convergenti con Atene, con buona pace dei soliti sognatori. Ma proprio nessuno. Pensateci bene. La Grecia può uscire dalla moneta unica nottetempo, magari durante il fatidico weekend lungo o reso tale, e decidere che fare del proprio debito denominato in una moneta straniera, verosimilmente ripudiandolo. Oppure può tentare di restare nell’euro e ripudiare il proprio debito. Ma che ne sarebbe di lei? Forse Tsipras e compagni pensano di poter procedere a nazionalizzazioni e sequestri di beni “stranieri” sul suolo greco?

Potremmo continuare ma dovrebbe ormai essere chiaro. Esiste un sistema di vincoli, alle scelte di un paese. Questa è la scoperta dell’acqua calda, ma evidentemente repetita iuvant. La nostra impressione è che il governo greco stia gettando alle ortiche la dote di simpatia che si era costruita nel tempo, e che avrebbe permesso di ottenere importanti risultati in termini di sollievo dal debito, sacrificata ad un maleodorante impasto di ultranazionalismo, dilettantismo, arroganza, incompetenza, vittimismo e cospirazionismo. Oppure questo è solo il fondale colorato dietro il quale la nuova classe di governo greca sta lavorando per tenere assieme l’orgoglio nazionale e la realtà. Ma serve che questo dilemma si sciolga il prima possibile. Perché la Grecia appare sempre più avere le sinistre fattezze di uno stato fallito, e la sua popolazione rischia ogni giorno di più di assumere quelle di una enorme colonia di lemmings in cerca di una rupe, irretiti dalla sirena di un giovanotto dalle ambizioni fatali.

 

Foto: Atene, Sascha Kohlmann/Flickr



5 réactions


  • (---.---.---.235) 12 marzo 2015 15:28

    Nei paesi con una grande evasione fiscale, come la Grecia o l’Italia, ci sarebbe una soluzione: tassare solo i beni di consumo (IVA al 50 o 70%) ed il possesso (patrimoniale su casa, macchina eccetera). Nessun altro tipo di tassa.

    Non è giustissimo, ma vista la situazione potrebbe essere una soluzione.
    Leggo però che in Grecia a questo punto, oltre ad un’evasione fiscale del 50%, ormai non si paga più neanche l’IVA.
    Credetemi: quel paese è finito.

  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.6) 13 marzo 2015 10:39

    Per molti millenni Stati e Imperi chiedevano la decima parte della produzione agricola e qualcosa dei guadagni mercantili, ma non si sa bene quanto (erano i privilegiati di allora). Tutto questo si chiamava pagare le tasse e in genere mandavano qualcuno a prenderle. Ora passiamo ore e ore a fare delle file snervanti in code lunghissime quasi tutti i mesi.

    Fino al 1930 circa il 90-95 per cento della popolazione lavorava la terra, anche perchè non esistevano macchine ma solo gli animali, che come gli uomini si stancano di lavorare (per fortuna).

    Ora molti Stati chiedono dal 50 al 70 dei ricavi dalla produzione industriale e artigianale e dai redditi (in Italia calcolate le tasse sul lavoro per sanità e pensioni arriviamo a quasi il 70 per cento dei redditi). E questo lo chiamiamo progresso....


    • (---.---.---.51) 13 marzo 2015 14:10

      Sì, io lo chiamo progresso, pur se molto perfettibile.

      Dove mettiamo il gran numero di pensionati - mantenuti e curati a spese della collettività? Dove mettiamo il tenore di vita che, almeno sulla carta, non è lontanamente paragonabile a quello di allora? Voglio dire: pur pagando il 50-70% di tasse abbiamo tutti l’auto, il telefonino, il televisore, mangiamo carne e pesce e dolci a volontà.

      Insomma, cerchiamo di essere realisti. Le direi di fare una settimana di "vacanza" nell’anno 1930 e poi venirci a raccontare com’è andata!


  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.99) 13 marzo 2015 19:44

    Io ringrazierei soprattutto gli scienziati, la scienza e la tecnologia e non i politici per tutto questo e per i grandi aumenti della produttività...

    I vari governanti i giro per il mondo poi approfittano di questa evoluzione tecnologica arraffando tutto il possibile (i pensionati delle prossime generazioni saranno trattati molto peggio).

    E vero che in alcuni stati vengono pagate le pensioni e la sanità, ma negli Stati Uniti no, e comunque un livello di tasse intorno al 70 per cento è giustificato solo in Svezia e in Danimarca dove esiste anche il Reddito Minimo di Sussistenza e non in Italia che abbiamo livelli di servizi a volte inferiori al Nord Africa. Basta andare in certe città siciliane dove manca l’acqua, i collegamenti stradali e quelle telefonici di ultima generazione.


  • Damiano Mazzotti Damiano Mazzotti (---.---.---.99) 13 marzo 2015 19:53

    Possiamo poi aggiungere che era, ed è facile pagare le pensioni quando ci sono tanti giovani che lavorano e pochi vecchi in pensione come succedeva fino a qualche anno fa.

    Infatti i nostri politici ritardati hanno mandato le persone in pensione nel settore pubblico a partire da 42 anni di età e pochi anni di lavoro. Ma dato che oggi abbiamo una situazione ben diversa ci saranno problemi un po’ per tutti.... E secondo me quasi tutto l’argomento pensioni è ancora una situazione da separare dagli alti livelli di tasse e di prelievi fiscali.


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