lunedì 6 settembre 2021 - Osservatorio Globalizzazione

La rotta afghana è la disfatta dell’Occidente

Una lunga guerra ventennale, che si conclude precipitevolissimevolmente con una ritirata e che lascia campo libero all’avversario, non può essere altro che una cocente sconfitta

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In Italia i cantori della Superpotenza americana minimizzano l’ennesima disfatta bellica a stelle e strisce, come se le ritirate dal Vietnam, dall’Iraq, dalla Libia, dalla Siria e dall’Afghanistan fossero nequizie, quisquiglie e pinzillacchere. Poco ci manca, nella loro comicità involontaria, che gli iper americanisti all’amatriciana augurino agli Stati Uniti cento di questi giorni.

Nando Mericoni, impersonato da uno strepitoso Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”, ha fatto scuola: “gli americani sono forti”. Secondo i suoi epigoni americanizzanti l’importante è seguire America, perché l’America è infallibile in saecula saeculorum.

Il costo della disfatta afghana

La potenza militare statunitense è rimasta intatta, ma le vite umane perse, il danno di immagine planetario e l’esorbitante costo (finanziato a debito), calcolato in 6,4 trilioni di dollari per le guerre in Iraq e Afghanistan,[1] non sono bruscolini neppure per la Nazione più ricca del mondo. L’Italia ha speso la modica cifra di 8,7 milioni euro[2] per mantenere colà il contingente italiano.

Lavrov fiuta l’opportunità

Il primo a cogliere pubblicamente la palla al balzo, dopo il caotico ritiro americano dall’Afganistan è stata quella vecchia volpe di Sergej Lavrov[3], Ministro degli Esteri della Russia, il quale, “casualmente” dalla fortezza/semi-enclave di Kaliningrad, ha detto ai Talebani che la Russia non ha occupato l’Afganistan, -come se l’invasione del 1981 fosse opera di sconosciuti alieni-, e non da ultimo di voler riconoscere il nuovo governo di Kabul, a patto che non esportino la guerriglia tra gli islamici della Russia.

Invece il messaggio indiretto rivolto da Lavrov ai riottosi baltici non poteva essere più chiaro e diretto: gli Stati Uniti invierebbero i Mariners, se le Forze Armate della Federazione Russa occupassero il corridoio di Suwalki? Il disimpegno anglo francese verso la Polonia nel 1939 non ha lasciato un buon ricordo.

Bisogna riconoscere che Lavrov è bravo nell’incunearsi tra le divergenze degli Alleati e nel far fruttificare al massimo il poco di cui la Russia dispone … e se non ha nulla, nel disseminare dubbi.

Le mosse cinesi in terra afghana

A stretto giro e sulla stessa lunghezza d’onda dei russi, segno di una preventiva intesa, i cinesi, già commercialmente installati nel settore minerario afgano, si sono accreditati presso i Talebani come potenza interessata alla costruzione di nuove Vie della Seta. Pechino[4] è pronta a inviare un proprio ambasciatore a Kabul, a condizione che i Talebani non si intromettano negli affari delle popolazioni musulmane Uigure del confinante Xinjiang.

Le mosse degli altri attori

L’Iran[5], culturalmente affine alle regioni di confine con l’Afghanistan è un possibile attore di prim’ordine nel futuro dell’Afghanistan, ma si tiene in stretto contratto con la Russia[6] e con la Cina.[7]

Il Pakistan si sta coordinando con la Cina “per sviluppare una posizione regionale comune sull’evoluzione della situazione in Afghanistan”. [8] Nel frattempo ha eretto una lunga barriera di confine per prevenire l’invasione dei vicini.

Il Presidente turco Erdogan, mediatore non equidistante tra Talebani e Americani nel Qatar, ha dichiarato che non intende ospitare altri rifugiati, dopo quelli siriani. Il Sultano di Istanbul, dal canto suo, è soddisfatto per aver appuntato senza grande dispendio un’altra bandierina rossa con la Stella e la Mezzaluna sulla mappa Turanica.

Angela Merkel[9], temendo una nuova marea umana che assedi la cittadella non fortificata tedesca, è volata da Putin, affinché chieda moderazione ai Talebani.

Gli Stati confinati dell’Afghanistan si tengono in contatto tra di loro per esprimere un’unica regia. Al contrario, l’India non sembra direttamente interessata alle divisioni afghane, perché non ha la forza di badare contemporaneamente ai fronti dei territori contesi ad occidente con il Pakistan e a Oriente con la Cina.

Come cambia l’Afghanistan?

Il rischio è che l’Afghanistan sia diviso in settori di influenza tra gli ingombranti vicini (presenti passati e futuri) del club atomico, con la Cina nella parte del leone, pardon del Dragone. Il ruolo delle mafie nell’export di sostanze stupefacenti verso l’Occidente non lascia presagire nulla di buono in quella guerra persa che è il proibizionismo.

La Cina è l’unica Nazione che abbia il portafoglio abbastanza pieno per investire in Afghanistan. Lo aprirà, ma non gratis, come i precedenti africani e asiatici insegnano.

Questo distingue i commercianti cinesi dai cowboy americani, capacissimi di vincere le guerre, ma incapacissimi di realizzare la ricostruzione. Si comprende allora come un soldato semplice, ma provetto fontaniere come Henry Kissinger, capace di risolvere i problemi idrici di una media città tedesca occupata, sia stato nominato in seguito Segretario di Stato.

Gli Stati confinanti con l’Afghanistan sono disponibili a “digerire” la nuova gestione del potere a Kabul, purché non li danneggi.

Le mosse occidentali per reagire alla disfatta afghana

In Occidente invece Joe Biden, su spinta di Boris Johnson, ha deciso di convocare un G7 telematico straordinario sull’emergenza profughi afghana. La scoperta dei diritti umani come arma da brandire mediante la cattiva stampa solo contro alcuni Paesi diventerà il faro della politica estera del G7 verso l’Afghanistan.

Il tentativo dell’Italia, presidente di turno del G20, di egemonizzare l’Organizzazione multilaterale per imporre i dettami del G7 sui diritti umani, appare intrinsecamente debole a causa della presenza di Paesi che degli stessi hanno concezioni diverse da quelle occidentali. Lavrov[10] ha incoraggiato Roma ad andare avanti. Verso quale direzione poi si vedrà.

È contraddittorio da parte dell’Occidente prima trattare più o meno sottobanco con i Talebani a Doha, salvo poi non riconoscerli internazionalmente in seguito alla loro repentina presa del potere, perché si teme che non rispettino i diritti umani e incoraggino il terrorismo. L’acme dei bizantinismi è stata raggiunta da Emmanuel Macron. Secondo il Presidente francese trattare coi talebani non equivale a riconoscerli[11].

In quella parte dell’Asia i diritti umani non sono per i Governi in carica un problema su cui sottilizzare troppo.

Il quadro afghano post ritiro sembra abbastanza delineato.

Da una parte ci sono i vicini non invasori, che non intendono farsi carico del problema dei profughi. Dall’altro ci sono gli ex invasori, ovvero gli occidentali, sui quali andranno a riversarsi i flussi migratori via Turchia, dando a quest’ultima ulteriore potere di ricatto sull’Europa (leggasi Germania), pronta a storcere il naso sui diritti umani in Afghanistan, che al momento è uno Stato de facto a riconoscimento limitato.

Il grande assente: l’Italia

In tutto questo l’Italia brilla per l’assenza di un qualche pensiero politico. Palazzo Chigi è sede politicamente vacante. Idem la Farnesina, nei cui corridoi aleggia il fantasma del podestà-intermediario internazionale Achille Pennica, magnificamente caratterizzato da Gianni Agus nel film “I due marescialli”.

Roma ubbidisce di volta in volta a Washington, Londra, Parigi e Berlino. Non ha una propria politica estera a tutela dei suoi precipui interessi, ma va al carro dei taumaturgici “Alleati”, i quali nel 2011 ne hanno ben ripagato l’affidamento (parola da aborrire in politica estera) con il bombardamento della Libia, giardino di casa dell’Italia, proprio mentre partecipava all’operazione militare Enduring Freedom in Afghanistan, a difesa degli Stati Uniti, attaccati l’11 settembre 2001.

Dopo l’eliminazione di Bin Laden, avvenuta in Pakistan nel 2011, non c’erano più ragioni per restare in Afghanistan.

Il vuoto di elaborazione strategica della politica italiana viene colmato dai giornaloni internazionali e dai collegati italici attraverso l’olografia denigratoria sull’Italia, accusata di tutto e di più. In nome della lealtà Atlantica le vengono solitamente imposti sacrifici delle proprie convenienze a favore degli “Alleati”. Tuttavia va specificato che non è stata l’Italia a regalare gli ottimi motori a reazione Roll Royce alla Russia, o a provare a vendere alla stessa le navi portaelicotteri Mistral, o a comprare dalla medesima Russia sistemi anti missili. Non è Roma ad avere due canne di gas russo conficcate nelle narici e una in gola. E si potrebbe continuare nell’elenco …

Eppure la propaganda della grande stampa internazionale non perde occasione per martellare sul piano dell’affidabilità l’Italia.

Gli Stati Uniti dalla Prima Guerra Mondiale in poi, nelle contese tra l’Italia e foss’anche uno Stato immaginario, si schierano aprioristicamente con il secondo. Al più sono neutrali. Nella visione di Washington, concorde con Parigi e Londra, tenaci assertori della cancellazione del passato delle Repubbliche Marinare, Roma non deve proiettarsi nell’amarissimo[12] Mar Adriatico e men che mai nel Mediterraneo. È la prosecuzione aggiornata della visione asburgica dell’Italia, quale mera “espressione geografica”. La strisciante anti italianità statunitense incontra il limite difficilmente sostenibile della perdita dell’Italia a cagione della compatta volontà polare, davanti alla quale anche gli Stati Uniti si arrestano[13], nonostante i contrari buoni appetiti degli “Alleati” e degli avversari. Dovremmo riflettere, quanto sia stato, e quanto sia utile per l’Italia farsi coinvolgere e parteggiare nel conflitto franco-prussiano e nelle sue evoluzioni, almeno dalla Prima guerra Mondiale in poi.

Il Pentagono e il Dipartimento di Stato mostrano di non avere una visione stereoscopica degli aspetti militari dell’Italia (ritenuti postivi) e dei suoi profili politici diffamatori (giudicati negativamente). Gli Stati Uniti si fanno telecomandare dagli “Alleati” per eterodirigere tutti insieme l’Italia secondo i propri tornaconti.

I magnifici risultati della cattura “culturale” di Washington, dalle disfatte di Saigon in poi, sono stati toccati con mano.

Con il change regime avutosi a seguito di Tangentopoli anche i partiti più rigorosamente filo atlantistici della Prima Repubblica sono stati ritenuti sacrificabili da Zio Sam, al pari dei curdi e degli afgani, per non tacere del bis ai danni dell’Italia in Libia nel 2011.

La Casa Bianca ha eufemisticamente qualche problema di credibilità internazionale.

Washington in perfetta nemesi merita i mal di pancia di Macron[14] sull’invio di forze navali, consistenti e non simboliche, nel Mar Cinese Meridionale, in quanto la voglia di affari con la Cina induce Parigi a distinguere tra alleanze militari e concorrenza commerciale, salvo arrabbiarsi con Roma per i suoi negativi e perduranti scambi di piccolo cabotaggio, ma potenzialmente ribaltabili.

Si tocchi tutto a Parigi, Londra e Berlino, ma non il portafoglio degli affari all’ombra della bandiera di Stato. Si comprende quanto sia stata di comodo e strumentale la lotta dei “diversamente Alleati” al pericolo comunista e all’economia socialista in Italia e il perché sulla Cina comunista chiudono occhi, bocca, naso e orecchie.

Quando nelle Relazioni Internazionali la fanno da padrone l’ipocrisia, il doppiogiochismo, la malignità, l’arroganza, il lobbismo, il bullismo e non da ultimo il colonialismo, più o meno camuffato, il conto dei misfatti cinici, prima o poi viene presentato dalla Storia.

All’Italia urge ripensare in proprio la difesa dei suoi interessi dagli appetiti mordaci e predatori dei vicini e dei meno vicini. L’America è troppo ossessionata dell’incubo cinese per occuparsi positivamente dell’Italia. Nella US Navy, grazie a buone libagioni, sognano di richiamare in servizio il commodoro Matthew Perry e di risolvere i problemi con la Cina a suon di cannonate, affiancati dalla Royal Navy, solerte nell’aprire simbolicamente il fuoco per prima. Sulle competenze delle due Marine in tema di commercio internazionale è lecito essere scettici.

Mal che vada nel Mar Cinese Meridionale, a Washinton possono contare incondizionatamente sull’intera Marina Militare di Erdogan?

Dopo la defenestrazione di Gheddafi, che aveva rinunciato all’arma nucleare, Kim Jong Un ha nell’atomica l’assicurazione della sua sopravvivenza fisica e politica. L’Iran ha fatto sua la lezione libica. Il tentativo di accerchiamento della Russia e della Cina da parte degli Stati Uniti da sud, già in forte difficoltà nelle ex Repubbliche Sovietiche, è definitivamente venuto meno e con esso le ragioni strategiche dell’occupazione militare dell’Afghanistan.

È ora per l’America di voltare pagina.

Della guerra in Afghanistan resta la lunga scia di caduti e feriti e la rivalsa dei Talebani verso gli ex occupanti.

Chi lo va a dire agli americanti di casa nostra che la parola “forte” in romanesco ha tra gli ultimi significati anche quello di mezzo scemo?

Gli americani sono forti. Non puoi mica combattere contro gli americani. Sciarap, ause, orrait, auanagana direbbe Nando Mericoni col grammelot di Albeto Sordi.


[1] https://europa.today.it/attualita/costi-guerra-statiuniti.html

[2] https://quifinanza.it/editoriali/video/guerra-afghanistan-costo-italia-usa/521030/

[3] https://www.swissinfo.ch/ita/tutte-le-notizie-in-breve/afghanistan–mosca–i-primi-segnali-dei-talebani-sono-positivi/46874850

[4] https://www.lapresse.it/ultima-ora/2021/08/25/afghanistan-cina-primo-contatto-diplomatico-con-talebani-a-kabul/

[5] https://en.irna.ir/news/84441617/No-country-can-play-Iran-s-role-in-Afghanistan-Former-diplomat

[6] https://en.irna.ir/news/84442092/Pres-Raisi-discusses-Afghanistan-JCPOA-with-Russia-s-Putin .

[7] https://en.irna.ir/news/84442116/Pres-Raisi-calls-expanding-ties-with-China-a-foreign-policy.

[8] https://www.lapresse.it/ultima-ora/2021/08/25/afghanistan-cina-primo-contatto-diplomatico-con-talebani-a-kabul/

[9] https://www.affaritaliani.it/esteri/afghanistan-i-talebani-riavvicinano-putin-occidente-754613.html

[10] https://tass.com/politics/1331025

[11] https://www.lapresse.it/ultima-ora/2021/08/29/afghanistan-macron-discutere-con-talebani-non-significa-riconoscimento/

[12] http://www.amarissimo.it/lamarissimo-mare-la-storia-dietro-nome/#: :text=Non%20%C3%A8%20cos%C3%AC%3A%20l%27Amarissimo,epoca%20sotto%20il%20dominio%20austriaco

[13] G. Vaccarino, Le relazioni franco-italiane dopo l’8 settembre in https://www.reteparri.it/wp-content/uploads/ic/RAV0068570_1969_94-97_37.pdf https://torino.repubblica.it/cronac...

[14] https://www.atlanticcouncil.org/blo...

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