lunedì 1 marzo 2021 - Pino Mario De Stefano

La resistibile soglia del male

È una importante rivelazione quella contenuta in una pagina del romanzo Il Maestro e Margherita, straordinaria e intricante "sinfonia" letteraria di Michail Bulgakov.

La pagina è quella in cui, nel dialogo tra Woland (Satana) e Margherita, veniamo a sapere che Satana (Woland), il quale "vuole costantemente il male ma opera anche il bene", e riesce addirittura a venire in aiuto delle persone, a punire i malvagi e gli arroganti, a riconosce la verità, e realizzare grandi azioni straordinarie, ha solo una soglia che non può mai attraversare: quella della pietà, della misericordia, della compassione. Da quella, si guarda bene, perché, egli teme, "talvolta essa s'insinua del tutto inattesa e insidiosa, nelle fessure più anguste" dell'io. E questo, per lui non deve accadere, non può accadere!

Se si tratta di un atto di pietà, di compassione, Satana (Woland) deve dare a vedere di occuparsi d'altro. "Nemmeno per idea", può considerarlo plausibile!

 

Qual'è, allora, la rivelazione di questa pagina di Bulgakov

Esattamente la seguente: la soglia, il vero confine tra il Male e il Bene è qui. Il sentimento e la pratica della compassione, della misericordia. 

Ciò che caratterizza infatti Satana (Woland), cioè il Male, è proprio questo. La sua essenza per così dire, è qui: è la sua costitutiva incapacità e rifiuto di compassione e di misericordia. "Nemmeno per idea", appunto. Qui ha la sua origine tutto il male umano, sembra dirci Bulgakov.

 

Se è così, gli esseri umani non si dovrebbero distinguere, primariamente, tra bianchi o neri, belli o brutti, "buoni" o "cattivi", giusti o ingiusti, sapienti o ignoranti, corrotti o integri, religiosi o non religiosi, civili o barbari, ecc. Ma, tra capaci di compassione verso ogni individuo, o incapaci di compassione.

Se, davanti a ogni individuo riusciremo a diventare consapevoli che l'intero globo della Terra non può trovarsi in uno sconforto maggiore di quello di una sola anima(WittgensteinPensieri diversi), allora sapremo di essere - con tutti gli altri nostri limiti - nel Bene e fuori dal Male. Allora sapremo di essere degni della vita.

 

In effetti, essere compassionevoli e misericordiosi, implica soprattutto la capacità di trascendersi; e comporta lo sforzo di "espandersi", per uscire dai confini dell'ego, per liberarsi e identificarsi con gli altri e con l'intera rete della vita. Fino ad acquisire una nuova coscienza dell'interconnessione, quella che rende capaci di agire, non secondo una logica di indifferenza, di violenza, di potenza e di "dominio"(potere-su), ma di concerto con gli altri, concerto che si può tradurre solo in una logica di "potere-con" (Joanna Macy). Sono anche questo, la compassione e la misericordia.

 

La compassione e la misericordia, infatti, sono radicate nella consapevolezza che tutto ciò che esiste è degno di esistere, tutto ciò che vive è degno di vivere. Perciò ci rendono capaci di accogliere e ad aver cura di tutto ciò che vive, anche se ciò che vive dovesse apparire svuotato di "essere"

 

E non vale, mascherare, come si fa spesso nella nostra società tendenzialmente - e felicemente? - ipocrita, il rifiuto della compassione e della misericordia, e la conseguente condanna alla sofferenza, all'umiliazione e alla disperazione, di tanti altri, con l'effimero candore delle cifre e la presunta oggettività delle analisi scientifiche.

E tanto meno vale, per i credentimascherare l'indifferenza o il rifiuto della misericordia e della compassione, con la consueta e altrettanto spesso ipocrita difesa dei valoretici, o addirittura con la difesa delle verità religiose.

È senz'altro paradossale, infatti, e senza scappatoie, il fatto che, per esempio, nelle Scritture cristiane, l'unica volta in cui si associa il termine "perfezione" a Dio, invitando quelli che si dichiarano credenti ad essere come Lui, è quando si dice che Dio è colui che "fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi", "sui giusti e sugli ingiusti".

 

Forse mai, come nei momenti tragici e angosciosi della storia del pianeta, come quello in cui ci troviamo oggi, potremmo essere in grado di com-prendere verità pregne di futuro, come queste.

Siamo davvero così incapaci di compassione? Siamo talmente assuefatti al cinismo dei giochi del “sei fuori! o a quei “war games”, in cui tutto si risolve eliminando fisicamente, moralmente, e facilmente, l’altro? 

Siamo diventati davvero così ingenui?

Foto di Ria Sopala da Pixabay 



1 réactions


  • Marina Serafini Marina Serafini (---.---.---.247) 2 maggio 2021 08:02

    Io non credo che davvero sia possibile snaturare a tal punto l’essere umano da deprivarne un talento così intimo. La compassione ci appartiene strutturalmente, ci fa uno tra gli altri, e ci consente di evolvere, anche banalmente e semplicemente, di sopravvivere. Possiamo affinarla, come per ogni talento, o ignorarla; può accadere che lasciamo che la cultura dominante riesca ad anestetizzarla, delegandola nel sottofondo, ma poi riemerge, e riemergerà sempre. Siamo humani, fatti di humus, e la terra è vita. Bello questo scorcio, in cui proprio il satanasso rifiuta la concessione al sentimento empatico: i greci lo definivano diavolo, per indicare qualcosa che si mette di traverso e ostacola (diá ballo), esattamente qualcosa che quindi intralcia il nostro essere naturalmente umani. È sempre un piacere leggerla. Marina


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