venerdì 22 maggio 2015 - Giuseppe Aragno

La prossima volta ti dirò che facevano i Gap

Cara amica,

il tuo messaggio affettuoso suona per me come un meritato rimprovero. Mi faccio sentire  poco e lo so. Anch’io ti penso spesso, però, e spero che le cose non ti vadano troppo male. Non dico bene, perché di questi tempi non è assolutamente possibile; tutto quanto si può fare è difendersi, provando a farsi scivolare addosso il disastro che travolge il Paese. Io mi chiudo a riccio, mi isolo, scribacchio, rifletto e ricomincio a lavorare per i miei due libri, il che significa che, di fatto, non ne sto scrivendo nessuno e questo non mi piace. Per le Quattro Giornate potrei certamente considerare chiusa la ricerca e so anche che ne verrebbe fuori un ottimo lavoro. Il fatto è che il mondo attorno a me somiglia sempre più a un deserto ingombro di macerie e spazzatura e la mia attenzione a volte è assorbita da una riflessione rabbiosa sul come uscire da questo pantano, spesso è presa da una sensazione di doloroso stupore. Non avrei mai immaginato di dover vivere gli ultimi anni della mia vita in un tempo così oscuro e feroce.
Quando la solitudine mi pesa troppo, evado, cerco i compagni, ma puntualmente ne esco avvilito e, se possibile, più inquieto: ognuno coltiva il suo orticello e nessuno sente il bisogno di unire gli sforzi per saldare le lotte. Ieri, a Piazza del Plebiscito, c’era una manifestazione per la sorte tragica della scuola, ma eravamo pochissimi. In città c’era un riunione di antimilitaristi che vogliono far guerra alla guerra (per carità, chi gli dà torto?), c’era la solita congrega di quelli che saprebbero risolvere i problemi della Grecia meglio di Tsipras – e magari hanno pure ragione – c’erano gli occupanti dei vari centri sociali, ognuno attivo nella propria fortezza – chi lotta per l’acqua, chi per la Palestina, chi per Bagnoli e mille altri ancora – ma la scuola moriva sola, ammazzata senza trovare un aiuto nemmeno a volerlo pagare. E’ come se un Gap alla rovescia si muova indisturbato nel Paese. No, noi non conosciamo l’indifferenza che Gramsci odiava, però ci appassioniamo a un problema per volta…

Non avendo con chi prendermela, ho attaccato briga con alcuni agenti della Digos e solo per miracolo non ho finito la serata in Questura. Data l’età, sarebbe stata la prova provata che sono un deficiente; devo dire, però, che alla fine un round l’ho vinto: almeno due agenti della polizia politica sono tornati a casa con qualche dubbio sulla legalità che credono di difendere, mentre uccidono la giustizia sociale, e con la coscienza un po’ meno serena. Certo, quando gli ho detto che la gente li odia ho temuto il peggio, ma forse lo sanno e non gliene importa. Sta di fatto che non hanno replicato nemmeno quando gli ho detto chiaro che si sono messi dalla parte sbagliata, perché, invece di difendere saltimbanchi pericolosi come Renzi, dovrebbero dare la caccia a chi ha rubato il futuro ai loro figli. Mi ha confortato molto, alla fine, una frase sibilata in un soffio, da uno dei quattro: “Prof., ma perché siete così pochi?”.
L’ha capito pure la Digos che dovremmo stare tutti in piazza attorno alla scuola, non lo capiscono i compagni, che magari fanno anche a botte coi celerini, ma solo quando la cosa gli pare veramente molto rivoluzionaria…

Basta, che mi arrabbio troppo.

Mia moglie per fortuna è tornata a una vita normale e la schiena va molto meglio. Il cane fa i conti con il tumore e con gli effetti delle cure, ma in realtà non se ne rende conto, vive una vita tutto sommato felice e riesce a dare ancora molto al suo vecchio padrone, senza chiedere altro che un po’ di affetto. Con la nostra genetica arroganza, noi pensiamo, sprezzanti, che una vita amara sia una vita da cani, ma i cani ci sono di gran lunga superiori per lealtà e onestà nei comportamenti. I cani fanno una vita migliore della nostra. La mia Alice non ha consapevolezza del tempo che passa, della vecchiaia e della morte che giunge. Finché sarà in questa condizione, non ci saranno ragioni per aiutarla ad andarsene.

Mi spiace per ciò che mi dici sulle tue linee telefoniche. Proviamo a crederci: nella barbarie che ormai ci assedia, qualcuno dei gestori a cui ti sei affidata troverà modo di riattivare il servizio. Magari ci riuscirà da un call center hawayano un libico sfruttato che lavora per telecom…
Mi dici che hanno preso un “terrorista”. Ti dico di non sperare che sia uno di quelli veri… i ministri sono tutti a piede libero e organizzano indisturbati nuovi massacri libici.

E’ tardi e sono stanco. Prometto: la prossima volta manterrò la promessa e ti dirò cos’erano e che facevano i Gap. Intanto, animo, amica mia. Passerà anche questo e prima, però, passeremo noi. Forse non è un male.
Un abbraccio e la promessa di farmi vivo.
A presto.

 



1 réactions


  • Persio Flacco (---.---.---.116) 22 maggio 2015 23:35

    Non si scoraggi professore. Di questi tempi conviene essere flessibili, conviene piegarsi al vento che soffia per poter tornare dritti quando sarà calato.


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