mercoledì 23 ottobre 2019 - Osservatorio Globalizzazione

La politica del calcio

Oggi Giorgio Pirré ci parla del gioco del calcio, come nessuno mai aveva fatto prima, entrando in profondità tra il gioco del calcio e la politica. Buona lettura!

di 

Prefazione

Alla fine degli anni ’80 mi fu commissionata una ricerca sul processo decisionale nazionale che avrebbe portato alla costruzione e ristrutturazione degli stadi per i Mondiali di Calcio svoltisi in Italia nel 1990. Le Conclusioni di quel Rapporto (1990) furono pubblicate [Pirré 1992] insieme ad un supplemento di indagine sull’iter politico, parlamentare e di spesa relativo alla costruzione delle infrastrutture ritenute necessarie, anche se spesso poco pertinenti: era il Sistema che sarebbe emerso nell’inchiesta Mani Pulite. Il testo che segue, inedito, è quella parte di riflessione che dedicai al Calcio come gioco per adulti, fonte di guadagni per imprese private e di consenso per il sistema politico. I concetti chiave sono: 1) Gioco degli adulti; 2) Rituali propiziatori della caccia e della fertilità; 3) Regole del Gioco e Culture Politiche; 4) Lotta di Classe.

Manovra Perfettamente Riuscita

A conclusione di questa nostra ricerca rimane l’impressione di aver mancato la risposta ad uno degli interrogativi più stimolanti: come sia possibile che Sistemi Politici in rappresentanza di milioni di persone si mobilitino e dedichino tempo e risorse ad avvenimenti apparentemente così privi di importanza. In fondo “sono solo 22 uomini in mutande, ed inseguono una palla….”.

Per Norbert Elias [1986] lo sport era stata una delle più importanti invenzioni dell’umanità. Notava che le Olimpiadi greche avevano evitato per secoli la pratica effettiva della guerra, spostandola dalla realtà al piano simbolico. In tempi più vicini a noi un importante militare ha invertito i termini dell’equivalenza: “Visibilmente soddisfatto, l’Orso [il generale statunitense Schwarzkopf che ha diretto le operazioni belliche della Guerra del Golfo del 1990-91, n.d.r.] … ha rivelato la fonte di ispirazione della tattica seguita dalla coalizione per perseguire la cacciata degli iracheni dal Kuwait: è una tattica del football americano, detta dell’Avemaria. La si impiega a fine partita, quando si tenta di segnare una meta nel minor tempo possibile. Scattata l’azione, tutti i ricevitori della squadra, invece di muoversi in direzioni diverse, si mettono a correre lungo la stessa fascia del campo di gioco. A questo punto al giocatore incaricato di lanciare la palla non resta che chiudere gli occhi, dire un’Ave Maria e lanciare la palla in quella zona. L’idea è che almeno uno dei tre ricevitori riesca ad acciuffare la palla ovale e a fare meta. Così le colonne americane, britanniche e francesi hanno corso più presto che potevano ai margini occidentali del campo di battaglia, lasciando alla loro destra il Kuwait, per raggiungere la zona di Bassora, l’Eufrate e la strada che porta a Bagdad. Manovra perfettamente riuscita….” [Repubblica la, 1991].

Il football americano, quindi, come ispiratore di strategie militari? E’ più verosimile che il generale abbia utilizzato una metafora tratta dallo sport più popolare della sua nazione, sicuro che in tal modo la comunicazione sarebbe stata efficace. Due livelli, gioco e realtà, interscambiabili e sovrapponibili per far comprendere il senso delle scelte e di quanto avvenuto.

Potrebbe apparire eccentrico l’accostamento tra strategia militare e football. E allora cosa dire delle affermazioni di un esperto statunitense di pubblica amministrazione sul significato positivo del rigore critico: ”… non c’è luogo in cui l’analisi degli errori sia stata usata più che nel football professionale e universitario. Qui il pessimismo manageriale e i sistemi di correzione sono stati istituzionalizzati con maggior successo che in qualunque altra sede, salvo la comunità scientifica… Le decisioni … sono soggette a continuo sbarramento della critica… E’ il principio cardine della filosofia della scienza…” [Landau, 1991; pag.94 e Nota].

Il Gioco Adulto

La battuta del Generale e le affermazioni dello studioso ci inducono ad interrogarci sul significato che il gioco ha per gli adulti: “Il significato del gioco adulto (rispetto a quello infantile) è la preponderanza della regola. Ma la regola è l’equivalente del segnale infantile questo è un gioco: essa separa il gioco dalla realtà, costituisce la cornice che circoscrive il mondo ludico fittizio, ma perciò lo mantiene in rapporto con la realtà. Che cos’è del resto la regola se non l’essenza pura della realtà sociale? Se dunque il gioco si separa da questa realtà è perché ne rappresenta l’utopia…. Il gioco offre dunque all’adulto lo specchio in cui si deve necessariamente guardare per ritrovare il sé illusorio su cui si fonda il sé reale. E’ l’immagine di un ordine di movimenti, di azioni, di leggi che si può comprendere, nel duplice senso di inglobare e di capire – e perciò dominare…. La finzione, presupposto di ogni gioco, diventa duplice nello spettacolo: gli spettatori si identificano nei giocatori … e i giocatori negli spettatori. I giocatori imitano una società che si specchia nel loro gioco. Senza questo doppio riflesso, non sarebbe possibile chiudere, mettere in cornice lo spazio del gioco spettacolare, creare l’illusione (in-lusio = entrata in gioco) che la fa esistere. …Così, in tutte le sue forme, il gioco è questo gioco di va e vieni tra l’oggetto ed il soggetto, tra il sé e l’altro, tra la scena e la platea, che circoscrive il mondo ristretto della finzione solo perché vi si ritrovi l’immagine della realtà, senza cui è follia.” [Valeri 1979; pagg. 821\822].

Come in altri settori, negli spettacoli sportivi si è inserita potentemente una logica di mercato e di utilità economica. La fruizione sportiva si caratterizza per essere consumata soprattutto attraverso lo spettacolo televisivo che diventa fonte di guadagni per le inserzioni pubblicitarie [anche per l’acquisto della singola partita o per l’abbonamento ad una rete, n.d.a.]. La presenza allo stadio è ancora ritenuta importante ma la telediffusione (specie per i Mondiali) rappresenta la maggior parte dell’avvenimento: in termini organizzativi, economici, temporali. Il consumo del fatto sportivo, come il consumo di altri beni superfluifa partecipare al rito collettivo soddisfacendo un bisogno reale; nel nostro caso, un rito collettivo che viene consumato in privato, seduti sul divano. La circostanza è stata ampiamente sperimentata anche qui in Italia a proposito della costruzione del Centro di produzione Rai a Grotta Rossa: la RAI era in forte ritardo con i lavori e la FIFA avrebbe fatto svolgere i Mondiali in un’altra nazione se la struttura fosse rimasta incompleta.

Colpisce la persistenza del successo di pubblico tramite la fruizione televisiva, tanto diversa dalla fruizione sugli spalti di uno stadio e dalla stessa attività agonistica. Evidentemente perché il potenziale simbolico espresso è molto forte e ben radicato nel nostro immaginario collettivo.

Rituali e Lotta Politica

Il calcio moderno si afferma in Inghilterra a partire dalla fine del XIX secolo in strettissima connessione con il crescere ed il consolidarsi di una classe operaia urbanizzata legata alla ripetitiva produzione industriale. Il calcio venne anche visto come uno strumento di affermazione sociale per le classi meno abbienti; surrogato di altre, precluse, mobilità sociali ed economiche. Inizialmente il successo del gioco causò l’avversione delle prime organizzazioni politiche della classe operaia inglese che lo consideravano un surrogato deviante della lotta di classe [Morris, 1982, pagg.24 e segg.].

Secondo Morris [1982] il gioco del calcio e lo scenario di contorno ripetono rituali tribali di caccia; l’autore accompagna l’interpretazione con una analitica disamina di tutti gli elementi ed i ruoli giocati: il territorio, i tabù, le punizioni, le celebrazioni, gli stregoni, ecc.. L’interpretazione accredita la tesi della persistenza odierna in forme sue proprie di riti e miti antichissimi. Non diversamente da quanto fa uno storico italiano [Ginzburg 1989] che, procedendo tramite isomorfismi a partire dai riti e miti sabbatici, individua una matrice culturale comune all’intero continente euroasiatico. Il rituale mitico originario, da cui originerebbero innumerevoli riti e miti, sarebbe da individuare nelle cerimonie tribali propiziatorie della caccia e in genere della fertilità; da essi il gioco del calcio deriverebbe e ne costituirebbe una delle moderne e più fortunate varianti.

A questo punto possiamo ipotizzare una ragionevole tesi del suo successo.

Esiste una modalità umana competitiva ed antagonista di procurarsi risorse: questa modalità viene agita nella realtà oppure giocata. Nello specifico, alla fine del XIX secolo si sono riorganizzate forme culturali che fanno riferimento ad antiche modalità di produzione e procacciamento di risorse; questa riorganizzazione ha interessato sia modalità politiche che modalità ludiche; le forme politiche ne sarebbero la modalità agita, il calcio ne sarebbe la modalità giocata. La specifica condizione che ha favorito tutto ciò nell’Occidente industrializzato sarebbe la crescita numerica e lo strutturarsi sociale di una classe urbanizzata (il proletariato) che, espropriata di qualsiasi potere decisionale in tema di strumenti, ritmi, modalità, qualità della produzione e procacciamento di risorse ne ha decretato il successo, perché adatto a compensare l’alienazione. La successiva diffusione in aree geografiche diversissime per storia, economia, stratificazione sociale accrediterebbe la tesi di Ginzburg: un rituale dalle antiche origini, comune a molte popolazioni.

L’analisi delle forme organizzative del gioco può aiutare alla comprensione delle forme organizzative sociali e politiche perché di queste ne sarebbe un equivalente simbolico. L’omologia delle cause che hanno dato origine al gioco del calcio ed alle organizzazioni politiche di ispirazione socialista permette a Markovits [1988] di sostenere che le ragioni che impediscono la formazione di un grande partito dei lavoratori negli Stati Uniti [Sombart 1975] sono anche alla radice della mancata diffusione del Soccer: il precoce e diffusissimo processo di imborghesimento, l’ambiguo rifiuto delle tradizioni europee, la diffidenza per il collettivismo, l’accentuato individualismo.

Il Sostituto

Possiamo capire allora che avevano qualche fondamento i timori dei primi laburisti inglesi che paventavano che il nuovo gioco avrebbe distolto energie ed attenzioni dal ben più importante impegno politico: la contrapposizione da loro effettuata (calcio versus impegno politico socialista) effettuava un’operazione logica di sostituibilità. Non diversamente da quanto ha avuto modo di osservare un attento studioso dei segni [Eco, 1969; pag. 240]: “Tale chiacchiera [sportiva n.d.r.] è dunque apparentemente la parodia del discorso politico; ma poiché in questa parodia si stemperano e si disciplinano tutte le forze che il cittadino aveva a disposizione per il discorso politico, tale chiacchiera è l’Ersatz (“sostituto” in tedesco, n.d.r.) del discorso politico, e lo è a tal punto che diventa essa stessa il discorso politico. Dopo, non vi è più spazio. E poiché chi chiacchiera lo sport, se non facesse almeno questo, avvertirebbe di avere delle possibilità di giudizio, dell’aggressività verbale, della competività politica da impiegare in qualche modo, la chiacchiera sportiva lo convince che queste energie sono spese e finalizzate a qualcosa. Il dubbio calmato, lo sport riempie il suo ruolo di falsa coscienza.”

Altre ricerche condotte sul campo (e sui campi da gioco) tendono a sottolineare l’impossibilità di attribuire al tifo calcistico una connotazione di classe o di ceto [Dal Lago, 1990] [Dal Lago A, Moscati R., 1992]; e, per la genericità delle regole, il calcio sarebbe essenzialmente un “gioco interpretabile” [Dal Lago, 1991]. Verrebbe confermata, in tal modo, l’ipotesi di una forma rituale totipotenteun universo parallelo a quello della produzione materiale al cui interno trovano spazio e legittimazione una varietà di ruoli, personaggi, identità. Non stupisce di ritrovare nella nostra ricostruzione rappresentanti di corposi interessi privati nazionali ed internazionali capaci di imporre le loro regole del gioco alla società nel suo complesso (sistema politico compreso) per il grande spettacolo, metafora gradita quanto pacificatrice.

Postfazione.

Dalla ricerca era emerso un sistema politico privo di un Centro legittimato. Sembrava che le decisioni potessero prendersi solo sotto la spinta di eventi eccezionali che imponevano la loro agenda (i Mondiali di Calcio) o dotati di particolare forza di pressione (gli interessi legati ad ingenti investimenti infrastrutturali). Una forte frammentazione, anche localistica. Era emerso un altro dato interessante: nella strutturazione sociale italiana si era gradatamente formato un ceto dalle varie caratteristiche dedito al mantenimento della pratica e dello spettacolo sportivi; parte integrante dei sistemi politici locali e nazionali ed in buoni rapporti con l’imprenditoria edile specializzata. Nel Rapporto del 1990 e nel testo del 1992 ho evidenziato la diversità dei caratteri più significativi. Voglio ricordare l’importanza di Luca Cordero di Mentezomolo ed il suo ruolo di “Manager Realizzatore” che nei suoi interventi criticava le amministrazioni locali e nazionali contrapponendogli l’efficienza dei privati. Era paradossale che un rappresentante di interessi particolari si lamentasse del “Pubblico” al quale contemporaneamente chiedeva un cospicuo contributo finanziario ed organizzativo. Nella campagna elettorale del 1994 Silvio Berlusconi usò lo stesso immaginario e vinse le elezioni con un partito chiamato Forza Italia.

 

BIBLIOGRAFIA

Dal Lago A., 1990: Ermeneutica del calcio, Rassegna italiana di sociologia, 3
Dal Lago A., 1991: Il calcio, rituali di violenza, La Rivista dei Libri, Ottobre 1991.
Dal Lago A., Moscati R., 1992: Regalateci un sogno: miti e realtà del tifo calcistico in Italia, Milano: Bompiani
Eco U., 1969: La chiacchiera sportiva, in Il costume di casa, Milano: Bompiani.
Elias N., 1986: (with Eric Dunning) Quest for Excitement. Sport and Leisure in the Civilizing Process, Oxford: Blackwell
Ginzburg C., 1989: Storia notturna. Una decifrazione del sabba, Torino: Einaudi
Landau M., 1991: L’analisi degli errori e l’arroganza dell’ottimismo, in Rivista Trimestrale di Scienza dell’Amministrazione, n. 3.
Markovits A. S., 1988: Perché negli Stati Uniti non c’è ancora il calcio? Micromega n.3
Morris D., 1982: La tribù del calcio, Milano: Mondadori
Pirré G., 1992: Gli stadi di Italia ’90, Amministrare n.1
Repubblica la, 1991: La Grande Battaglia dell’Eufrate, 28 Febbraio, pag. 4.
Sombart W., 1975: Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo? Milano: Etas
Valeri V., 1979: “Gioco”, Enciclopedia Einaudi, Vol.6, Torino: Einaudi.




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