martedì 22 aprile - Phastidio

La meccanica della pressione fiscale, spiegata benissimo

Nel 2024, i salari hanno avuto una dinamica migliore di quella dei profitti. Quando ciò si verifica, a parità di ogni altra condizione, la pressione fiscale aumenta. Ma i dipendenti perdono comunque.

Su lavoce.infoeccellente spiegazione di Massimo Bordignon e Leonzio Rizzo sul tema che da qualche giorno sta “appassionando” il paese e regalando al dibattito politico linfa per nuove str…anezze. Accade che la pressione fiscale in Italia nel 2024 sia aumentata, quindi cerchiamo causa e interpretazioni.

Ha iniziato Giorgia Meloni, dall’alto delle sue indiscutibili competenze economiche, affermando che l’aumento di pressione fiscale è da ricondurre al fatto che “c’è più gente che lavora”. La spiegazione è singolare, soprattutto provenendo da colei che ha lanciato il celeberrimo slogan “più assumi, meno tasse paghi“. L’interpretazione di Bordignon e Rizzo è più deprimente. Ma andiamo con ordine.

La pressione fiscale è il rapporto tra entrate e Pil. Le prime sono aumentate nel 2024 del 5,7 per cento, a fronte di una crescita nominale del Pil del 2,9 per cento. Di conseguenza, il rapporto è passato da 41,4 a 42,6 per cento. Tre decimi di punto percentuale più del Programma strutturale di bilancio presentato dal governo lo scorso ottobre. In soldoni, nel 2024 lo Stato ha incassato 26 miliardi più di quello che avrebbe incassato se la pressione fiscale fosse rimasta al valore dell’anno precedente.

Di questo incremento nominale di entrate, sette miliardi sono riconducibili al ripristino delle accise, col termine delle agevolazioni relative alla crisi energetica. E il resto? Intanto, è vero che l’occupazione nel 2024 è andata bene, con un incremento dei lavoratori in termini di ULA (unità di lavoro dipendente equivalenti a tempo pieno) del 2,3 per cento e un aumento dei redditi di lavoro dipendente del 5,2 per cento.

Lavoro e profitti nel Pil e nel fisco

A questo punto, ci si potrebbe chiedere perché il rapporto entrate-Pil aumenti, visto che i redditi sono parte del Pil, cioè del denominatore della pressione fiscale, e sono aumentati in modo così robusto. Questa è la spiegazione, che ha due determinanti:

La prima è che i redditi da lavoro dipendente sono tassati molto più degli altri redditi. Da Istat, fatto 100 il totale delle entrate fiscali, che includono sia le imposte che i contributi, 49 sono risorse che provengono dai salari, 17 dai profitti (in cui sono inclusi i redditi dei lavoratori autonomi e i loro contributi), 33 arrivano invece dalle imposte indirette. Questi numeri devono essere confrontati con la quota di ciascuna componente sul Pil. Benché contribuiscano quasi al 50 per cento delle entrate, i salari costituiscono solo il 38 per cento del Pil, contro il 50 per cento dei profitti e il 12 per cento delle imposte indirette.

Meccanicamente significa che, quando crescono i salari, cresce anche il Pil ma le entrate crescono ancora di più, producendo un inasprimento della pressione fiscale. Accade invece l’opposto quando sono i profitti a crescere, che nel Pil contano di più, ma pagano percentualmente molto meno imposte e contributi. Questo in parte spiega quanto successo in Italia nel 2024. In quell’anno, i profitti hanno subito una battuta d’arresto (si sono in realtà lievemente ridotti, -0,013 per cento), dopo la forte crescita degli anni precedenti, mentre i salari sono cresciuti, sia perché sono aumentati gli occupati, sia perché è aumentato il loro salario medio.

Regola del pollice e dito medio ai dipendenti

Mi pare una spiegazione estremamente efficace. C’è un effetto composizione, in sostanza, che si può ricondurre per semplicità a questa regola del pollice, ovviamente a parità di ogni altra condizione, il celeberrimo ceteris paribus:

Quando i profitti crescono più dei salari, la pressione fiscale si riduce.

Relazione tra pressione fiscale e differenziale salari-profitti

La seconda motivazione è da ricondurre al tipo di prelievo. I lavoratori dipendenti sono sottoposti a contribuzione, che è proporzionale, e all’Irpef, che è progressiva. I redditi da lavoro dipendente e assimilati costituiscono l’85 per cento della base imponibile Irpef. Gli altri redditi sono sottratti a tale base imponibile e assoggettati a regimi di imposte sostitutive proporzionali. Dalle cedolari secche alla flat tax degli autonomi. Quindi, queste tipologie di redditi sfuggono alla progressività e al fiscal drag.

Quello stesso fiscal drag che ha operato in conseguenza dei rinnovi contrattuali dell’anno, spingendo i redditi nominali al rialzo e il prelievo tributario al rialzo più che proporzionale, cioè all’innalzamento dell’aliquota media. Gli autori segnalano poi le beffa del 2022 e 2023, anni di forte pressione inflattiva, che imprese e autonomi hanno potuto scaricare a valle, sui consumatori, in modo tale da aumentare i propri profitti.

Kulaki tosati o massacrati

E così, mentre in quel biennio i profitti crescevano più dei redditi di lavoro, la pressione fiscale diminuiva meccanicamente ma i lavoratori dipendenti vedevano un forte taglio del loro potere d’acquisto. Nel 2024, in conseguenza dei tanti rinnovi contrattuali e della stazionarietà della quota dei profitti sul Pil, i dipendenti hanno visto un recupero del potere d’acquisto (e dell’incidenza delle loro retribuzioni sul Pil), che tuttavia è stato drenato dalla struttura tributaria progressiva.

Detto in altri termini, se non siete autonomi e non potete contare su una imposizione proporzionale, e se siete schiavi del sostituto d’imposta (i.e. non potete evadere), siete destinati a perdere. Solo una sterilizzazione del fiscal drag mediante indicizzazione degli scaglioni d’imposta e delle detrazioni e deduzioni, potrebbe almeno cristallizzare la situazione ed evitare questo prelievo sistematico ai danni dei dipendenti. Soprattutto di quelli che non possono contare su occasionali decontribuzioni. Costoro si chiamano, come da mio copyright di oltre un lustro addietro, Kulaki.

Ci sarebbe da augurarsi che il/la/id presidente del consiglio abbia modo di leggere l’eccellente contributo di Bordignon e Rizzo e, in caso, di farselo spiegare. Un contributo che ha anche i disegnini, peraltro. Ma non vorrei peccare di ottimismo: visti i tempi, non mi pare proprio il caso.

Foto di Steve Buissinne da Pixabay



1 réactions


  • Paride parmondombe (---.---.---.41) 22 aprile 18:32

    Non vogliamo i Bitcoin dateci gli uswuc (united states of the world unit of currency)


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