martedì 2 novembre 2010 - clemente sparaco

La guerra della monnezza: una città, la sua regione e i rifiuti

Nel considerare il problema dell'emergenza rifiuti dobbiamo tenere presenti alcuni dati che certamente non sono un elemento folkloristico.

I rifiuti producono non solo maleodore e danni ambientali, a volte, irreparabili, ma anche morte. L'incidenza di tumori o di malattie dell'apparato respiratorio, comunque, connesse all'inquinamento delle falde acquifere, della terra e dell'aria cresce in modo esponenziale nell'hinterland napoletano, mietendo vittime fra contadini e operai, fra bambini e vecchi in modo del tutto indifferenziato. E questo, come riportato da statistiche sanitarie, è un dato oggettivo.

Il nuovo sussulto dell'emergenza rifiuti mette, quindi, in evidenza una rivolta delle province campane contro il capoluogo e dei comuni della stessa provincia napoletana contro il capoluogo. Napoli vive sommersa dai milioni di tonnellate di rifiuti indifferenziati che non riesce a sversare nelle discariche della regione. Le province e i comuni della regione vivono il rischio di un'ulteriore contaminazione delle acque, delle terre, dell'aria, per i milioni di rifiuti propri e del capoluogo che affluiscono nelle discariche, poste nel cuore di aree a forte vocazione agroalimentare. In queste terre si producono, infatti, gli elementi base di quella cucina napoletana che è famosa nel mondo. Gli ingredienti fondamentali della pizza, il pomodoro, la mozzarella, il grano, l'olio, vengono da lì: la mozzarella dalla zona di Aversa, il pomodoro dall'agro nocerino-sarnese, l'olio dalle colline dell'interno.

Da anni, invece, materiale nocivo e tossico viene mischiato ai rifiuti che la demenza dei governanti e l'irresponsabilità totale dei governati non hanno saputo differenziare, recuperare, contenere. In questo c'è una sorta di tacito accordo fra governanti e governati. La politica non educa; al contrario, asseconda. Quanto alle dinamiche di mercato, esse incoraggiano il consumo e lo spreco. Si desiderano beni diversi e sempre nuovi, al di là dell’effettivo bisogno. Si consuma per consumare, senza ritegno e, in fin dei conti, senza intelligenza. Ad esempio, l’APAT (Agenzia di Protezione Ambiente e Territorio) ha stimato che nel 2006 gli imballaggi hanno rappresentato circa il 25-30% dei rifiuti urbani (RU). Nonostante questo, si continua ad imballare, ad incartare e a produrre materiali di plastica che hanno un tempo di biodegradabilità di centinaia di anni. Quello stesso materiale disseminiamo nelle campagne, sui prati, dappertutto, mentre sarebbe agevole separarlo dal resto dei rifiuti urbani. Eliminando carta, plastica e vetro dalla quota di rifiuti indifferenziati, elimineremmo oltre il 50% dei rifiuti conferiti!

Oggi, invece, la città si mangia, di fatto, la sua periferia, quelle terre, quei casali, da cui da sempre ha attinto le risorse per la propria alimentazione, terre fra le più fertili e produttive del mondo. Preciso che quando dico città non intendo il solo comune, dal momento che Napoli è oggi una metropoli diffusa che ingloba altri comuni e su cui insistono altre aree urbane (ad esempio Caserta, Aversa etc.); complessivamente circa 4 milioni di abitanti. Ma conferire alla campagna i rifiuti, che non vogliamo sotto casa nostra, non è né giusto e né saggio.

Non è giusto perché i danni connessi alle esalazioni e all'inquinamento di acque e alimenti colpiscono innocenti e mietono vittime. Non è saggio, perché anche noi indirettamente siamo colpiti dall'inquinamento prodotto. Quanto abbiamo buttato dalla finestra ci ritorna dalla tavola nel cibo che mangiamo.

A fronte di tutto questo appare allora urgente una nuova assunzione di responsabilità. Essa deve accompagnarsi, se vogliamo trarre un insegnamento anche da una vicenda certamente sgradevole come questa, ad una sobrietà rispetto al territorio e rispetto a noi stessi, perché la Campania felix non si trasformi in un'enorme discarica a cielo aperto. 




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