sabato 25 maggio 2013 - Dario Sabaghi

La grande bellezza: una recensione un po’ così

Avendo visto ieri il nuovo film di Paolo Sorrentino "La grande bellezza" non posso esimermi (ma forse sarebbe consigliabile?) da qualche riflessione sul tema della bellezza.
 
Ci sono modi diversi per gustarsi un film, tutti soggettivi o comunque secondo parametri che ci imponiamo o nel peggiore dei casi, che ci impongono; questo film, a dire il vero, me lo sono dovuto gustare a più livelli, quasi a togliermi il gusto di vedere un film in santa pace, senza pensarci troppo, serenamente. Il mio approccio è stato invece molto più dinamico, nel senso che ho dovuto livellare la percezione di immagini e suoni, mescolate tra loro, per impedire la formazione del nucleo centrale e primeggiante del film (qualora ci fosse) nella mia testa, che cerca inevitabilmente, abituata com'è, sintesi, sintesi, sintesi e facilità.
 
La storia centrale è ovviamente quella che gira intorno alla vita quotidiana di Jep Gambardella, un giornalista molto affermato e con la passione per la movida romana. Un'egregia fotografia ha regalato quella Roma dannunziana che costituisce sicuramente una novità negli ultimi anni del cinema italiano; la bellezza romana e dannunziana così diafana e lunare, sempre in penombra e marmorea, quasi immacolata, appunto truccata e imbellettata dalla natura e dalle danze di luci e ombre.
 
Dannunziano poi è anche la figura del giornalista che sembra ricalcare con una matita sbiadita e consunta il poeta e l'uomo D'Annunzio, e con lui l'atmosfera di quei salotti primo-novecenteschi, impregnati di cultura radical chic un po' troppo ricercata che vissuta, ma non per questo senza oscurare la bellezza delle cose, degli oggetti e dei corpi, delle parole e dei gesti, che non smette mai di modellarsi nei tempi e nella società.
Jep Gambardella è un giornalista che vuole essere D'Annunzio ma non lo è proprio perché gli manca quell'eroismo, si direbbe quell'eroica intempestività, quella fame di vita, quella situazione che gli potrebbe permettere di enfatizzare ed empatizzare quei canoni estetici, sociali e culturali lirici e tragici: ed è qui che la società in cui egli vive e della quale si circonda rappresenta un ostacolo, insormontabile proprio perché inadatto all'ambiente proprio dell'arte e dell'estetica che fu, che sempre è ma che rimane lì, sempre alla ricerca di forme di continuità, oggi disperata nella sua ricerca.
 
Jep di questo ne è cosciente, ma non può fare a meno di prendere atto di ciò e continuare a fomentarla, perché senza quel mondo così estatico e selvaggio nella sua bellezza debosciata e allettante, dove altro ricercare quel senso di piacere? nell'arte? Nelle persone? Forse, ma sia l'arte che le persone non sembrano arrivare a sublimare quelle sensazioni goderecce ed egocentriche che solo il mondano sembra per ora regalargli, e relegargli.
 
È questa la bellezza? Anche. Ma il percorso di questa bellezza mondana e profana sfuma man mano che la storia si coagula; lo sfondo di Roma, con la sua potenza di immagini che accarezzano il sacro senza mai interpellarlo, è il background sul quale costruire il teatro della vita, con i suoi personaggi più disparati, superficali, astrusi, lascivi e lacché, ma comunque sempre esteticamente belli e grotteschi.
 
Le strade notturne o appena albeggianti, comunque mai quotidiane, sono momenti di riflessione e di scarpe che vivono l'atmosfera para-felliniana, senza calpestarla, ma scivolando nei meandri del "vortice della mondanità" prima, in quella selvatica, sacra e ancestrale poi, sacro e profano che hanno come comune denominatore la bellezza. Ma la bellezza, si sa, fugge via: la bellezza dell'essere giovani, la bellezza di essere belle, la bellezza di essere sante, la bellezza dell'essere sogno e fare di questo realtà, tutto insomma se ne va in silenzio o con l'incendio, non importa. Ne rimane solo il ricordo, limpido come il mare su un soffitto di una stanza in cui si è soli con se stessi, con gli occhi rivolti sulla pelle del mondo, che non vuole mai vestirsi.


6 réactions


  • (---.---.---.219) 25 maggio 2013 10:45

    Certo, la Roma di Sorrentino è almeno meglio di quella dell’ultimo, sfortunato Woody Allen, ma per il resto sarebbe bene chiuderla lì. Il grande Jep non somiglia certo al Marcello della Dolce Vita, o al grande Gatsby di Fitzgerald, ed è persino più improbabile di Di Caprio. Chi lo sa, forse è un guappo rivestito da Brioni come un dandy un po’ comico degli anni ’50;forse solo la Santa che afferma, con tono sdentato-sapienzale, che è bene mangiare per cena le radici lo supera in umorismo. O forse è l’ennesino travestimento di Giannino, che però, almeno, qualche libro lo ha letto davvero. Servillo è, come al solito, insopportabile nella sua recitazione teatrale e nei suoi ammiccamenti che sempre ci ricordano che si tratta del grande Servillo. Qualcun altro, sopratutto la Ferilli, molto convincente, fa di meglio, come Verdone, ma è tutta la storia che fa buchi nella sua infinita presunzione. La bellezza è solo Roma, la Roma barocca, fotografata bene, ma vista, vista (però ci ha risparmiato Trastevere), il cinismo e il disincanto che dovrebbero impregnare il personaggio e quel mondo improbabile sono solo parole un po’ buffe e datate, non muovono mai alla malinconia o a una riflessiva tristezza. Sono niente, altro che Bellezza e Cèline (citato all’inizio), ma nemmeno D’Annunzio. Un provinciale senza talento vede così le cose e questo è un problema suo.
    Invece della bellezzza e della poesia altisonanti perchè Sorrentino non prova con un’umile prosa?.


    • (---.---.---.68) 26 maggio 2013 11:14

      Oh finalmente qualcuno che rimette per terra "il grande Sorrentino" con tante pretese in questo film , troppe che risultano un miscuglio scomposto. Sicuramente Roma e Servillo reggono in piedi tutto il film , film sopravvalutato.


  • (---.---.---.17) 25 maggio 2013 17:51

    Ma che t’eri magnato prima pè scrive na roba del genere? Me fai quasi tenerezza, a tutti i livelli de analisi, dannunziani e non.


  • (---.---.---.78) 25 maggio 2013 21:10

    Mi sà che non hai capito molto, se lo dovessi rivedere potrebbe capitarti di capirlo.


    • (---.---.---.205) 5 marzo 2014 03:41

      te invece con un commento sciatto dove accusi semplicemente di incomprensione qualcuno che ti ha elargito in maniera chiara la sua riflessione del film passi proprio per qualcuno che ne sa e ne sa. Vai a dare lezioni di inglese a Sorrentino su


  • (---.---.---.115) 26 maggio 2013 01:39

    Probabilmente avete ragione nel dire che che non capisco molto i film, ma la riflessione-recensione era sul tema della bellezza in relazione al film, come ho già scritto nell’articolo, e non una interpretazione del film in senso olistico.


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