venerdì 31 marzo 2023 - Osservatorio Globalizzazione

La fine della GeRussia, il triplo contenimento, la storia in marcia: Santangelo legge la tempesta d’Ucraina

Con grande piacere torniamo a dialogare con il professor Salvatore Santangelo sulle conseguenze geopolitiche aperte da un anno di guerra in Ucraina. Buona lettura!

A un anno dallo scoppio della guerra, è esplosa definitivamente la contraddizione della fine della GeRussia. Come si rimodulano ora gli spazi tra i russi e i tedeschi?

Vale la pena di ricordare come, dopo il collasso dell’URSS (dove la traiettoria geopolitica era perfettamente sovrapposta all’ideologia di Stato), nel naufragio, il “Centro studi di geopolitica” della Duma cerchi un ancoraggio in una trama di lungo periodo e descriva questa dinamica coniando proprio il neologismo: GeRussia. E questo perché quello tra Germania e Russia è stato, per secoli, un rapporto strettissimo, simbiotico; ma per nulla facile, comunque in grado di sopravvivere a ben due Guerre Mondiali. Tra l’altro, va notato come per la Russia guardare alla Germania significhi puntare alla modernizzazione (che però – come ha magistralmente illustrato Jeffrey Herf – non sempre corrisponde a Modernità) mentre per la Germania, Mosca apre alla vertigine dell’Eurasia. Per quanto riguarda la fase recente – esemplificata dalla costruzione e dal raddoppio del Nord Stream – purtroppo l’integrazione tra Russia e Germania non ha avuto la capacità di andare oltre un progetto guidato per lo più dalla dimensione energetico/economica, e proprio per questo non è riuscito a superare le diffidenze della maggior parte dei Paesi dell’Europa Centro-orientale (“La Nuova Europa” di Donald Rumsfeld, in particolare della Polonia) così da esorcizzare definitivamente gli spettri del passato plasticamente evocati dalle ‘Bloodlands’ di Thimoty Snyder. Comunque, dalle resistenze all’imposizione del Price Cap, allo “Stop and Go” sulla fornitura di armi, al fatto che tra l’adesione formale alla linea della fermezza e una sua implementazione operativa, i tedeschi riescano sempre a mettere in mezzo una marea di distinguo, la dice lunga sul fatto che c’è una parte del Paese che scommette ancora sul futuro di questo rapporto (o forse è semplicemente terrorizzata da una possibile escalation).

Armi, sanzioni, decoupling energetico: alla guerra russo Ucraina si aggiunge la guerra per procura Occidentale. Possiamo trarne un primo bilancio?

Quello di ‘proxy war’ mi sembra un approccio fallace, a meno che non consideriamo tali tutte le guerre (pensiamo per esempio al sostegno persiano alla costruzione della flotta spartana durante la Guerra del Peloponneso). Al massimo sono formazioni come Hezbollah che conducono una “guerra per conto terzi”. È corretto invece ragionare in termini di interessi convergenti. Non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che questa è una guerra per la soggettività storica, la sovranità e l’integrità territoriale di Kiev nel quadro di una rinascita degli impulsi identitari: ci troviamo di fronte allo scontro tra un Impero in declino e una delle molteplici identità (dalla stabilità tremolante) emerse dall’implosione dell’Unione Sovietica; un conflitto che affonda le proprie radici nel contesto ideologico e politico del XX secolo. Poi intorno, a cerchi concentrici, si dirama l’onda d’urto della Guerra di Putin e della sua sfida alla Globalizzazione gerarchizzata. Direi che il primo bilancio si può trarre sottolineando queste dinamiche speculari: (per ora) a livello tattico gli Ucraini (supportati da USA, UE e NATO) sembrano riuscire a bloccare l’iniziativa russa, a livello macro, nel quadro dell’ambigua cornice dei BRICS e dell’emergente “Sud Globale” lo stesso sta facendo Putin contro di noi.

L’Unione Europea appare messa ai margini. Joe Biden ha vinto la sua battaglia contro l’Asse Franco-Tedesco?

Si tratta di un tema da maneggiare con delicatezza perché può alimentare una visione anti-americana (anti-britannica). La domanda giusta da porci è perché Vladimir Putin abbia messo a repentaglio 30 anni di rapporti preferenziali tra Russia e Germania (Italia) e quindi con la Ue. L’Asse Franco-Tedesco è messo sotto pressione da uno dei diretti effetti di questa guerra, il riarmo di Berlino che rischia di far saltare la ripartizione dei ruoli dei due partner: la Francia come presidio della sfera geopolitica, la Germania di quella geoeconomica. Resta il fatto che mentre Obama faceva accompagnare la riorganizzazione della globalizzazione (“Pivot to Asia”) con l’idea di due aree di libero scambio (una baricentrata sul Pacifico, l’altra sull’Atlantico, entrambe naufragate) e lo scongelamento dell’Iran, le successive Presidenze, pur riconoscendo la crisi del Mondo globale (almeno nella sua dimensione economica non più sostenibile per il ceto medio USA) hanno dimostrato meno capacità di visione e oggi Biden non solo prova a mettere a terra un triplo contenimento (Russia, Cina e Iran) ma con il nuovo pacchetto a sostegno della propria industria, in un’ottica iper-protezionista (che si somma al ‘Ban’ statunitense sui chip e allo slogan ‘Buy american’), rischia di scavare una voragine nell’Atlantico lasciando l’industria europea sfibrata dalla crisi della domanda interna, dall’impennata dei costi energetici e della transizione green: una sorta di nemesi del Piano Marshall. Comunque sono d’accordo con il professor Gabriele Natalizia (geopolitica.info) quando afferma che: “La visita di Biden a Varsavia è certamente una scelta di campo americana per il bilanciamento rispetto a Parigi e Berlino, siamo tornati a preferenza americana per la Nuova Europa rispetto alla Vecchia. Tra l’altro una Polonia ‘pesante’ significa il rallentamento di qualsiasi progetto di Difesa comune” (Biden come Bush?).

Da dove può rinascere un seme di cooperazione strategica e sviluppo europeo? Wolfgang Munchau dichiara che di fronte alle sfide di oggi l’ora sarebbe propizia per un Euro geopolitico e finanziamenti della politica industriale e della difesa comuni ma teme che la UE abbia perso il treno. Cosa ne pensi?

Munchau è un autore interessante, iconoclasta, ma molte sue previsioni di sono rivelate fallaci, in primis quella sulla caduta dell’Euro, a cui oggi invece attribuisce (giustamente dal mio punto di vista) un ruolo centrale. Il tema è che la UE è stata pensata e realizzata come una realtà post storica e post identitaria; invece, come abbiamo appena detto le identità sono tornate prepotentemente nell’alveo della storia che si è rimessa in movimento. Siamo entrati in un Mondo copernicano, ma le classi dirigenti e il mondo dell’informazione indossano ancora le lenti tolemaiche per interpretare la realtà. Ho già usato questa metafora ma la ripeto perché qualsiasi speranza per il futuro passa per il recupero della giusta capacità prospettica.

Sul fronte italiano, invece, come giudichi i governi Draghi e Meloni in un anno di guerra?

Draghi ha segnato, sul fronte internazionale, una netta cesura rispetto al terremoto geopolitico del Governo Giallo-Verde e all’ambiguità di quello Giallo-Rosso. In questo senso, quello Meloni si pone in continuità, affiancando all’ancoraggio europeista quello atlantico anche per rafforzarsi sul fronte interno. Il principale ostacolo su questo versante è che – forte dei sui rapporti – Draghi poteva operare su uno scacchiere più ampio, invece le difficoltà diplomatiche della Meloni con Francia e Germania sembrano mostrare che il campo rischia di restringersi. Ma ritengo che il Presidente del Consiglio, grazie anche al supporto della Presidenza della Repubblica saprà superare queste prime incertezza

Ci sono prospettive per rilanciare il Paese nel triangolo europeo con Francia e Germania?

È auspicabile per tutti, in primis per la solidità della costruzione europea. 

Capitolo Cina: il piano “di pace” appare un grande manifesto politico al mondo. Cosa comunica Pechino con queste mosse?

“Secondo me, l’obiettivo di Pechino è quello di mettersi al centro del negoziato per congelare il conflitto provando a occupare il centro dello scacchiere internazionale, provando a relegare gli USA a un ruolo di “parte”, uno dei diversi attori del conflitto. Una prima avvisaglia di ciò è quanto accaduto a Nuova Delhi, al Summit dei Ministri economici del G20. Una dinamica per Washington (“The West agaist the Rest”) che molti analisti (da ultimi quelli de il WSJ) ritengono nefasta come una chiara sconfitta sul campo. Mi sembra particolarmente interessante il fatto che (come evidenziato in uno dei 12 punti) Pechino sia l’alfiere dell’interdipendenza economica. Ne parlavo in “Geopandemia” (Castelvecchi, 2020): Germania e Cina come Paesi che vogliono continuare a tenere “aperto” il mondo (GeCina?)”.

 




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