giovedì 12 gennaio 2023 - Libero Gentili

La costruzione dell’immagine femminile - Quarto episodio: L’emigrazione delle donne italiane in America

La grande ondata immigratoria degli italiani negli Stati Uniti avvenne nell’arco di circa cinquant’anni, tra il 1870 e il 1920.

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Famiglia italiana in America - Confezione di fiori artificiali
fonte: Eastman Museum

Nei decenni precedenti, il numero di americani di origine italiana era molto inferiore rispetto a quello della grande ondata che iniziò, appunto, negli anni 1870 e raggiunse il picco nel periodo precedente la prima guerra mondiale.Tre generazioni di storici ci hanno detto molto su chi fossero gli italiani in questo massiccio movimento di esseri umani.

Sappiamo quante persone emigrarono, da dove emigrarono, come furono ricevute in questo paese, e conosciamo anche i vari modi in cui hanno assimilato, contribuito e resistito alla cultura americana tradizionale, e come a volte sono riusciti a creare nuove culture e sottoculture proprie.

Ma nel periodo precedente al 1870, si formò una serie di credenze e pregiudizi che in gran parte modellarono il modo in cui gli immigrati italiani venivano ricevuti dalla società americana in generale.
Le opinioni prevalenti nella prima America riguardanti l'Italia e gli italiani non erano favorevoli.
C’era molto pregiudizio contro gli immigrati, e contro gli immigrati cattolici in particolare, che ha avuto un impatto sugli italiani, insieme ad altri gruppi etnici.

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Bambini italiani emigrati in America
fonte: Eastman Museum

Un motivo importante per l'immagine negativa dell'Italia e degli italiani nella prima America aveva a che fare con la religione del Vecchio Mondo. Non fu semplicemente il cattolicesimo della maggior parte degli italiani e la presenza del papato a Roma a incoraggiare il pregiudizio anti-italiano tra i protestanti americani.
C'era una forte convinzione, negli ambienti protestanti, che gli italiani fossero ipocriti in materia di religione.
Gli immigrati italiani, per la cultura del nord America, erano gente invisibile. Non a causa della ostilità che, comunque, rappresentava un dato di fatto, la quale portava le persone a non considerarli, ma soprattutto perché gli italiani stessi si rifiutavano di essere visti.

Nel periodo precedente al 1870, si formò una serie di credenze e pregiudizi che in gran parte modellarono il modo in cui gli immigrati italiani venivano ricevuti dalla società americana in generale. Entrarono in diretto contatto con una cultura opposta alla loro, con i costumi sociali anglo-americani i quali erano centrati sull'illuminismo, che inquadrano l'ethos americano dominante.
Perché per i contadini italiani in fuga dalla miseria, dalla estrema povertà e dalla mancanza di opportunità di qualsiasi tipo, vissute in Italia, l'autonomia individuale significava morte.

Nel 1860 Giuseppe Garibaldi liberò il Mezzogiorno dai duecento anni di tirannia borbonica. Quattrocento anni di dominio spagnolo e borbonico avevano tenuto il Mezzogiorno in isolamento e povertà.
La stragrande maggioranza dei suoi abitanti, fino al novantasei per cento della popolazione in alcune aree, era costituita da contadini che vivevano in condizioni medievali di squallore e ignoranza.
L'unificazione del Regno d’Italia non riuscì a fornire ai meridionali la partecipazione al nuovo governo, o il miglioramento delle condizioni economiche o sociali.

C'era un'enorme differenza di classe tra i contadini del sud e i settentrionali istruiti della classe media. Dopo l'unificazione si sviluppò la lingua ufficiale italiana, e le lingue dei contadini meridionali furono denigrate; di conseguenza Il valore di un italiano fu immediatamente determinato dalla capacità di quella persona di parlare l’italiano standard.
Inoltre, al contadino meridionale fu fatto pagare una quota sproporzionata dell'onere fiscale imposto per sviluppare un esercito nazionale, che era voluto dal Nord.

Poiché i meridionali resistevano alle tasse che, d’altra parte, non fornivano loro i servizi essenziali, la leadership del nuovo governo li considerò persone inferiori, incapaci o riluttanti ad accettare i settentrionali come loro liberatori. Anche se si verificarono diverse ribellioni contadine durante il 1860, queste non ebbero successo.
Di conseguenza gli anni a partire dal 1870 videro l'esodo di massa del contadino italiano meridionale privato dei suoi diritti in patria.

I contadini se ne andarono per ragioni economiche e politiche; non potevano più nutrire sé stessi o i loro figli; non potevano più vivere sotto la tirannia dei loro connazionali.
Quell'area meridionale dell’Italia produsse l'ottanta per cento di tutti gli italiani che sarebbero emigrati negli Stati Uniti.

Le caratteristiche razziali dell'Italia meridionale erano chiaramente intrecciate con le ipotesi se questi immigrati fossero "bianchi" o "tra" bianchi e neri. Poiché l'immigrazione dall'Italia meridionale coincise con la grande migrazione verso nord degli afroamericani del sud, dei Caraibi africani e un po' più tardi dei portoricani e dei messicani, gli italiani appartenevano alla prima ondata di immigrati dalla pelle scura o "non bianchi".

Sebbene reclutati dai piantatori bianchi per sostituire quelli che erano considerati lavoratori afroamericani "pigri", la percezione da parte degli americani bianchi che gli immigrati italiani del sud fossero razzialmente "tra" bianchi e neri, o di fatto una terza razza, causò preoccupazione.
Gli italo americani divennero invisibili, quindi, nel momento in cui avrebbero potuto “spacciarsi” per bianchi.

Si credeva che il fatto biologico che gli italiani del sud possedessero un "ceppo nero", oltre alla loro indifferenza nei confronti dei matrimoni misti con le razze nere, potesse capovolgere l'ordine sociale e politico.
Questo status "tra nero e bianco" attribuito ai siciliani era in parte dovuto alla loro associazione con il tradizionale "lavoro nero", cioè riferito ai neri, perché molti immigrati siciliani lavoravano durante la "zuccarata", in dialetto siciliano la raccolta dello zucchero, nella Louisiana, con lo stesso sistema di lavoro agricolo e di allevamento con cui i neri avevano tradizionalmente lavorato.

A questa generale percezione degli italiani meridionali si aggiungeva il modo con cui negozianti, commercianti e venditori ambulanti italiani si impegnavano in transazioni commerciali con clienti afroamericani. Perché In Louisiana, l'attività commerciale portò i venditori di frutta italiani in contatto diretto con gli afroamericani. Quindi, il modo con cui i bianchi percepivano gli italiani come una razza, così come interpretavano la loro posizione economica e l'interazione sociale attraverso il prisma delle leggi Jim Crow, servivano a situare gli immigrati italiani a uno stesso livello con gli afroamericani, a differenza di altri immigrati europei.
Furono, quindi, discriminati dalle istituzioni politiche, sociali, economiche e religiose.
“Diventando bianchi”, gli immigrati dell’Italia meridionale hanno pagato un prezzo, e quel prezzo fu l'estinzione della loro cultura.

C'erano due codici culturali che governavano il comportamento pubblico dell'immigrato italiano. Uno di questi era “l'omertà”, il codice del silenzio, che controllava quali informazioni gli immigrati potevano discutere in pubblico e con gli estranei, e l'altro era “bella figura”, che Fred Gardaphé, uno studioso di letteratura americana, attualmente Professore di studi italiani e americani al Queens College nella università di New York, nella sua introduzione a “Italian Signs, American Streets”, definisce come “il codice della corretta presenza o del comportamento sociale, il quale regola la presenza pubblica di un individuo”.

Era molto importante, per gli immigrati italiani, che nella sfera pubblica gli uomini apparissero come protagonisti assoluti nel controllo della famiglia. Quindi, questa apparenza di patriarcato potrebbe essere un esempio di bella figura.
Questi, secondo Gardaphé, sono i segni specifici che segnalano e distinguono la presenza della letteratura italo-americana dalle altre letterature americane. 
Per i contadini italiani in fuga dalla miseria, dall'estrema povertà e dalla mancanza di qualsiasi opportunità che furono sperimentate in Italia, l'autonomia individuale significava la morte.

Prima della migrazione, l'unica speranza di sopravvivenza del contadino era stata all’interno della comunità, in particolare, quella della famiglia.


Al contrario, gli anglo-americani all'inizio del secolo adorarono la nozione di individuo, cioè la fiducia in sé stessi. Le loro icone erano il cowboy, il pioniere e self-made man.

Nel suo libro del 1974, “Blood of My Blood”, sangue del mio sangue, Richard Gambino delinea le caratteristiche della cosiddetta “via vecchia”, cioè il sistema di valori dei contadini meridionali della Grande Migrazione portato con loro in America. Afferma: “l'unico sistema a cui il contadino prestava attenzione era l’ordine della famiglia”.
La principale differenza culturale tra l’immigrato italiano del sud e il concetto che un americano aveva per la propria individualità, nasceva dalla fede inesorabile degli italiani nella famiglia come datrice di identità, ad esclusione dell'autonomia individuale.

Quindi, due visioni diametralmente opposte: Protestantesimo contro Cattolicesimo, autodeterminazione vs. destino, istruzione formale vs. istruzione attraverso valori tradizionali, fiducia nel governo democratico vs. forte sfiducia nel governo, suffragette che cercano l'empowerment nella sfera pubblica vs. donne relegate nella sfera domestica, apertura vs. segretezza, vita cittadina vs. vita rurale.
Anche le contadine immigrate e le loro figlie, quindi, erano una sorta donne di confine, cresciute tra due culture, intrappolate tra il mondo contadino immigrato e il mondo anglo.

Raymond Belliotti, filosofo contemporaneo, suggerisce che l’identità di un in individuo è sempre formata in relazione agli altri: “Il nostro contesto sociale stabilisce le strutture e gli accordi che rendono possibili i diritti individuali, fornisce alternative e ci socializza per favorire determinate alternative rispetto ad altre”. Poiché le donne italo-americane si trovavano in almeno due contesti sociali, la loro identità non era sempre coerente nel tempo.
In qualsiasi situazione formale le donne faranno di tutto per non rovinare il quadro che un marito ha dato di sé stesso, e la sua supremazia all'interno della famiglia.

Ann Cornelisen, nel suo libro “Women of the Shadow” Suggerisce che in presenza di estranei gli uomini e le donne dell'Italia meridionale agiscano in modo da far sembrare la società del tipo patriarcale:
“Cosa ha detto lui è giusto” oppure “Non chiedermelo, chiedilo a lui” sono le uniche risposte che [le donne] danno… e poi si siedono, i volti impassibili come patate, le mani incrociate in grembo.

Un’altra scrittrice, Emiliana Noether, docente del Dipartimento di Storia nell’Università del Connecticut, morta nel 2018 all'età di 101 anni, professoressa di storia italiana nata a Napoli ed emigrata da bambina negli Stati Uniti, descrive la contadina italiana del sud:
“quando abbiamo a che fare con la contadina del sud, ci troviamo di fronte a un segmento della popolazione che è veramente silenzioso, non solo perché il giudizio su cosa e chi era importante nella società era fatto da uomini, i cui valori erano maschilisti, ma anche perché essendo analfabeta, non riusciva a lasciare alcuna espressione del suo sentimento più intimo per i posteri. Analfabete e subordinate, queste donne appaiono solo come statistiche nei registri compilati dalle autorità”.

Ma In che misura le esperienze migratorie delle donne hanno fornito le condizioni in cui potevano liberarsi dai vincoli sociali preesistenti?
Come abbiamo visto, le donne migranti all'inizio del secolo si sono venute a trovare all’interno di un paradosso. Da un lato, la migrazione negli Stati Uniti prometteva l'adempimento dei sogni del "vecchio mondo" in una nuova terra o, almeno, un grado di emancipazione dalle gerarchie del vecchio mondo e, dall’altro, una maggiore autodeterminazione.
Allo stesso tempo, tuttavia, la migrazione aveva il potenziale per intensificare la subordinazione esistente, oltre a sottoporre le donne a nuove forme di controllo e dominio.

Rosa Cavalleri, che emigrò dall’Italia negli Stati Uniti nel 1884, cucinò e pulì per oltre quarant’anni per la Chicago Commons Settlement House, una organizzazione di servizi sociali, dichiarò ad un lavoratore residente: "Come posso non amare l'America… spero di fare il mio lavoro così bene così da non dover mai lasciare questo posto! ... anche se non mi pagassero non vorrei smettere di lavorare alla Commons” e nel libro di Marie Hall Ets “Rosa, vita di una emigrante italiana” le ultime parole sono “ecco cosa ho imparato in America: a non aver paura”.

La migrazione in un contesto non contadino, poteva rendere le donne libere, come “l’aria della città”, ma il paradosso di questa metafora moderna era che le donne, come gli uomini, raramente si reinsediavano in condizioni di loro scelta.
Che sia stata, o meno, una reazione al cambiamento sociale, oppure la resistenza ad esso, la migrazione di massa rappresentò una potenziale minaccia per le identità personali e di gruppo di tutte coloro che fecero il viaggio.

Le varie modalità di adattamento e collaborazione, attraverso le quali le donne migranti hanno risposto al cambiamento e hanno trasformato sé stesse e i loro ambienti, sono state modellate dalle loro posizioni in seno alle relazioni sociali nelle quali venivano a trovarsi.

La ricerca nelle scienze umane e sociali ha dimostrato che il genere – cioè le relazioni e le pratiche socialmente costruite e modellate intorno alle differenze percepite tra i sessi - è un principio organizzativo significativo della vita sociale generale, il quale modella le opportunità e le possibilità di vita delle donne come fa, d’altronde, con quelle degli uomini.
È particolarmente rilevante l'ipotesi che l'identità e il comportamento delle donne, a differenza di quelli degli uomini, siano radicati in un senso di “obbligo e di lealtà familiare”.
Il problema che ne deriva è che la cooperazione familiare è chiamata a svolgere un doppio dovere, sia per l'ingresso di una donna nella forza lavoro salariata, che per la sua figura in casa, come lavoratrice non retribuita al servizio della famiglia.

Una seconda fonte di difficoltà per il modo in cui il modello culturale di continuità ha rappresentato il ruolo delle donne nella migrazione riguarda la loro tendenza a “romanticizzare” le precedenti pratiche e le strutture preindustriali degli immigrati prima del viaggio.
L'eccessiva enfasi sull'intraprendenza e l'inventiva dei nuovi immigrati nell'adattare i propri modelli di parentela, familiari e culturali del vecchio mondo agli ambienti del nuovo mondo, poteva enfatizzare "strategie di sopravvivenza familiari", ma imponendo gravi limitazioni alla capacità delle donne migranti di "diventare persone responsabili della propria vita”.

Le donne erano spesso quelle che dovevano rinunciare alle opportunità di scolarizzazione, oppure a un lavoro significativo; spesso ritardavano i matrimoni, rinunciavano alla possibilità di un matrimonio di libera scelta o, al contrario, venivano costrette a sposarsi contro la loro volontà, quando gli obblighi di parentela lasciavano loro poche o nessuna alternativa.

Da un estratto del libro di Clementina Todesco, “Folktales in America”
“Era davvero miserabile vivere in Italia. Ma in America, quando lavoravi, guadagnavi soldi e potevi mangiare e bere quello che volevi. E c'era libertà, nessuna guerra, nessun soldato. Quindi, come ho detto, ero una specie di ribelle. Odiavo le cose brutte e brutali. Odio l'ingiustizia e il pregiudizio. Così ho detto a me stessa, quando sarò abbastanza grande per sposarmi, sposerò il primo uomo che promette di portarmi in America”.

L'emigrazione italiana è stata studiata, per qualche tempo, come la fuga sfacciata e incondizionata dalla povertà senza tempo da parte di milioni di contadini, spinti fuori dalla loro patria da forze economiche che non potevano né controllare né capire.
Più recentemente, gli studi di migrazione italiana hanno tentato di evitare tali generalizzazioni ampie, reindirizzando la loro attenzione a un focus regionale, e in molti di questi studi, alla partecipazione attiva degli emigranti (quasi sempre maschi) alla pianificazione delle proprie partenze.
Come aggregate, le donne italiane sono ancora ritratte come "donne delle ombre", in piedi ai margini della storia mondiale e dello sviluppo economico, al di fuori del tempo.

Un altro estratto dal libro di Helen Barolini, “The Dream Book”:
“L'unica cosa... che una donna [italiana] non deve fare è “cambiare”. Poiché tutti si appoggiavano a lei per il sostegno, doveva essere permanentemente accessibile e permanentemente immutabile. Non poteva esistere come individuo con bisogni e desideri autonomi, perché ciò avrebbe minato il bene comune”.
Ma questa immagine idealizzata della femminilità italiana, come incastonata in una cultura statica basata sull'auto-nullificazione femminile, non deve sostituire una analisi su come e in che misura le donne italiane hanno soddisfatto o contestato queste prescrizioni di ruolo, che potrebbero aver contenuto ideali contraddittori.

Le donne italiane del nord, del meridione e della Sicilia, tutte hanno partecipato alle principali trasformazioni economiche, politiche e sociali del diciannovesimo secolo, nelle loro famiglie e nella comunità.
Mentre molte donne potrebbero non essersi unite alla forza lavoro retribuita al di fuori delle loro case, fin dalla prima infanzia tutte hanno dato contributi regolari di lavoro non pagato al fondo del reddito familiare.

Questo contenuto può essere ascoltato, con brani musicali, sul sito Eudemonia Podcast o su YouTube




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