martedì 27 dicembre 2022 - Libero Gentili

La costruzione dell’immagine femminile - Terzo episodio: "Le donne afro americane degli anni 60 e il "fashion look".

Gli anni '30 negli Stati uniti, furono il decennio della Grande Depressione. Il crollo del mercato azionario scatenò una depressione aziendale a livello nazionale, con 7 milioni di lavoratori che persero il lavoro entro la fine del 1930, e quel numero salì a 14 milioni alla fine del 1931. Cinquemila banche crollarono, spazzando via i risparmi di una vita di milioni di persone.

Il Presidente Franklin Delano Roosevelt affrontò la Depressione con tutta l'emergenza e l'immediatezza di una guerra. Fece una campagna su una politica di "New Deal", un piano di riforme economiche e sociali per il cosiddetto "uomo dimenticato" dell'America, cioè i disoccupati, basando i suoi programmi su quelle che chiamò le “tre R”: Relief, Recovery, Reform (sollievo, recupero e riforma).
Non tutti i programmi New Deal funzionarono e non tutti gli americani sostennero le sue idee, ma nel complesso, questi programmi, lentamente, tirarono fuori il paese dalla grave depressione economica e psicologica che fu la “Grande Depressione”.

Gli anni '30, quindi, lasciarono un segno indelebile sulla psiche americana. Immagini in bianco e nero di persone in piedi nelle file per il pane fuori dalle mense; uomini che portavano cartelli che recitavano "lavorerò per il cibo", una frase comune sui cartelli dei mendicanti; famiglie sfrattate rannicchiate sul lato della strada con i loro effetti personali; intere famiglie che vivevano nelle loro auto, con i loro pochi beni legati sulla cappotta.

La reazione psicologica all'essere rovinati, o in attesa di essere rovinati, rappresentava un terrore. Nessuno era preparato per quello che stava succedendo. Anche se non tutti gli americani erano senza lavoro o senzatetto, quelli che ancora lavoravano, lottavano per sbarcare il lunario, sempre nella paura di perdere ciò che ancora possedevano.

Negli anni '30, una famiglia americana su due possedeva un'auto, anche se il più delle volte era una vecchia auto acquistata nei giorni migliori degli anni '20, o un'auto usata, che era stata riparata per mantenerla in funzione.

Quindi, I primi anni '30 non furono tempi felici; il cinismo e la disperazione erano dilaganti.
Il crimine stava crescendo e i giornali e i cinegiornali resero i cattivi degli eroi, glorificando le imprese di gangster come Al Capone e John Dillinger.
Il proibizionismo, inoltre, aveva alimentato la crescita della criminalità organizzata, che rilevò il gioco d'azzardo, il racket del lavoro, il loan sharking, cioè lo strozzinaggio, la distribuzione di stupefacenti, e la prostituzione dopo l'abrogazione del proibizionismo nel 1933.

La radio e il cinema fornirono una certa misura di fuga, fornendo intrattenimento sotto forma di commedie, drammi, eventi sportivi e lotta al crimine.
Il presidente Roosevelt trasmetteva amichevolmente alla radio le sue "Fireside Chats", i discorsi davanti al caminetto, per rassicurare una nazione spaventata che le cose stavano migliorando.
Ma, per quanto confortanti potessero essere quelle chat per molti americani, furono i film a fornire la fuga più popolare. Al buio del cinematografo, era più facile lasciare il mondo reale al di fuori.

I musical rappresentarono una fuga popolare dalla Depressione. Attori e attrici lasciarono il segno nella cultura dell'epoca, forse nessuno più della sex symbol Jean Harlow.
I suoi capelli biondi platino erano così insoliti, che per descriverla fu coniato il termine "Blonde Bombshell" la bomba bionda.
I capelli di Harlow ispirarono le donne a decolorare i loro capelli nel tentativo di emulare il suo look sexy; questo fu favorito dallo sviluppo delle tinture per capelli casalinghe e permise anche alle donne afro americane di inseguire questa moda.

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Le donne afroamericane, storicamente, vivevano in comunità, il cui comportamento derivava non solo da tradizioni afroamericane apprese, ma anche dai valori e dai comportamenti della società bianca dominante.
Gli ideali di bellezza raffigurati nella pubblicità e negli articoli di riviste in periodici neri continuarono a favorire carnagioni più leggere e acconciature simili a quelle che erano di moda tra le donne bianche.

Stirare e decolorare i capelli era così comune che la procedura era trattata come un rituale di “coming-of-age”, il raggiungimento della maggiore età. Così i capelli lisci non erano solo uno standard di bellezza, ma anche un indicatore della propria posizione economica e sociale.

Un esempio lampante è la carriera di bombshell e pin-up, Rita Hayworth. Nata Margarita Carmen Cansino nel 1918, Rita Hayworth iniziò la sua carriera a Hollywood nel 1935 con ruoli in gran parte di supporto.
Con le sue “pesanti” caratteristiche mediterranee, Hayworth lottò per convincere Harry Cohn della Columbia Pictures a farla recitare in un ruolo da protagonista.
L'attrice alla fine accettò un'elettròlisi per far retrocedere la sua delicata attaccatura dei capelli e cambiò il loro colore, oltre che il suo nome per diventare, così, una protagonista.

La popolarità di Hayworth raggiunse il picco a metà degli anni '40 e, durante la seconda guerra mondiale, fu la seconda ragazza pin-up più popolare, accanto a Betty Grable.
Niente di tutto questo apparve sulle riviste di fan, tuttavia, e il pubblico era in gran parte inconsapevole delle vicissitudini che la Hayworth attraversò nella sua trasformazione “da starlet a star”.

Non solo le donne copiarono i vestiti e le acconciature delle loro attrici preferite, ma anche il comportamento sullo schermo, il linguaggio e il manierismo. Uno stile più glamour, articolato e indipendente diventò l'ideale della donna.
Con strategie spesso disperate, le donne cercarono di ottenere questi ideali per il corpo, correndo dietro al potere persuasivo della cultura cosmetica.

L'inclusione delle afroamericane suggerisce che mentre le donne potevano essere esposte alla cultura cosmetica e alla pressione dei mass media, la risposta a questi miti della bellezza non era monolitica, cioè rigidamente rivolta alla razza bianca.
Come osserva lo storico Matthew Frye Jacobson: “dato che le razze sono categorie inventate – designazioni coniate allo scopo di raggruppare e separare i popoli lungo linee di presunta differenza – i caucasici sono inventati e non “nati”. (Matthew Frye Jacobson, Whiteness of a Different Color: European Immigrants and the Alchemy of Race (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1998), 4-7.

Le fonti primarie per ricostruire questi modelli di bellezza multiculturale provenivano in gran parte dalla stampa, dalla letteratura sulle diete e sull'esercizio fisico, oltre che dalle fonti mediche distribuite dai giornali.
Gli archivi medici che contengono informazioni sulle mode della dieta, i maniaci del cibo, i chirurghi plastici ciarlatani e le cure miracolose per disturbi diversi come l'obesità e i seni piccoli, spostarono questo trend oltre la letteratura prescrittiva.
Le immagini della donna sono create in diverse forme e dimensioni, indipendentemente da quanto si possa manipolare naturalmente o artificialmente il suo corpo per ottenere una forma ideale specifica, anche se ci sono alcuni tipi di corpo che rimarranno per sempre fuori dalla sua portata.

Dal 1939 al 1940, il National Bureau of Home Economics, una divisione del Dipartimento dell'Agricoltura, compilò le misurazioni di oltre 15.000 donne bianche, per aiutare i produttori di abbigliamento a sviluppare l’abbigliamento “ready-to-wear”, ossia il "Prêt-à-porter". La compilazione fu il primo studio scientifico, su larga scala, delle misurazioni del corpo femminile. Si registrarono ben 59 misurazioni per ogni donna volontaria per assicurare risultati più accurati.

I risultati per le donne di età compresa tra 25 e 29 anni rivelarono che la donna americana bianca media nel 1939 era alta poco più di un metro e 60, pesava 56,5 Kg, con misure, rispettivamente, di centimetri 86 - 69 - 96.

Anche se si può pensare che la snellezza delle donne americane alla fine degli anni '40 fosse dovuta all'influenza radicata della cultura della bellezza, l'abbigliamento ready-to-wear fu potenzialmente creato, pensando alla figura di una donna molto più sottile.

Secondo Simone de Beauvoir i corpi delle donne sono “progetti”. Non la biologia, ma cultura e la società fanno di una donna “una donna reale”.
Questo argomento non è nuovo per chi ha seguito i miei podcast sul concetto di genere e costruzionismo sociale.
Negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, gli ideali di bellezza femminile erano in costante trasformazione, perché anche la cultura americana era instabile.
Betty Friedan ha sostenuto che, durante questo tempo, le donne americane caddero vittima di una “mistica femminile” (la sua famosa opera The feminine Mystique) che le sollecitò a inseguire la femminilità, evitando situazioni che minacciavano di deprivarle.
Quindi, il periodo del dopoguerra vide il riemergere di ideali femminili simili al "Culto della vera femminilità" per combattere la paranoia che le donne americane erano diventate eccessivamente maschili durante gli anni della guerra.

L'ideale del dopoguerra era sicuramente concentrato ancora una volta sull'unione familiare, con le donne al centro della casa. Un gran numero di donne abbandonò l'istruzione superiore o una carriera full-time, cercando invece la realizzazione attraverso il matrimonio, la maternità e i lavori domestici.
Nelle parole di una scrittrice contemporanea, Susan J. Douglas, “La guerra era finita e [le donne] avrebbero dovuto tornare in cucina e imparare a fare i fagiolini al forno con la crema di funghi Campbell”.

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pubblicità dell’epoca

La frase "cultura della bellezza", di uso comune per la maggior parte del ventesimo secolo, si riferiva agli strumenti, ai metodi e alle pratiche commerciali per alterare e prendersi cura dell'aspetto delle donne.
Essa comprendeva i trattamenti per i capelli, la pelle e i corpi delle donne.
La cultura della bellezza afroamericana ha esemplificato l'ampia partecipazione dei neri alla cultura di consumo di massa, come è emersa nel secolo scorso. Le donne afroamericane non hanno incontrato solo la cultura della bellezza commerciale nelle pagine dei giornali o sugli scaffali delle farmacie.
Ma era spesso una relazione molto personale e interattiva, tra un agente di vendita di un'azienda di bellezza e i suoi contatti porta a porta, tra un operatore di saloni e i suoi clienti di quartiere e tra gli operatori di negozi di bellezza e i loro clienti.

Quasi universalmente, le donne nere in America si sono stirate i capelli tra la fine degli anni '40 e i primi anni '60. Lo stiramento dei capelli era diventato, non l'influenza dannosa di uno standard di bellezza bianca, ma piuttosto un rituale di maggiore età per le ragazze.
All'interno della comunità nera, i capelli lisci non erano solo l'aspetto preferito, ma anche un indicatore della propria posizione nella società. In questo modo i capelli rappresentavano ricchezza, istruzione e accesso alla società.

La tonalità della propria pelle avrebbe potuto anche essere un fattore nel determinare la bellezza delle femmine nere.
L'inclusione di pubblicità per prodotti come quella della “Nadinola Bleach Cream”: "Dai una possibilità al romanticismo! Non lasciare che una noiosa e buia carnagione ti privi della popolarità” era la réclame del prodotto.

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"non temere la spiaggia, usa la crema sbiancante APEX"

Anche un altro messaggio pubblicitario divenne famoso in quel periodo, per una crema sbiancante della pelle, la APEX, forzando una rima costruita tra due sostantivi, Beach (spiaggia) e Bleach (sbiancante) suonava così: “Don’t fear the BEACH, use APEX BLEACH!”, [cioè]: non temere la spiaggia, usa la crema sbiancante Apex”.

Le donne nere hanno avuto una certa rilevanza all'interno dell'industria della bellezza. Molte aziende di proprietà di bianchi, però, utilizzarono stereotipi negativi per vendere i loro prodotti.
All’inizio, la loro pubblicità ritraeva i corpi delle donne afroamericane come "handicappati o imperfetti", se non presentavano i capelli lisci e lucidi e una pelle chiara.
Tuttavia, in maniera ipocrita, senza abbandonare completamente la retorica denigratoria, la maggior parte delle aziende bianche più importanti introduceva narrazioni sull'orgoglio razziale e la bellezza nera, come risultato della scelta nella loro immagine pubblicitaria.

Allo stesso tempo, le aziende di proprietà anglo hanno sempre più giocato sulle ansie delle donne nere per il loro aspetto.
Sia le aziende di proprietà anglo che afro, senza eccezioni, promuovevano carnagione più chiara e capelli ondulati come ideali di bellezza. Da parte loro, le estetiste afroamericane decantavano i benefici dei loro servizi ma, allo stesso tempo, si occupavano “in punta di piedi” sulla questione degli standard di razza e bellezza.

Infatti, le pubblicità che promuovevano i prodotti per capelli e creme sbiancanti per la pelle a donne nere, spesso riflettevano l'ambivalenza sugli standard di bellezza delle stesse.
Presentavano la nuova bellezza femminile afroamericana dalla pelle chiara e dai capelli lisci, ma al tempo stesso affermavano di celebrare una “gamma più ampia” di bellezza razziale.

Anche l’industria dei bianchi si dava da fare, a suo modo. Gli inserzionisti più sofisticati non sempre condannavano le caratteristiche fisiche afroamericane a favore di quelle bianche. La pubblicità della crema sbiancante sulla pelle sottolineava costantemente il miglioramento della consistenza della pelle, promettendo di rimuovere le imperfezioni.

Fino al 1940 il Concorso di Miss America vietava alle donne nere e alle donne di colore di partecipare alla competizione, perché la regola numero 7 richiedeva che tutte le donne fossero “di buona salute e di razza bianca”.
Il bianco era bello, il nero era brutto. A un certo punto la nozione razzista era così diffusa che i neri, le donne in particolare, avevano iniziato a interiorizzarla.

Mentre Hollywood e le riviste femminili hanno contribuito a plasmare gli ideali americani di perfezione corporea, l'industria cinematografica ha avuto meno influenza sull'immagine corporea delle donne afroamericane.
A differenza delle loro controparti bianche, le celebrità più popolari nella comunità nera erano in gran parte cantanti, piuttosto che attrici. Le star più famose, Lena Horne e Dorothy Dandridge, entrambe attrici sinuose, ma snelle, hanno guadagnato per la prima volta fama come cantanti jazz.

Hollywood non era ancora pronta ad abbracciare le attrici nere per parti oltre a quelle della cameriera, ai ruoli nella giungla o alle parti delle ragazze del coro nei brani musicali.

Le donne afroamericane erano storicamente e tradizionalmente raffigurate nelle produzioni cinematografiche di Hollywood come cameriere e serve.
I maschi bianchi producevano personaggi afroamericani, insistendo su caratteristiche facciali e fisiche estremamente esagerate, vestendo costumi stravaganti ed eseguendo imitazioni buffonesche di “negri” che cantavano, ballavano e parlavano in una cadenza “stile piantagione”.

L'umorismo bianco ha deriso, disprezzato e falsamente travisato gli afroamericani, mentre era indifferente agli atti viziosi e deplorevoli di violenza perpetrati contro gli afroamericani nelle piantagioni.

In definitiva, la discutibile caratterizzazione degli afroamericani negli spettacoli ha avuto un profondo effetto sui tipi di ruoli di recitazione che, in definitiva, sarebbero stati offerti loro nei film di Hollywood.
Le donne afroamericane venivano ritratte negli spettacoli come la "mamma" dalla pelle scura… arrabbiata, prepotente e senza fronzoli, o la tragica "mulatta".
Queste etichette, abbinate ad abiti grotteschi, avevano un effetto viscerale sul pubblico e crearono personaggi memorabili.
Ad esempio, la "mamma" (servitrice/cameriera) era raffigurata con pelle scura, pesante, indossando una sciarpa per la testa e un abito da casa poco lusinghiero, per enfatizzare la taglia in sovrappeso; aveva gli occhi sporgenti, i capelli trasandati, la bocca dipinta di rosso, mentre la tragica o sensuale mulatta era iper sessuata, selvaggia e sfrenata.

Una volta che le attrici afroamericane arrivarono a Hollywood ci si aspettava, ovviamente, che emulassero l'aspetto e il comportamento di questi personaggi.

Non fu facile per le attrici afroamericane lavorare a Hollywood a causa del divario razziale. Non c'era, come ipocritamente si sbandierava dai bianchi “l’uguale, ma separato”, ma solo il “separato”.
Alcune di queste attrici parlarono in modo virulento dei pregiudizi razziali e delle caratterizzazioni razziali che emarginavano i ruoli di recitazione, aperti alle donne afroamericane a Hollywood.

Per quanto riguarda la donna afroamericana che lotta per una carriera di attrice a Hollywood, la lotta, la repressione, la redenzione, la frustrazione e lo spirito artistico sono gli aggettivi che vengono in mente.
Anche se la figura snella era ancora la mania per il modello high-fashion, modelle con silhouette più formose vinsero concorsi di bellezza, premi pin-up e ottenuto lavoro come coriste.

Un modo per ottenere una figura perfetta era attraverso l'esercizio. Mentre le riviste per bianchi tacevano in gran parte sui regimi di esercizio e allenamento delle celebrità, i periodici neri assicuravano ai lettori che l'idoneità della loro star preferita era il prodotto di uno allenamento rigoroso.

Durante gli anni '50, le donne afroamericane costituivano più di due terzi delle donne americane che gareggiavano in eventi di atletica leggera.

Le prime registe afroamericane non facevano necessariamente film che esprimessero i bisogni o le preoccupazioni delle donne afroamericane.
Queste pioniere realizzarono film su argomenti come le esperienze di guerra dei soldati, documentari antropologici, drammi polizieschi, questioni sociali e spirituali e altre attività intellettuali.

Fino agli anni '30, quando la cultura dei consumatori di massa guadagnava importanza nella vita americana, (ma anche tra le minoranze etniche come già osservato nel podcast dedicato alle donne messicane), i professionisti del marketing afroamericani lavoravano per indirizzare i consumatori neri ai prodotti di marca nazionale.
Allo stesso tempo, cercavano di proteggere l'industria della bellezza afroamericana da ulteriori invasioni da parte dei produttori bianchi.

Questa strategia continuò anche dopo la seconda guerra mondiale, quando la prosperità del periodo del dopoguerra e i nuovi metodi di commercializzazione stimolarono un maggiore interesse per il consumismo afroamericano.
Le innovazioni nella ricerca sui consumatori e il lancio di diverse nuove riviste rivolte agli afroamericani crearono nuovi incentivi e luoghi accattivanti per gli inserzionisti nazionali; la maggiore integrazione degli afroamericani nell'economia del dopo guerra fu significativa.
Per questo motivo, molti riconobbero che, man mano che gli afroamericani diventavano più visibili alle aziende bianche come cittadini di consumo, le imprese di proprietà dei neri avrebbero dovuto cambiare la loro strategia pubblicitaria e di marketing.
I ricercatori di mercato afroamericani lavorarono per assicurarsi che i consumatori afroamericani considerassero il "nuovo" mercato.

Nei venti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, l'industria afroamericana della cultura della bellezza era per tutti gli aspetti più grande, meglio organizzata e più ricca che mai.
Questi sviluppi si sono riflessi non solo nei saloni più grandi e nell'industria cosmetica in espansione, ma anche nella crescita delle organizzazioni professionali, nelle risposte della cultura della bellezza alla regolamentazione statale e nella informazione da parte dei media neri.

Importanti proprietari di saloni di bellezza dichiaravano che non esistevano capelli "brutti" e che i loro saloni potevano ospitare donne di tutte le razze e di tutti i tipi di capelli.
In effetti, i professionisti della bellezza afroamericani iniziarono a trarre sempre più connessioni tra il movimento per i diritti civili e le proprie imprese.

Durante i primi anni dell'era dei diritti civili, nei boicottaggi e nei sit-in in tutte le città del sud, i manifestanti affermavano esplicitamente che la democrazia e l'uguaglianza razziale si basavano anche sulla parità di trattamento dei consumatori neri, oltre che sulla desegregazione nelle scuole e sull'istituzione del diritto al voto.

A metà degli anni '60, i produttori afroamericani di cosmetici e prodotti per capelli pubblicavano pubblicità raffiguranti sia afroamericane che modelle bianche, sostenendo che i loro prodotti erano adatti a tutte le donne.

Se negli anni 60 il nero “era diventato bello”, con la comunità che si riappropriava di quelli che erano stati considerati capelli "brutti" e il colore della pelle "sbagliato", anche il grasso era bello?
La mentalità per l'accettazione di molti tipi di corpo contrastava nettamente con gli atteggiamenti della classe media sui capelli.
Gli studiosi di storia nera notano il significato dei capelli lisci come indicatore della propria posizione nella società.
Durante il movimento per i diritti civili negli anni '50 e '60, un'attenta toelettatura era una parte importante della strategia della classe media.
Le fotografie dei manifestanti afroamericani rivelano, molto spesso, donne accuratamente vestite e pettinate con i capelli lisci.

Ma quando gli afro diventarono popolari tra i giovani e la classe operaia alla fine degli anni '60, questa tendenza iniziò a inorridire i neri della classe media. Il peso, al contrario, non evocava le divisioni di classe o generazionali, come avevano fatto gli atteggiamenti sui capelli delle donne nere.

Nonostante le preoccupazioni per la dieta, gli indumenti, il “fondotinta”, oltre che l'esercizio fisico, i periodici neri celebravano le donne che sposavano le loro taglie più grandi, perché - non tutte le donne dovevano essere "le perfette 36" per essere annunciate come un successo.

In questo modo, gli uomini e le donne afroamericani del dopoguerra ampliarono gli ideali di bellezza.

(Questo contenuto può essere ascoltato, con brani musicali, sul Podcast Eudemonia)
 




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