sabato 1 agosto 2009 - Alessandro Tauro

La Puglia prima di tutto

Lo scandalo "sanitopoli" pugliese sta mettendo in ginocchio un’intera classe politica locale, soprattutto quella del centrosinistra. Le responsabilità sembrano chiare ed inattaccabili.

Eppure, osservando qualche dettaglio significativo, il peso delle colpe politiche cambia. Si trasforma. Si allarga. Ed altera le singole responsabilità.

Pochissimi giorni fa pubblicavo "Il delitto perfetto nella terra di El Dorado". Il racconto di una vicenda irreale in un luogo immaginario. Forse.

La morale della storia era semplice: 3 uomini politici presunti responsabili della distruzione della sanità pubblica di una regione ricevendo in cambio favori economici dai dirigenti delle cliniche private. Tangenti, in parole povere. Tutti e 3 sono indagati, assieme ad altri 37 protagonisti secondari.

Ma la storia, quella che i popoli fanno ma i potenti scrivono, parla d’altro. Parla di uno dei tre presunti colpevoli messo al pubblico ludibrio. E ignora gli altri due. Ne ripulisce l’immagine.

Una colpevolezza che discrimina, fa distinzioni. E lo fa in virtù dell’appartenenza politica.

La morale non cambia se scendiamo 300 chilometri verso sud, da El Dorado allo Shangri-La, la terra compresa tra il Tavoliere ed il Salento. La sanità pubblica è sempre una gallina dalle uova d’oro e i protagonisti delle vicende assumono ruoli di vittime, colpevoli o finti-assenti non in virtù dei dati di fatto, ma come sempre a seconda dell’appartenenza politica.

Gli eventi accaduti in Puglia nell’ultimo mese sembrano parlare chiaro: la sanità pugliese è disastrata e le colpe vanno ricercate nell’attuale maggioranza di governo regionale.

La vicenda assume connotazioni gigantesche. Ieri tutti i tg e quotidiani davano ampio spazio alla notizia, come sarebbe logico fare sempre in casi come questo.
L’immagine della giunta Vendola inizia già ad incrinarsi. Le possibilità di successo alle regionali oramai alle porte, così come accaduto per l’Abruzzo, per la coalizione progressista sembrano ridursi ogni giorno di più.

E il chiaro attacco di Di Pietro di ieri sull’indistinguibilità tra destra e sinistra in tema di corruzione è un ulteriore carico da novanta. Un attacco davvero difficile da smentire.

Eppure quest’immagine di disastro politico regionale sembra subire qualche piccolissima alterazione se si vanno a guardare i dettagli della vicenda. I dettagli non attenuano la realtà, anzi, la ingigantiscono, ma prendono una strada differente. E modificano le responsabilità.

In Puglia non c’è un solo politico locale indagato. Nessuno. Almeno finora.
Fa eccezione il solo ex assessore ed ora deputato Alberto Tedesco (PD), costretto alle dimissioni dal Presidente della Regione Nichi Vendola ben due mesi prima della notifica del primo avviso di garanzia.

Un assessore che mostrò il proprio vero volto sin dai primi giorni d’incarico, quando confermò il piano di tagli alla Sanità voluto dall’ex governatore Fitto (che dichiarò "Tutto pensavo tranne di avere un assessore nella giunta Vendola"), scatenando le proteste del Presidente stesso.

Il 30 giugno veniva iscritta nel registro degli indagati per turbativa d’asta la Direttrice Generale della Asl di Bari Lea Cosentino (vicina al PD). Il 4 aprile la Cosentino veniva ascoltata dal PM Desiré Digeronimo. 3 settimane dopo l’accusa nei suoi confronti (turbativa d’asta, ex art. 353 del codice penale) veniva archiviata dal pm Giuseppe Scelsi.

Troppo tardi. Nel frattempo il Presidente della Giunta Regionale Vendola, ispirato dal solito spirito giustizialista ed anti-garantista dal nome "Chi è indagato non può ricoprire ruoli dirigenziali", l’aveva obbligata alle dimissioni, così come aveva fatto in precedenza con Tedesco.

Il membro del clan mafioso scissionista Strisciuglio e collaboratore di giustizia, Giacomo Valentino, di fronte al PM Digeronimo parla di legami tra mafia locale e politica, accennando ad un particolare candidato di centrosinistra, facendo però il nome di un partito "con il sole nel simbolo".

Non i Verdi, badate bene, bensì il meno noto ma più storico PSDI, attualmente diretto da Mimmo Magistro ma nient’affatto vicino al centrosinistra vendoliano, bensì legato al centrodestra pugliese.

"L’eccesso giustizialista" del Presidente Vendola, impegnato a far dimettere una dirigente sanitaria indagata (accusa poi archiviata) e sospendere un’intera giunta senza accuse giudiziarie (un eccesso di legalità che probabilmente non trova paragoni storici in Italia), trovò l’immediato plauso entusiasta dell’Italia dei Valori (Pisicchio e Zazzera) da una parte, le critiche del PDL (Quagliarello e Fitto) e di Marco Travaglio dall’altra (per le mancate dimissioni del "rivoluzionario gentile" Vendola) e i malumori del PD nel mezzo.

Tra le critiche del centrodestra pugliese possiamo annoverare una storica dichiarazione dei capigruppo di FI, AN e Puglia Prima di Tutto:
"Oggi, prima con il dimissionamento forzato dell’assessore alla Sanità, poi con la sospensione del manager della più grande asl della Puglia e, infine, con l’azzeramento della giunta, Vendola conferma ai pugliesi di aver governato con modalità diametralmente opposte a quelle promesse nel 2005 quando parlava tronfio di trasparenza, paludi da bonificare, moralità".

Come dire che dimissioni forzate degli indagati e collaborazione con la magistratura sono procedure che contrastano con la trasparenza e la moralità. Che invece coincidono con gli attacchi ai magistrati inquirenti e le leggi salva-qualcuno.

Critiche queste del centrodestra che però, alla luce delle ultime perquisizioni alle sedi dei 5 partiti di centrosinistra locali, letteralmente esplodono, disintegrando l’immagine della sinistra pugliese ed esaltando quella candida e virtuosa della destra.

Eppure tali critiche dimenticano di citare la posizione nello stesso filone d’inchiesta dello stesso Fitto, ministro del governo Berlusconi, su cui pendono diversi capi d’accusa relativi a due indagini: una per turbativa d’asta e l’altra per associazione a delinquere, concorso in corruzione, finanziamento illecito ai partiti, falso e peculato. La Procura di Bari ha emanato un avviso di garanzia per entrambe ed una richiesta d’arresto per la seconda, quest’ultima rigettata dalla Camera dei Deputati grazie alle norme sull’immunità parlamentare (457 favorevoli su 462 presenti).

L’indagine che ora vede sotto la lente dei PM di Bari i partiti di centrosinistra è stata resa possibile grazie alle intercettazioni telefoniche raccolte nel corso di mesi, che hanno portato gli inquirenti a scoperchiare un vaso di Pandora ricco di presunti finanziamenti illeciti, corruzioni e legami mafia-politica, ancora tutti da dimostrare.

Intercettazioni telefoniche. La chiave di volta. Le stesse che, se fosse stato in vigore il DDL Alfano sulle intercettazioni, non sarebbero mai esistite.
Con sommo rammarico del centrodestra stesso, che ora invece può giovarsi della loro esistenza.

Ma il ruolo del ministro Alfano non termina qui. Già, perché il Ministro della Giustizia si è reso protagonista di un atto decisamente controverso lo scorso 31 marzo, quando inviò ispettori ministeriali presso la Procura di Bari nel tentativo di rilevare alcune possibili irregolarità nelle due inchieste che vedono coinvolto il collega deputato e ministro Raffaele Fitto.

Un tentativo di salvaggio in extremis di un collega ministro che potrebbe essere interpretato come un uso privatistico del ruolo pubblico. Ma sappiamo che non è così e che è un diritto riconosciuto ad ogni cittadino indagato per qualche reato. Purché abbia un amico Ministro della Giustizia.



1 réactions


  • Rocco Di Rella (---.---.---.83) 2 agosto 2009 11:19

    Certamente il Governatore Vendola sbagliò, nel 2005, a nominare Alberto Tedesco (ex socialista) assessore alla Sanità della Regione Puglia. Poteva scegliere meglio la persona da collocare a capo di quell’importantissimo assessorato.
    Vendola ha, invece, fatto benissimo a defenestrare Tedesco non appena sono state avviate le indagini su di lui.
    Bene ha fatto Vendola anche a rimuovere la direttora dell’ASL BA/1 Lea Cosentino, quando è finita sotto inchiesta.
    Sulla persona e sull’operato di Alberto Tedesco è legittimo nutrire qualche dubbio. Ma le accuse della procura di Bari e del PM Desirèe Digeronimo appaiono esagerate, spropositate e prive di riscontri (gli unici riscontri sarebbero delle equivoche battute fatte da Tedesco e da un suo collaboratore durante alcune conversazioni telefoniche intercettate). La gravità delle accuse formulate dalla dottoressa Digeronimo appare inversamente proporzionale alla quantità (assai esigua) dei riscontri trovati. Quando la dottoressa Digeronimo ipotizza l’esistenza di un’organizzazione criminale capeggiata da Tedesco e di collegamenti con la mafia barese (ma esiste la mafia a Bari?), è naturale sospettare che la dottoressa Digeronimo stia solo elaborando un teorema giudiziario praticamente indimostrabile in sede dibattimentale.
    Auguriamo alla dottoressa Digeronimo di riuscire a dimostrare le gravi accuse che avanza; altrimenti, la tutela del buon nome e del presitgio della magistratura italiana dovrà essere affidato all’esercizio dell’azione disciplinare nei suoi confronti da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.
    In tutta questa vicenda, il ruolo dei fessacchiotti autolesionisti è recitato, come spesso accade, dal Partito Democratico Pugliese, che, nel 2008, candidò Tedesco al Senato. Alberto Tedesco è diventato senatore da poche settimane, come subentrante del neoparlamentare europeo Paolo De Castro, e fa il suo ingresso nel parlamento nazionale nel bel mezzo dell’inchiesta sulla sanità pugliese. Se il PD non lo avesse candidato al Senato, oggi Tedesco non ricoprirebbe alcun incarico e gli effetti politici dell’inchiesta barese sarebbero stati molto più contenuti.


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