La Palestina, ospite inquietante della coscienza occidentale

Qualche giorno fa ho sentito di scrivere un articolo sul 25 aprile, una data che una volta all'anno ci spinge a confrontarci con i nostri miti della fondazione (nel cui solco, comunque, mi riconosco).
Ho parlato di Ucraina e del falso parallelismo di una certa propaganda. Ma avrei voluto scrivere di più, perché c’è un altro grande tema, come tutti sappiamo, che illumina il 25 aprile di una luce diagonale e oscura: la Palestina.
La Palestina oggi è un vero e proprio "ospite inquietante" della coscienza morale occidentale. Se l'Occidente fosse tripartito come la psiche freudiana, la Palestina sarebbe il suo "grande rimosso".
Il potere mediatico ha fatto un grande sforzo, soprattutto negli ultimi decenni e indipendentemente dalla Palestina, per far sembrare che tutto in fondo procede in modo civile e normale.
Scorri la home del tuo social e vedi la pubblicità di uno slip attenta a non offendere le persone grasse, poi vedi un accorato monologo di Sanremo contro il catcalling, e pensi che queste cose saranno pure superficiali, però intanto sono giuste, no? Qualcosa di buono, in fondo, nella nostra società si muove, vero?
Ci sono problemi, certo, ma le istituzioni funzionano. Il Presidente della Repubblica alla fine è un tenero e saggio vecchietto, il pericolo fascista è relativamente contenuto, le cariche europee, per quanto lontane e un po’ furbacchione, non sono prive di coordinate etico-sociali. Quante iniziative per le minoranze, per le discriminazioni, per gli assorbenti!
Ma a rovinare i quadretti idilliaci, come al solito, arriva sempre qualcuno. Da molti anni circolano strani libri, nei quali si dice che tutte quelle contromisure (sociali, giuridiche, economiche) che le nostre democrazie intrapresero per evitare il ripetersi delle più grandi tragedie del Novecento, sono fallite.
Siamo indifesi. Siamo esposti. Le forze che provocarono quelle atrocità sono al potere in questo momento, senza che i diversi corpi sociali possano porvi limite. Eh no, le loro teste non sono necessariamente pelate e le loro camicie non sono necessariamente nere.
Poiché viviamo in una società complessa, capire tecnicamente e dettagliatamente come questo sta avvenendo richiede molto tempo, studio e approfondimento personale. Il cittadino medio che per caso si imbatte in queste analisi, di solito le considera paranoidi e troppo surreali per essere vere.
Poi però, un giorno, arriva lo sterminio. Inequivocabile, pubblico, scientifico, ogni giorno puntuale, esatto come un decreto amministrativo. Il suo impatto sulla vita quotidiana del cittadino medio occidentale è straniante.
Scorri la home del tuo social e vedi la pubblicità di uno slip attenta a non offendere le persone grasse, poi vedi un bambino pal che spu* sangue, poi vedi un accorato monologo di Sanremo sul catcalling, poi vedi un altro bambino pal che spu* sangue.
Cominci a sospettare che quelle consuete e continue dimostrazioni di Politicamente Corretto siano un po’ stantie, ma non vedi ancora il legame con i bambini pal che spu* sangue. Si tratta in fondo di due fenomeni diversi, buttati nello stesso calderone mediatico, giusto?
Un giorno ti capita di vedere un’alta carica istituzionale dal volto rassicurante, che con il sorriso ti invita ad accogliere il diverso e a rispettare il colore della sua pelle. Il giorno dopo la vedi firmare accordi e proclamare amicizie con i responsabili dello sterminio, con lo stesso sorriso.
Forse cominci a sospettare che tra le due cose, tra l’aumentata attenzione per la morale privata e l’aumentata brutalità nello spazio pubblico, ci sia un legame.
Non è la prima volta, nella storia, che a un aumento della moralizzazione formale si accompagna un aumento della demoralizzazione sostanziale della società (vedere lo storico marxista Chris Wickam sul “moralismo carolingio”).
In effetti non c’è un legame subito evidente tra l’essere un serial killer e il fare educatamente la fila al supermercato. Uno psichiatra, però, che ne analizzasse il profilo criminale, darebbe molta importanza allo zelo con cui quel serial killer rispetta la fila al supermercato, soprattutto se dimostra una cura eccessiva e maniacale rispetto a tutti gli altri.
Ecco, nello smontare le varie tesi dominanti del wokismo, in questi anni volevamo denunciare il legame tra il maniacale zelo occidentale per la fila al supermercato e una struttura criminosa di fondo. Quello che molti hanno compreso del nostro impegno, purtroppo, è una sorta di elogio della maleducazione, del saltare la fila e dello sbracarsi con le pudenda esposte agli occhi della cassiera.
Fino a non troppi anni fa, i temi del femminismo, ambientalismo eccetera, si muovevano lungo canali eretici, sussurrati, minoritari, privi di megafono sociale.
Poi, improvvisamente, tutti i luoghi del potere si sono colorati di arcobaleno, tutti i giornali, le più alte istituzioni, i massimi cda delle multinazionali. Invece di chiedersi come mai, la maggior parte di quei vecchi militanti ha ingenuamente accolto molte delle nuove narrazioni, e puntato il dito contro i nuovi nemici di cui ogni giorno si grida.
Siccome tali narrazioni, che riprendono e distorcono antiche battaglie, sono funzionali a un disegno (estremizzano i conflitti orizzontali, distraggono dai conflitti verticali, legittimano moralmente il potere di elitès efferate), noi poveri “rossobruni” volevamo evidenziarne la funzionalità “classista”, non contestarne la verità di fondo (anche se, quando un corpus di teorie diventa funzionale a uno status quo, gran parte di ciò che arrivano a contenere è semplicemente falso).
Possiamo dire che l’errore fondamentale delle sinistre occidentali sta nell’aver invertito il rapporto struttura/sovrastruttura. Ai vecchi partiti socialisti e comunisti era chiaro che prima viene l’emancipazione economica e sociale della classe lavoratrice, poi seguirà la sua emancipazione culturale e la sua eventuale sensibilità verso certe tematiche.
Il tipico sfruttato, anche se buzzurro e retrogrado, era visto come l’elettore “strutturale”, comunque la pensasse sul mondo. Oggi è praticamente diventato il nemico numero uno delle sinistre, perché giudicato e condannato sul piano culturale.
(Per la cronaca, è proprio sull’inversione di struttura e sovrastruttura che Gramsci è stato tanto ripreso e frainteso nelle università americane. Su questo equivoco sono state costruite varie teorie “intersezionaliste”).
Ma ora non voglio allontanarmi dal discorso. Che c’entra questo con la Palestina? C’entra molto, perché in questa bolla social siamo quasi tutti intellettuali e istruiti, ma dobbiamo pensare anche alle persone più “distratte”.
Siccome è nell’ultimo lustro che siamo stati invasi dal ciclone mediatico del Politicamente Corretto, che è fenomeno mediatico dall’alto, non sociale dal basso, e che afferisce a una precisa retorica imperiale statunitense, lo stridore e la contraddizione tra questo moralismo e la realtà dello sterminio si fa oggi ancora più lampante, più inconcepibile.
Credo dunque di intercettare l’incredulità e lo spaesamento della “persona comune”, mettendo a contrasto la campana di vetro del nostro mondo, questo nostro mondo finto così minuziosamente rispettoso del nulla, nel patrocinio di tutte le istituzioni, con il mondo fuori, quella landa desolata e brutale dove si fabbrica la morte, con la complicità di tutte le nostre istituzioni.
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