Nel trentennale della morte del deputato siciliano del PCI, i magistrati palermitani hanno deciso di riaprire le indagini per vagliare la possibilità di un mandante esterno all’omicidio in cui perse la vita anche Rosario Di Salvo. Le ipotesi mai chiarite riassunte in un libro-inchiesta di Paolo Mondani e Armando Sorrentino
Pio La Torre fu ucciso la mattina del 30 aprile 1982, mentre insieme con il suo autista-guardia del corpo Rosario Di Salvo, si stava recando nella sede del Partito comunista, di cui era segretario regionale. La sua morte fu attribuita ai corleonesi, soprattutto perché il deputato siciliano era fra i più convinti fautori di una norma, che diventerà l'articolo 416-bis del codice penale, che prevedeva l'associazione di stampo mafioso e la confisca dei patrimoni illeciti. Non sono pochi, però, coloro che, nel corso del tempo, hanno contestato una ricostruzione dell’eliminazione del deputato comunista giudicata superficiale e non in grado di spiegarne tutti i notevoli risvolti che presenta.
Innanzitutto, ci si è soffermati sugli ultimi mesi dell’attività politica di La Torre, per ricavarne la conclusione che egli era in grado di fornire un quadro molto preciso e puntuale dei delitti politici avvenuti a Palermo. La Torre era giunto a dirsi sicuro che lo stragismo mafioso avesse oramai un carattere propriamente “politico” e che ciò derivava dal fatto che esso si ponesse obiettivi di tipo politico.
Paolo Mondani e Armando Sorrentino (quest’ultimo in qualità di avvocato del Pci, parte civile al processo contro gli assassini del deputato siciliano), hanno messo insieme molti di questi elementi, i quali tutti insieme fanno sorgere più di un sospetto sul fatto che La Torre sia stato eliminato soltanto da Cosa nostra e li hanno pubblicati in un libro che li ricostruisce con molta attenzione (P. MONDANI-A.SORRENTINO, "Chi ha ucciso Pio La Torre?", ed. Castelvecchi).
I principali vertono sulla operatività che in Sicilia avrebbe avuto “Gladio”, la struttura paramilitare segreta, creata dalla dc nell’immediato dopoguerra in funzione anticomunista. Secondo un collaboratore di giustizia, Francesco Elmo, che entrò nell’organizzazione per il tramite di un compagno di università, conoscendo Emanuele Piazza, un agente di polizia che lavorava per i servizi segreti (ucciso da esponenti mafiosi nel 1990 che ne disciolsero nell’acido il corpo), Gladio sarebbe stata responsabile, nel corso degli anni ’80, di una serie di clamorosi omicidi, fra i quali quello di Pio La Torre. Le sue rivelazioni però non hanno portato a nulla di concreto in quanto non confermate successivamente dai necessari riscontri.
Certamente più significativo è il fatto che, da un documento autentico della «Gladio» siciliana sia emerso che questa struttura avesse nell’isola un organico superiore a quello in dotazione di qualsiasi altra Regione, comprese quelle confinarie con la Jugoslavia, dove tradizionalmente erano dislocate le truppe della nato e da dove poteva attendersi un ipotetico attacco terrestre dalle truppe del Patto di Varsavia.
Ancora più significativo è il testo di una interrogazione parlamentare che Pio La Torre formulò il 24 novembre 1981 nella quale chiedeva al ministro della difesa (il socialista Lelio Lagorio) informazioni su una grande esercitazione militare, denominata «Trinacria 2», svoltasi dal 9 al 12 di quel mese, in cui si simulava un attacco nucleare e chimico sull’isola. Le informazioni possedute da La Torre sono molto dettagliate, tanto che egli, ad un certo punto, fa riferimento a «comitati civili e militari costituiti nell’ambito delle Prefetture di Palermo, Trapani, Siracusa e Ragusa», che sembrano essere le strutture di Gladio. Forse La Torre era venuto a conoscenza della sua esistenza prima di tutti gli altri? Emanuele Macaluso prospetta senza mezzi termini l’idea che la «Gladio siciliana» possa aver organizzato l’omicidio coinvolgendo esponenti di Cosa nostra legati all’organizzazione coperta.
Secondo la moglie del deputato siciliano, Giuseppina Zacco, negli ultimi mesi della sua vita il marito si incontrava spesso con un americano con il quale faceva lunghe passeggiate. Si trattava forse di un agente della Cia che gli aveva fornito informazioni preziose sulla situazione siciliana? Sempre secondo il racconto della moglie di La Torre, si è saputo che, poco prima dell’attentato in cui fu dilaniato, ricevette la telefonata di Rocco Chinnici, che era impegnato a risolvere il caso, insieme a quello di Piersanti Mattarella. Chinnici le chiese un incontro pregandola di avvertire anche la moglie di Mattarella, Irma Chiazzese, di cui Giuseppina Zacco era amica. Nel fare ciò, Chinnici disse espressamente alla donna di riferire all’amica che «sono vicino alla verità. È questione di tempo, dovete solo pazientare un poco. Ho scoperto tutto». L’autobomba di via Pipitone Federico non consentirà mai di sapere che cosa realmente avesse scoperto il capo dell’Ufficio istruzione di Palermo. Certamente il tipo di attentato compiuto contro di lui, mostrava con evidenza una preparazione militare accurata da parte dei mafiosi.
Infine, l’episodio inedito, che getta l’ultima luce sinistra sulla fine di Pio La Torre, si riferisce ad un gruppo di docenti universitari palermitani che, agli inizi del 1982, sarebbero stati chiamati dal deputato siciliano per uno studio riservato. Si trattava di studiosi esperti in linguistica, ai quali sarebbero stati sottoposti una serie di documenti di provenienza mafiosa (forse dei “pizzini”? In tal caso, La Torre sarebbe stato il primo ad averli e poterli consultare). Il loro compito era quello di decifrarne i codici e i significati reconditi. «La Torre – ha raccontato uno di questi eminenti studiosi – prima ci disse che non c’erano efficaci appigli culturali per decifrare la mafia e per contrastarne l’azione. E che in ogni caso non erano sufficienti, da soli, gli attuali strumenti in mano all’apparato repressivo». La Torre richieste ai partecipanti la massima segretezza, anche all’interno del partito, pena la loro stessa sicurezza. La notizia viene data a Paolo Mondani da uno di questi partecipanti, il quale non è in grado di dire chi fossero gli altri colleghi ma fornisce un’altra indicazione, che poi risulta essere la più importante. I documenti che dovevano essere studiati coprivano un arco di tempo che andava dalla strage di Portella delle ginestre fino a quegli anni. La Torre pensava ad una rete di rapporti che si era protratta nel tempo in modo continuativo dal 1947 e che caratterizzava pesantemente le trame mafiose siciliane. Di quelle carte nessuno ha mai saputo più nulla e, dei cinque docenti universitari, soltanto uno, alla fine, ha deciso di diffondere questa notizia. Fino a quel momento, la paura li aveva convinti a rimanere in silenzio. Ora, i magistrati siciliani vogliono chiarire anche questo misterioso ed inedito episodio, fino ad ora mai emerso dalle indagini.