L’insostenibilità dell’assistenza religiosa

La presenza di cappellani cattolici negli ospedali italiani fa parte del panorama, sebbene talvolta appaia molesta e invasiva. Poco noti sono i costi che ciò comporta. Le intese stipulate con le conferenze episcopali locali e i fondi accordati dalla normativa sui servizi ospedalieri garantiscono ai sacerdoti assistenti spirituali circa 30 milioni di euro l’anno, escluse le spese di mantenimento di cappelle e uffici per il servizio. Nell’inchiesta I costi della Chiesa l’Uaar stima prudenzialmente una spesa di 35 milioni annui a carico dello Stato. Ancora meno noto è però il fatto che il problema non è soltanto nostro. Altrove, tuttavia, quantomeno di discute e si interviene. Anche se non è per niente facile.
In Gran Bretagna, racconta la BBC, calano i cappellani religiosi e le ore di servizio che prestano. Nel paese gli assistenti spirituali sono pagati dal National Health Service fin dal 1948, ma devono attenersi a delle precise linee guida e gli ospedali non sono obbligati a fornire questo servizio. L’emittente britannica ha reso noto che circa il 40% dei 163 trust di cappellani interpellati ha lamentato una diminuzione delle attività.
Questi dati, frutto di interviste radio, tra l’altro parziali, sono però contestati dalla National Secular Society. Come spiega la NSS sulla base di ricerche approfondite su tutti i trust (230), il numero dei cappellani è rimasto pressappoco lo stesso rispetto al 2009. Emerge invece che il servizio sanitario nazionale preferisce tagliare sull’assistenza medica, in particolare migliaia di infermieri o sulla manutenzione delle strutture, piuttosto che intaccare i fondi destinati ai cappellani. Circa 29 milioni di sterline ogni anno vengono spesi peri cappellani e le spese varie annesse.L a BBC, un tempo più autorevole, in questi anni sembra piuttosto condizionata dal favor religionis, e la vicenda non fa che confermare tale impressione.
Il presidente della NSS, Terry Anderson, commenta: “Non abbiamo obiezioni sulla presenza dei cappellani negli ospedali, ci interessa da dove vengono presi i fondi per pagarli. Chiese, moschee e templi che desiderano avere una rappresentanza religiosa negli ospedali dovrebbero farlo a proprie spese”.
Ma a che serve l’assistenza religiosa? Una volta si pensava a un ruolo nella guarigione, ma studi attestano che la preghiera non funziona, al massimo calma l’angoscia per chi ci crede. Anzi, affidarsi a qualche divinità ignorando le cure mediche spesso porta a conseguenze disastrose, come dimostrano casi di cronaca come quello di Antonella Mirabelli, affetta da anoressia e che si è lasciata morire convinta che Dio l’avrebbe guarita. Certo, la ragione principale rimane oggi quella del conforto. Ma se c’è bisogno di questo forse è meglio che sia specializzato, con uno psicologo preparato che sappia affrontare ogni situazione, piuttosto che una pletora di pseudo-esperti di parte.
Del resto, se c’è bisogno di conforto morale semplice, non c’è bisogno di pagare l’affetto e il calore umano: si devono forse pagare i parenti o i conoscenti per star vicini al paziente? Sarebbe dunque auspicabile che l’assistenza spirituale negli ospedali sia gratuita per il servizio pubblico e a carico delle confessioni religiose.
L’Uaar da alcuni anni fornisce gratuitamente assistenza morale non confessionale, con volontari che hanno seguito un corso di formazione e che sono disponibili solo su chiamata. Non come i sacerdoti, la cui presenza negli ospedali è spesso invasiva, con l’abitudine a girare in corsia non chiamati e talvolta a importunare i degenti; comportamenti tollerati spesso dalle dirigenze che non vogliono avere problemi.
L’assistenza religiosa non è altro che un retaggio della tradizione. E il ricorso alla tradizione, di per sé, non è una valido argomento per nulla. È evidente che ogni tradizione costituisce anche un privilegio per qualcuno. È altrettanto evidente che quel qualcuno non ha alcuna intenzione di mollare la presa. L’assistenza religiosa gli garantisce non solo uno stipendio, ma anche il potere su esseri umani in difficoltà. È giusto retribuirlo per questo?