martedì 4 giugno 2013 - UAAR - A ragion veduta

L’esplosione del conflitto tra laici e clericali anche in Turchia

Come già in Egitto e in Tunisia, scontri violenti tra laici e forze dell’ordine (l’ordine al servizio del potere islamista) stanno avendo luogo anche in Turchia. Se per quei due paesi venivano spiegati come una sorta di effetto collaterale della cosiddetta “primavera araba”, quanto sta accadendo in queste ore a Istanbul sembra avere una storia diversa alle spalle, visto che il conflitto è scaturito improvvisamente, e in un paese contrassegnato da un partito al potere solo moderatamente islamista, ormai da circa un decennio al potere senza particolari scossoni.

In realtà, i tre paesi si differenziano esclusivamente per la tempistica. A regimi autoritari che hanno imposto, talvolta anche duramente, istituzioni laiche, hanno fatto seguito elezioni che hanno portato al potere partiti islamisti, che hanno attuato politiche islamiste. La sola differenza è che in Egitto e in Tunisia si è cercato di farlo immediatamente, usando l’islam quale via “salvifica” per uscire dalla grave crisi, mentre in Turchia si è cercato di farlo solo dopo un periodo di generale crescita economica, con la terza legislatura guidata da Recep Tayyip Erdogan. La via della modernizzazione e dell’efficientismo per imporre la religione: un po’ come ha cercato di fare Comunione e Liberazione in Lombardia.

Negli ultimi anni Erdogan e il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) si sono dati da fare per cancellare dall’interno delle istituzioni il carattere laico dello stato turco. Il partito è diventato una versione peggiore della nostra Democrazia Cristiana e ha avviato una “controriforma” moralizzatrice. I conservatori islamici dell’Akp hanno sdoganato il velo nelle università, usato la mano pesante con i giornalisti e altri oppositori critici accusandoli di complotto, cancellato le feste laiche e facendo sbiadire il ricordo del fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, sceso in campo per promuovere l’influenza della religione nella società e nelle scuole. Inoltre, con una politica all’insegna del natalismo nazionalista, il governo punta a limitare il diritto all’autodeterminazione delle donne, rivedendo in senso restrittivo la legge sull’aborto. Una controriforma islamista fatta di piccoli ma inesorabili passi e di dettagli — come allungare le gonne alle hostess della compagnia di bandiera — che ha però preoccupato l’opinione pubblica laica, scesa in piazza nei mesi scorsi.

In Turchia, paese tradizionalmente laico ma in via di revival islamico, anche i non credenti subiscono vessazioni. Noto è il caso del pianista Fazil Say, condannato con la condizionale per aver espresso su internet il suo ateismo. Ma con l’Akp al potere gli islamisti si fanno sempre più baldanzosi contro gli atei. Un esponente del partito di governo, Mahmut Macit, ha sfogato così il suo integralismo su Twitter: “Il mio sangue ribolle quando psicopatici senza spina dorsale che fanno finta di essere atei insultano la mia religione. Questa gente, che è stata stuprata, dovrebbe essere annientata”, poiché “insultare l’islam non dovrebbe essere considerata libertà di espressione”. E Ahmet Kavas, ambasciatore turco in Ciad a sua volta uscito da una scuola religiosa, ha tranquillamente dichiarato che “al-Qaeda non è un’organizzazione terroristica”.

In questi giorni si assiste a una nuova imponente mobilitazione, che ha per fulcro Piazza Taksim a Istanbul. Migliaia di persone hanno occupato il parco Gezi, contro la decisione dell’autorità di distruggere centinaia di alberi secolari per far spazio a una faraonica moschea con annesso museo delle religioni, progetto caldeggiato dal governo, nonché una caserma e a un centro commerciale. Una delle ultime gocce che hanno fatto traboccare il vaso, la recentissima approvazione della legge che limita fortemente la vendita di alcoolici nel paese, voluta dal premier e dagli islamici più conservatori. La polizia è intervenuta contro i manifestanti in maniera pesantissima e brutale, anche con gas lacrimogeni, idranti e spray urticante a dosi massicce, tanto che si contano centinaia di feriti, alcuni morti e almeno mille arresti.

La protesta sta continuando in queste ore e si è intanto allargata ad altre città, come Ankara e Smirne, dilagando in tutta la Turchia. Grazie anche ai social network e con dinamiche simili a quelle usate dai giovani nei paesi della primavera araba, tanto che si fa il paragone con l’egiziana piazza Tahrir e Erdogan ha bollato Twitter come una “minaccia“.

Nel terzo millennio, nell’epoca in cui le informazioni viaggiano rapidamente per il mondo, pensare di tenere a bada democraticamente l’avanzata della secolarizzazione e le richiesta di libertà che ne conseguono è, assai probabilmente, un’utopia. Le autorità religiose islamiche lo sanno, e ne hanno una gran paura. È per questo motivo che la reazione avviene usando la polizia, e argomentando a suon di lacrimogeni e manganelli.



1 réactions


  • (---.---.---.74) 4 giugno 2013 19:54

    La pretenziosità e autoreferenzialità dei media italiani è impressionante. Paragonare il nord africa arabo alla Turchia è una pura bestialità. L’unico punto di contatto tra le due realtà sta nell’offensiva che conducono gli islamisti. Secondo questo schema l’Egitto e la Tunisia potrebbero , quindi, essere paragonati a tutti qui paesi europei dove i cattolici tentano di demolire gli ultimi veli dello Stato Laico (Italia, Irlanda, ...).

    Tanto per fare un solo esempio la condizione femminile della donna in Egitto e Tunisia è di poco differente da quella della donna italiana nella prima meta del secolo scorso, in Turchia invece le donne votano dalla seconda metà degli anni venti.

    Per non farla lunga il processo di occidentalizzazione della Turchia e i relativi conflitti è assolutamente imparagonabile a quello di tutti i paesi arabi.

     


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