giovedì 10 dicembre 2020 - Osservatorio Globalizzazione

L’eredità politica e spirituale di John Lennon

A quarant’anni dall’assassinio di John Lennon, Alessandro Catanzaro racconta la complessa personalità dell’ex membro dei Beatles. Non solo acclamato e innovativo musicista, ma anche icona e voce critica della politica occidentale nell’era più calda della Guerra Fredda.

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Chissà come sarebbe stato un John Lennon ottantenne. Magari simile a quello dipinto nel film Yesterday di Danny Boyle (una divertente ucronia nella quale i Beatles non sono mai esistiti): un anziano sereno e filosofeggiante, intento a godersi l’aria di mare in una villetta sulla costa inglese.

Purtroppo, la sua parabola esistenziale e artistica è stata interrotta bruscamente, quarant’anni fa esatti, da uno squilibrato di nome Mark Chapman (che è ancora in prigione e continua a vedersi rifiutare la libertà vigilata). Attorno a quei quattro colpi di pistola sparati nella sera newyorkese sono anche nate alcune teorie del complotto. La verità è che la storia d’America è piena di esaltati dal grilletto facile e, sotto questo punto di vista, il secondo emendamento (“the right to bear arms”) di certo non aiuta.

In effetti, pochi mesi dopo il presidente Ronald Reagan, non certo uno contro il sistema, subì un attentato del tutto simile. Fu solo la fortuna, con la pallottola che lo colpì fermatasi a pochi centimetri dal cuore, che gli permise di sopravvivere e di portare a termine due mandati piuttosto influenti per la storia mondiale.

Ma torniamo a Lennon. Se la sua morte è stata opera di un mitomane, vero è che il musicista era un personaggio decisamente sgradito all’establishment. Geniale e anticonformista, già dagli ultimi anni con i Beatles aveva dimostrato uno spiccato attivismo politico, rinforzato ancora di più dall’unione personale e artistica con Yoko Ono. Dall’Inghilterra si era quindi trasferito a New York, non prima di aver restituito il titolo di baronetto concessogli dalla regina Elisabetta[1].

La Grande Mela era a quei tempi il centro delle avanguardie artistiche e politiche. Da lì John si era messo a predicare a favore della pace e dei diritti civili, intrecciando una fitta rete di relazioni con le principali realtà della contestazione giovanile (celebri le sue apparizioni pubbliche con i capi delle Black Panthers) e attirando su di sé le attenzioni dell’Fbi, imbeccata direttamente dell’entourage del presidente Nixon.

Ne scaturì una lunga battaglia giudiziaria, raccontata anche in un documentario, volta a dichiarare Lennon “persona non gradita” negli States e rispedirlo nel Regno Unito. La vicenda, sviluppatasi in un clima quasi da rinnovato maccartismo, contrappose anche i maggiori musicisti dell’epoca: se da una parte l’amico Bob Dylan si espose pubblicamente a favore della coppia Ono-Lennon, dall’altra il Re del rock and roll Elvis Presley (curiosamente, uno dei maggiori idoli di John da ragazzo) non ne voleva sapere di avere tra le scatole quell’inglese, eccentrico e ingrato, che dava contro al suo Paese[2].

Alla fine, Lennon vinse la causa e ottenne il permesso di soggiorno. Si può dire che conseguì, insieme a tutto il fronte anti-guerra, anche un successo politico, con il ritiro degli americani dal Vietnam.

Certo, non potevano essere le canzoni di protesta a fermare l’imperialismo e la politica di potenza degli Stati Uniti. I quali semplicemente mutarono di segno: dalla guerra aperta al sostegno più o meno camuffato al golpismo e alle forze della reazione nei Paesi del Terzo mondo (tra il ritiro delle truppe dal Vietnam e l’avvio dell’operazione Condor non passarono che pochi mesi).

Ma qual era il messaggio politico di John Lennon e cosa è rimasto di esso a quarant’anni dalla sua scomparsa?

Da quello che emerge dalle sue canzoni più impegnate e dalle sue interviste, l’artista di Liverpool credeva in un socialismo libertario dalle forti tinte utopiche[3]. La sua canzone più famosa, nonché uno dei brani pop più celebri e riusciti di sempre, e cioè Imagine, che lui stesso definì un pezzo sovversivo “ricoperto di zucchero”[4], chiede per l’appunto di immaginare un mondo senza divisioni artificiali: senza religioni, senza Stati, senza possesso, un mondo in cui tutti gli esseri umani sono fratelli.

Un esercizio forse eccessivo, dal momento che conflitti e condizionamenti sono componenti strutturali di ogni società. Ma questo il “sognatore” Lennon lo aveva in fondo presente: un’altra celebre canzone come Working Class Hero, anteriore solo di pochi mesi a Imagine, non contiene un messaggio poi tanto diverso, solo che è impregnata di amarezza e risentimento verso le classi dominanti, anziché di sognante ottimismo. Tanto che fu censurata dalle emittenti radiofoniche, ufficialmente perché conteneva la parola “fucking”.

Dolcezza e rabbia, le due componenti fondamentali del rock and roll, così come della vita umana. John stesso sapeva di non essere un santo: si vedeva come un violento[5] che, aiutato anche dall’incontro con il suo grande amore (la seconda moglie Yoko), stava provando a cambiare vita, offrendo la sua testimonianza alle altre persone.

Di certo la sua figura, in particolare dopo la tragica fine, è stata circondata da un’aura mitica e ha ispirato moltissimi in giro per il mondo. Ad esempio, in un luogo inaspettato come Praga, in breve tempo un anonimo muretto venne riempito di graffiti in suo onore[6], diventando simbolo della libertà e della lotta contro il regime comunista (una piccola beffa per tutti coloro che accusavano impropriamente Lennon di essere un sostenitore del comunismo). Quel muro continua tuttora a esistere e a essere decorato dagli artisti di strada.

Al di là di questo, però, non si può dire che il messaggio di Lennon abbia avuto grande successo: i movimenti pacifisti esistono ancora, così come gli artisti impegnati e le manifestazioni di piazza. Ma la politica spesso continua a seguire altre strade: si pensi alle guerre in Afghanistan e Iraq di inizio millennio (ironia della sorte, proprio Imagine fu una delle canzoni più trasmesse dopo gli attentati dell’11 settembre[7]).

Si pensi ai mille conflitti armati e ai vecchi e nuovi problemi, dalla crisi climatica a quella dei rifugiati, fino all’odio razziale, che continuano a moltiplicarsi in giro per il mondo. Il tutto con una globalizzazione che, riducendo enormemente le distanze, ha paradossalmente funzionato da detonatore. L’impressione complessiva è quella di un’umanità sempre più divisa e ripiegata nell’individualismo, senza più nemmeno l’ingenuo ottimismo degli anni della contestazione e con livelli di ipocrisia e conformismo per certi versi ancora maggiori.

Forse però nemmeno tutto questo avrebbe scoraggiato Lennon, il quale, almeno nei momenti di ispirazione, riteneva che in fondo non esistono problemi, ma soltanto soluzioni”.

23 – Vasile Comta, l’incompiuto

24 – Dal laburismo al fascismo, la parabola politica di Oswald Mosley

25 – Chomsky, vita e pensiero di un uomo in rivolta

26 – Zinn, una voce critica nel cuore dell’America

27 – L’eredità politica e spirituale di John Lennon

Tutti i ritratti dell’Osservatorio


[1] https://www.theguardian.com/music/2019/nov/26/john-lennon-protests-and-returns-mbe-biafra-1969

[2] https://www.express.co.uk/entertainment/music/1261694/John-Lennon-The-Beatles-Elvis-Presley-truth

[3] http://www.beatlesinterviews.org/dbjypb.int2.html

[4] https://www.beatlesbible.com/people/john-lennon/songs/imagine/

[5] https://faroutmagazine.co.uk/beatles-song-lennon-mccartney-confront-abuse-getting-better/

[6] https://it.wikipedia.org/wiki/Muro_di_John_Lennon

[7] https://www.rollingstone.com/music/music-news/imagine-the-anthem-of-2001-83559/

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