venerdì 4 novembre 2022 - Marco Barone

L’attentato alla scuola slovena di Trieste, il prologo della strategia della tensione,ma si pensò in prima battuta ad una ragazzata

Correva l'ottobre del 1969, due mesi solo prima della strage di Piazza Fontana, il battesimo maledetto di fuoco della strategia della tensione. Si era a Trieste, a San Giovanni, presso la locale scuola slovena.

 Da parte di alcuni fascisti di Ordine Nuovo di Mestre, cosa che si appurerà solo una ventina d'anni dopo il fatto, venne collocata sul davanzale di una finestra della scuola nella sera del 3 ottobre, una cassetta portamunizioni militare con scritte in inglese avvolta da filo zincato. Dagli atti di indagine emerse che quella cassetta risultò contenere sei candelotti di gelignite spezzati a metà, avvolti in carta paraffinata rossa, e un congegno ad orologeria formato da una pila, due detonatori e un orologio da polso con una vite inserita nel quadrante e collegata ai fili elettrici a loro volta collegati ai detonatori. Vennero ritrovati anche dei fogli antislavi contro Tito e la Jugoslavia. Dagli atti della Corte d'Assise d'Appello di Milano del 12 marzo 2004 si legge: 

Il 4.10.1969, veniva rinvenuto, presso la Scuola slovena sita in Trieste, un ordigno, che, rimosso con le cautele del caso, veniva trasportato al Comando gruppo carabinieri di Trieste, ove veniva ispezionato e quindi periziato dall’Arma. Si accertava, pertanto, che:
• L’innesco era costituito da 2 capsule contenenti polvere nera ed appaiate tra di loro; da una delle due capsule fuoriuscivano due cavetti collegati l’uno ad una lampadina elettrica priva di vetro e l’altro ad una pila;
• Tale innesco era azionato da un orologio marca “Lanco”, dal quale era stata previamente tolta la sfera dei minuti, mentre quella delle ore era destinata ad entrare in contatto con una vite, determinando prima la chiusura del circuito elettrico alimentato dalla pila a secco e quindi, una volta arroventatosi il filamento delle lampadine, l’esplosione dell’innesco contenuto nelle predette due capsule;
• Il materiale destinato ad esplodere una volta così innescato era rappresentato da kg. 5,700 di gelignite in candelotti portanti la stampigliatura “B.P.D.” con il 25% di nitroglicerina, ed era racchiuso in una cassetta metallica. Nei pressi dell’ordigno venivano trovati dei volantini con intestazione “Fronte Anti Slavo” di rivendicazione dell’italianità di quelle zone e di converso di dura critica all’influenza jugoslava. Verso le ore 8,15 del successivo 6.10.1969, era reperito, nella via Foscolo di Gorizia, nei pressi del confine italo-jugoslavo, ed esattamente nelle immediate adiacenze di un muretto in cemento sormontato da rete metallica tracciante il confine, altro ordigno, che veniva fatto esplodere sul posto per ragioni di sicurezza. Esso, secondo le testimonianze raccolte, era costituito da una cassetta similare a quella già rinvenuta presso la Scuola di Trieste, al cui interno vi era dell’esplosivo ed un orologio.

 

Il contesto era la visita di Saragat in Slovenia e Croazia dove si sarebbe affrontata la questione triestina. La bomba inesplosa, si pensa per un difetto della batteria, venne ritrovata da un bidello. Lo stesso che qualche anno dopo avviserà dell'avvenuta esplosione alla stessa scuola il 27 aprile del 1974. Interessante notare come in merito alla prima bomba rinvenuta nell'ottobre del 1969 il fatto venne riportato sul Piccolo, il principale giornale di Trieste, solo due giorni dopo l'accaduto e dalle prime informazioni si propendeva per la goliardata, una ragazzata, o di qualcuno che voleva fare uno scherzo di cattivo gusto o di qualcuno che voleva disfarsi di quel pacco e si sosteneva che il contenuto della scatola fosse inoffensivo.

 

Su accusa di tale Antonio Severi verranno indiziati tre neofascisti, poi prosciolti in istruttoria mentre lo stesso verrà condannato per calunnia. Il mancato attentato di Trieste non fu una goliardata, una ragazzata, ma il prologo della strategia della tensione. I neofascisti avevano valutato di colpire anche il Sacrario di Redipuglia qualora l'impatto mediatico dei fatti di Gorizia e Trieste fosse stato esiguo. Singolare è il racconto che emerse negli anni successivi in merito ai tentati attentati a Gorizia e Trieste del '69, i neofascisti dopo aver collocato l'ordigno al cippo di Gorizia, andarono al cinema, e dopo aver visto un film, si recarono a Trieste per colpire la scuola slovena. Abbandonando la città, si aspettavano di sentire il botto, ma il botto fu rinviato solo di qualche anno...
 
mb

fonte ritagli giornali archivio storico il Piccolo




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