mercoledì 21 settembre 2022 - Riccardo Noury - Amnesty International

L’Iran e la Turchia rimandano indietro chi fugge dall’Afghanistan: ecco come.

Dal ritorno dei talebani al potere, nell’agosto 2021, centinaia di migliaia di afgani hanno lasciato il paese. Gli stati confinanti hanno chiuso le frontiere alle persone prive di documenti di viaggio, non lasciando loro altra scelta se non cercare di entrare irregolarmente: ad esempio, strisciando sotto le trincee o scavalcando un muro alto due metri.

Secondo una ricerca pubblicata oggi da Amnesty International, in circa 250 casi – questi sono quelli direttamente documentati, il totale è certamente più alto – uomini, donne e bambini costretti a lasciare l’Afghanistan dopo il ritorno al potere dei talebani sono stati rimandati indietro dalle autorità iraniane e da quelle turche: respinti via terra dalla frontiera turca in Iran e dalla frontiera iraniana in Afghanistan o rimandati direttamente nel paese di origine attraverso voli charter organizzati dal governo turco (che alla fine di maggio ha annunciato che in questo modo erano stati rimpatriati 6805 cittadini afgani).

Per chi riesce a entrare in territorio iraniano o a raggiungere, dopo oltre 2000 chilometri, la frontiera turca, il destino è segnato: arresto, detenzione in centri per l’espulsione finanziati in parte dall’Unione europea, tortura, rimpatrio.

Nella maggior parte dei casi, neanche si riesce a fare un passo oltre confine: la polizia di frontiera iraniana, ma anche quella turca, spara. Spesso non in aria ma ad altezza d’uomo.

Amnesty International ha intervistato i parenti di sei adulti e di un ragazzo di 16 anni uccisi, tra l’aprile 2021 e il gennaio 2022, dalle forze di sicurezza iraniane mentre cercavano di varcare il confine. In tutto, l’organizzazione ha documentato 11 uccisioni del genere ma ritiene che il totale possa essere assai più alto. Operatori umanitari e medici afgani hanno registrato almeno 59 uccisioni e 31 ferimenti solo tra agosto e dicembre 2021.

De 35 afgani che avevano cercato di entrare in Turchia e intervistati dall’organizzazione per i diritti umani, 23 hanno denunciato di essere stati oggetto di colpi d’arma da fuoco. Un afgano ha riferito di aver visto tre ragazzi uccisi dalle forze di sicurezza turche, un altro del ferimento di sei adulti e tre ragazzi. Altre due delle persone intervistate hanno riportato ferite.

Inutile sottolineare che si tratta di modalità contrarie al diritto internazionale, da ogni punto di vista.

Lo è usare le armi da fuoco nei confronti di chi non sta ponendo in essere alcuna minaccia immediata e concreta: come potrebbe farlo un ragazzino che, dopo aver scalato un muro di due metri, si affaccia per vedere cosa c’è dall’altra parte?

Inoltre, il principio internazionale del non respingimento vieta agli stati di rimandare una persona in un territorio nel quale sia a rischio di persecuzione o di altre gravi violazioni dei diritti umani.

Eppure, nessuna delle persone intervistate da Amnesty International ha potuto registrare la richiesta di protezione internazionale in Iran o in Turchia. Tutte hanno cercato di dire alle autorità che in caso di ritorno in Afghanistan avrebbero rischiato di subire violazioni dei diritti umani, ma le loro paure sono state ignorate.

Così, sono tornate alla casella zero di un cinico gioco dell’oca: quella casella può spesso significare la morte.




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