martedì 20 settembre 2022 - Enrico Campofreda

L’India ostile al lavoro delle donne

C’è la dottoressa che, dopo aver inviato il personale curriculum di studio e d’esperienza professionale a una clinica privata di Mumbai, giunge al colloquio con i proprietari e tutto sembra andar per il meglio. 

Alla fine una domanda la spiazza, le chiedono se per lavorare rinuncerebbe all’hijab. “Ovviamente no – risponde – fa parte della mia fede e della mia cultura”. Ovviamente la dottoressa non viene assunta. E non perché quella clinica ostenti un fanatismo hindu, semplicemente perché pazienti hindu potrebbero ‘spazientirsi’ alla vista di quel capo d’abbigliamento con valenza religiosa e la clinica non vuole problemi. Una ricerca condotta da una fondazione indiana mostra come, in ogni caso, la questione non riguarda le lavoratrici, anche professionalmente strutturate, ossequiose al Corano. Anche le donne hindu in cerca di lavoro, di bassa o elevata mansione, si ritrovano discriminate rispetto ai colleghi maschi. Ben il 47% delle lavoratrici indiane, d’ogni credo, può incappare in ostacoli prevalentemente di genere, sebbene gli appigli passino per l’alibi confessionale, elemento che polarizza quella società. Di fatto è l’orientamento maschilista a prevalere, tanto che una nota azienda globale presente anche in quel territorio, lancia uno spot (lo avrete visto in tivù) giocando sul fatto che fra i tanti lavori al maschile, s’aprono spiragli per le donne.

Parliamo di chiusure di genere, prima che di mansioni e salari, viziati anch’essi non solo da pregiudizi patriarcali, ma da sfruttamento femminile. Come accade al lavoro minorile. La ricerca, durata circa un anno, con campioni limitati rispetto all’ingente massa della popolazione ma direzionati secondo uno scandaglio scientifico dei più vari settori sociali, mostra altresì che il caso della dottoressa musulmana era se non unico raro. Le donne islamiche, al di là delle differenti marginalizzazioni, svolgono prevalentemente attività manuali e, rispetto alle hindu, tendono a rimanere in casa e a dedicarsi a lavori domestici. In realtà la domanda sull’uso pubblico dell’hijab è comparsa in parecchie circostanze per occupazioni soprattutto pubbliche (rivendite, grandi magazzini) dove non si voleva che la lavoratrice apparisse velata. Si è registrata una differente percezione comportamentale fra i diversi Stati, la maggiore domanda di lavoro risulta in quelli settentrionali, rispetto alle aree occidentale e meridionale. Le punte maggiori riguardano Delhi e Maharashtra, dove comunque industria, ricerca, turismo tuttora continuano a sottostimare l’occupazione femminile.

Enrico Campofreda

 

 




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