mercoledì 11 novembre 2020 - Osservatorio Globalizzazione

L’Etiopia verso la guerra civile?

Il 4 novembre 2020, il Primo ministro etiope Abiy Ahmed, divenuto celebre nel 2019 per aver ricevuto il famigerato premio Nobel per la pace, decide di intervenire militarmente nella Regione del Tigrè, confinante a nord con l’Eritrea. Perché mai un premio Nobel per la pace dovrebbe impiegare l’esercito contro una parte del proprio popolo?

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Per rispondere a questa domanda occorre riscoprire la recente storia dello Stato etiope, partendo dal periodo dittatoriale del Derg, che dal 1974 aveva instaurato una dittatura militare di stampo marxista, sostenuta dall’URSS durante la Guerra Fredda. A a causa dell’avvento di Michail Gorbaciov come segretario del PCUS, e della sua politica della perestroika, il governo etiope aveva perso il sostegno economico che gli permetteva di poter controllare il Paese. L’atto decisivo che ha portato alla caduta della giunta militare comunista è stato dovuto all’intervento del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF), ovvero una milizia sorta nella Regione del Tigrè, che dopo questo avvenimento decise di istituzionalizzarsi divenendo uno dei principali partiti politici del Paese.

La Regione del Tigrè visse nuovi problemi tra il 1998 e il 2000 durante la guerra tra Eritrea ed Etiopia per il riconoscimento dei confini, conclusasi nel 2000 con l’accordo di Algeri, che ne segnò una tregua decisiva che è stata riconosciuta definitivamente nel 2018 con l’avvento al Governo etiope di Abiy Ahmed. I meriti del neoeletto presidente sono stati quelli di aver voluto stabilire definitivamente una pace con l’Eritrea e di voler consegnare al proprio Paese un processo di democratizzazione.

Le riforme innestate dal Governo prevedevano inoltre il rafforzamento dell’identità nazionale etiope, cosa che è stata interpretata negativamente dai governi locali. A livello regionale, la Costituzione del 1995 garantisce una forte autonomia alle 10 Regioni, riconoscendo sia l’autonomia linguistica, sia la possibilità di autodeterminazione attraverso un referendum popolare: le politiche del Governo di Addis Abeba avrebbero portato in questa ottica ad un depauperamento dell’identità delle singole etnie. A livello politico si è creato un aspro confronto tra alcune Regioni (in particolare quella del Tigrè ed anche alcune nel sud del Paese) ed il Governo centrale: queste Regioni ed il TPLF in testa, considerano Abiy Ahmed come un usurpatore che vorrebbe attentare alla Costituzione, ed in particolare all’autonomia che la stessa garantisce alle Regioni, mentre Abiy Ahmed considera il TPLF come un partito sabotatore della transizione democratica e della pace con l’Eritrea. Anche la pace con l’Eritrea è stata letta dal TPLF come un tradimento da parte di Abiy Ahmed verso la nazione etiope, perché avrebbe stretto un accordo effimero col nemico di sempre.

Questo quadro generale, insieme alle politiche governative, avrebbero innescato un processo opposto rispetto alla democratizzazione e all’unità nazionale, favorendo il rafforzamento dell’identità etnica al cospetto di quella etiope. Per spiegare la decisione di occupare la Regione del Tigrè nel 4 novembre, occorre riportare un ultimo avvenimento: a settembre si sarebbero dovute tenere delle elezioni nazionali per eleggere i nuovi rappresentanti nel Parlamento, ma queste elezioni sono state rimandate dal Governo di Addis Abeba causa Covid-19. Il rinvio delle elezioni è stato considerato dal Governo regionale di Macallè come un escamotage per preservare il potere. Nonostante il rinvio nazionale, nel Tigrè si sono tenute le elezioni che hanno registrato una vittoria bulgara del TPLF che ha conquistato il 98% dei voti, nonché il 100% dei seggi in Parlamento disponibili per questa Regione. Dopo mesi di lotta istituzionale tra i due Governi, il 4 novembre una base dell’esercito viene provocata dal TPLF in segno di sfida, ed Abiy Ahmed decide di contrattaccare come contromisura la Regione del Tigrè e di dichiarare lo stato di emergenza in questa Regione per 6 mesi, nonché di inviare l’esercito per il controllo di punti strategici: il Governo di Addis Abeba ha dichiarato il 4 novembre che “L’ultima linea rossa è stata superata con gli attacchi di questa mattina e il governo federale è, quindi, costretto a uno scontro militare”, infatti sono ancora in corso bombardamenti mirati contro le infrastrutture militari del TPLF al fine di destabilizzare il nemico.

Queste escalation stanno facendo preoccupare non poco le Nazioni Unite, ed il Segretario Generale Guterres. L’Etiopia non può essere considerata un Paese qualunque nel contesto del Corno d’Africa, e si teme che una guerra civile interna non solo potrebbe portare ad una situazione simile a quella somala, ma si potrebbe ripercuotere come effetto domino sugli Stati confinanti come Eritrea e Sud Sudan.

A livello militare l’Etiopia detiene il più forte contingente di unità nell’Africa subsahariana, comprendente circa 130.000 milizie, ed a livello economico, seppur sia uno degli Stati più influenti nel Corno d’Africa, occorre considerare la forte dipendenza dagli Investimenti Diretti Esteri, in particolare da quelli cinesi ed europei. A livello internazionale sarà interessante vedere gli sviluppi di questa situazione alla luce dell’uscita di scena della presidenza Trump dagli USA, che aveva mostrato un completo disinteresse nei confronti dello scenario africano, e l’atteggiamento diplomatico che potrebbe ricoprire la Cina nell’intera area geografica visti i massicci investimenti che il governo asiatico sta riservando in tutto il Corno d’Africa.

L’aspetto che probabilmente il Governo di Addis Abeba ha sottovalutato è la forte appartenenza tribale che la società africana detiene, e che ha caratterizzato la storia recente di questa area geografia, e che ci auguriamo non si ripresenterà in futuro.

Foto di John Iglar da Pixabay 




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